varie, 11 gennaio 2013
PALLINATO SU MESSI PALLONE D’ORO PER IL FOGLIO DEI FOGLI
«Ancora una volta è un ragazzo argentino il calciatore che riesce a distinguersi dagli altri dando spettacolo. La sua statura è bassa, ma i piedi e la testa riescono a imprimere al pallone una velocità impensabile» (Fidel Castro). [1]
Da venerdì 7 gennaio Lionel Messi è il calciatore ad aver vinto più edizioni del Pallone d’Oro, quattro consecutive. Meglio di Michel Platini, che se n’era aggiudicati tre di seguito tra il 1983 e il 1985, di Johan Cruyff (1971-’73-’74) e di Marco Van Basten (1988-’89-’92).
Ricevendo il premio, il fantasista argentino le ha provate tutte per dire che non merita tanta gloria senza essere maleducato. Giulia Zonca: «Sceglie uno smoking eccessivo, magari anche per giocare un po’ con lo status di calciatore perfetto, dice apertamente “il 2012 non è stato il mio anno migliore”, ammette che la decisione “è un mix di fattori e di sensibilità”, ripete, come sempre “non credo ai premi ai singoli, se sono qui è per la squadra”. Non conta i gol, non vuole fare statistica, ma fa la differenza». [2]
Nel 2012 Messi ha battuto il record di gol nell’anno solare (91), ne ha segnato uno ogni 66’, ha fatto 22 doppiette, 9 triplette, due poker e una cinquina in Champions, e, mostro di atletismo oltre che di tecnica, 40 su 91 reti le ha segnate nell’ultimo quarto d’ora. [3]
«Non guardo il calcio. Neanche i miei gol. Mi piace ovviamente allenarmi, giocare. Ma guardarlo, in realtà no». [4]
Restano i dubbi legittimi di chi ricorda che, mentre Messi nel 2012 ha vinto solo la Coppa del Re e ha pure sbagliato un rigore decisivo nella semifinale di Champions persa dal Barcellona con il Chelsea, Cristiano Ronaldo, secondo quest’anno, ha vinto la Liga col Real Madrid e ha guidato il Portogallo alle semifinali dell’Europeo, e Andres Iniesta, terzo, è stato nominato migliore giocatore dell’Europeo vinto dalla Spagna. [3]
«Le cose che fa Leo le faccio anch’io, solo che lui le fa a velocità doppia di me» (Andres Iniesta). [3]
La sensazione è che Messi possa aggiudicarsi senza problemi anche le prossime dieci edizioni del Pallone d’Oro. Alessandro De Calò: «Per evitarlo dovete sperare in un paio di cose. La prima: che compaia sulla scena un marziano più forte di lui. La seconda: che la Fifa cambi le regole dei criteri di voto per l’attribuzione del trofeo. Dieci anni di Messi finirebbero col rendere dimesso anche questo premio. Se tutto è scontato, manca la suspense, cala l’interesse della gente, diminuisce il giro d’affari». [5]
«Il Pallone d’Oro oggi è quel trofeo dove piano piano si viene eliminati (si è partiti in 53, poi ridotti a 23 e infine a tre) come in un reality tv e alla fine vince sempre Messi. Gli si potrebbe dare a settembre e non cambierebbe nulla. Senza contare che forse lui stesso baratterebbe i quattro palloni per un Mondiale. La cosa davvero che conta di più». [6]
La storia di Leo Messi è quasi una favola. «Sbarca in Spagna nel settembre 2000. Papà Jorge, ex operaio, ha deciso di emigrare perché ha capito che l’Argentina è a un passo dalla bancarotta. E poi c’è un altro motivo. Lionel ha un problema fisico legato agli ormoni della crescita. È alto appena 1,40. Si può curare ma le medicine costano e Jorge, che gioca nel Newell’s e piace al River Plate, non viene aiutato dai due club. Nessuno si accolla le spese di 900 dollari al mese per le cure. In Spagna, a Lerida, vivono alcuni parenti della famiglia Messi. Spiegano che lì le medicine costano meno e allora papà Jorge prepara il trasloco. [...] Il ragazzo sostiene un provino e Carlos Rexach, responsabile del settore giovanile del Barcellona, capisce al volo che Lionel ha talento». [7]
«Come se nessuno si azzardasse più ad arginarlo. In fondo è comprensibile: si rischiano almeno venti figuracce a partita. E poi se anche indovini da che parte va, lui comunque ti ha già saltato» (Claudio Gentile, nella storia per la marcatura di Maradona e Zico ai mondiali dell’82). [8]
È da oltre dieci anni che Messi conduce una vita monacale, protetto da un clan a struttura fortemente matriarcale che ruota intorno alla madre Celia Maria Cuccittini e alla sorella Maria Sol. Gaia Piccardi: «Vivono tutti insieme appassionatamente con papà Jorge Horacio, i due fratelli maggiori, Rodrigo e Matias, e Antonella Roccuzzo, di Rosario come la Pulce, coetanea (25 anni), origini italiane come Leo, mamma dal 2 novembre 2012 di Thiago, primogenito dell’eletto». [9]
Antonella e Messi si sono conosciuti a cinque anni. Lei è cugina del migliore amico di Leo, Lucas. Aveva ambizioni da modella ma le ha riposte per seguire in Spagna Messi, che di lei non parla nemmeno sotto tortura. Discreti, umili, riservatissimi, Comprano alfajores al dulce de leche (dolcetti tipici argentini) in Plaza Cataluna, mangiano asado al ristorante “Las Cuartetas” (nel retro, dove c’è un tavolo riservato 365 giorni all’anno al numero 10 più famoso del pianeta) o in alternativa la cotoletta di mamma Celia. [9]
Riservato, educato e umile, «Leo riassume le grandezze degli altri e le filtra col proprio carattere, trasformandole in un modello umanamente e calcisticamente sostenibile, senza scorie nervose. Il più grande di tutti è un maestro di understatement. S’è saputo solo un mese fa che in estate aveva rifiutato l’offerta dell’Anzhi (120 milioni per quattro anni). Lui avrebbe fatto volentieri a meno che se ne parlasse sui giornali. Non tanto per il rifiuto in sé quanto per la faraonica avance. S’è limitato a dire: “Ridicolo”. E sui russi che erano pronti a versare al Barcellona più di 400 milioni? “Ridicolo”». [10]
«C’è solo un giocatore che è un po’ più forte di me: Messi. Tutti gli altri stanno dietro» (Mario Balotelli). [11]
«L’idea che in un calcio sempre più muscolare e guerreggiato trionfi una pulce, un elfo, un coboldo di tali dimensioni non fa solo roteare gli occhi, ma muove qualcosa dentro, alla Swift di Gulliver. Uno così piccolo, più piccolo della media, uno insignificante se incontrato per strada, un anonimo irriconoscibile con un basco in testa o similia, che si trasforma danzando in campo in una farfalla inimprigionabile, finendo per essere insieme il calcio e il calciatore, o alla Malamud “la danza e il ballerino”». [12]
«Leo è ingiusto, colpevole, bugiardo. Chi lo guarda pensa: dobbiamo prendere esempio da lui. Sbagliato. È impossibile. Lui rende facile l’assurdo. Nei suoi stop al volo c’è qualcosa che va contro la fisica». [13]
Il confronto tra Messi e Maradona è ormai un tormentone. Massimo Gramellini: «Messi gioca bene a calcio come Maradona ma, a differenza di Maradona, non sa vincere le partite da solo. Perché? Il segreto riposa nelle loro biografie. Non nell’infanzia: il bimbo Messi, afflitto da nanismo, ha sofferto più del bimbo Maradona. Lo scarto avviene nell’adolescenza: quando Maradona comincia a girare il mondo senza altra protezione che la sua faccia tosta e il quattordicenne Messi si trasferisce a Barcellona per curarsi. Da allora Leo cresce in un ambiente protetto, caldo, sereno. La vita perfetta e banale che tutti sognano. Ma che ha un prezzo che molti ignorano. Ti prosciuga dentro. Ti toglie la rabbia, la voglia, l’energia vitale. Ti fa credere che la vita sia un traguardo, mentre è una strada per andare da qualche altra parte». [14]
«Io e Messi abbiamo anche la “M” in comune, ma quelli di oggi sono altri tempi e quelle in campo altre squadre. Oggi si gioca un altro calcio: io giocavo anche solo contro tutti e ho fatto vincere il Mondiale all’Argentina» (Diego Armando Maradona). [15]
Note: [1] La Gazzetta dello Sport 10/6/2010; [2] Giulia Zonca, La Stampa 8/1; [3] Alessandro Pasini, Corriere della Sera 8/1; [4] John Carlin, la Repubblica 29/5/2009; [5] Alessandro De Calò, La Gazzetta dello Sport 8/1; [6] Fabrizio Bocca, la Repubblica 8/1; [7] Stefano Boldrini, La Gazzetta dello Sport 27/6/2003; [8] Enrico Sisti, La Repubblica 8/4/2010; [9] Gaia Piccardi, Corriere della Sera 8/1; [10] Enrico Sisti, la Repubblica 8/1; [11] Arianna Ravelli, Corriere della Sera 23/12/2010; [12] Oliviero Beha, il Fatto Quotidiano 8/1; [13] Enrico Sisti, la Repubblica 9/3/2012; [14] Massimo Gramellini, La Stampa 26/4/2012; [15] Tommaso Cerno, l’Espresso 14/6/0212.