Roberto Giardina , ItaliaOggi 11/1/2013, 11 gennaio 2013
UN’OLIMPIADE PER POLEMISTI
[Si dibatte in inglese. Nessun italiano fra i classificati] –
A Berlino si è appena concluso il campionato mondiale di «Debattieren», la traduzione non occorre, ma si può rendere anche come olimpiade per polemisti. Hanno partecipato 1.400 studenti provenienti da 82 paesi, degli italiani non c’è traccia tra i vincitori, forse non hanno neanche gareggiato oratori in maglia azzurra.
E non vale neanche la pena controllare. Sospetto che i nostri possibili campioni siano stati frenati dalla lingua. Si doveva parlare in inglese, divisi in tre categorie: quelli di madrelingua, chi conosce l’inglese come seconda lingua e quanti lo usano come lingua straniera.
Un handicap? Beppe Fenoglio per autocontrollo usava tradurre in inglese quel che scriveva. Se non si riesce a rendere una frase, vuol dire che qualcosa non funziona. L’esercizio induce a eliminare gli affettivi superflui e, spesso, intraducibili. Serve anche quando si parla. Un altro ostacolo per gli italiani, sospetto, sarà stato il divieto di interrompere l’avversario, pena l’immediata squalifica. I nostri talk show saranno vivaci, ma nessuno riesce a finire un discorso, e l’ascoltatore non capisce chi ha ragione.
In Germania, al termine, ci si fa un’idea. Dipenderà anche dalla lingua, in questo caso il tedesco: se non si ascolta come finisce la frase, non si sa che cosa vuol dire l’interlocutore. Inoltre, chi insulta o cerca di urlare più dell’avversario dimostra di non avere argomenti, e quindi di essere in torto. Da noi vale il contrario. E, infine, la stringatezza. Noi ci crediamo eredi di Cicerone. Gli avvocati si esibiscono ancora come Christian De Sica in Mi faccia causa, e i deputati non concludono mai i loro interventi. Al Bundestag, di solito, si parla per cinque minuti, l’equivalente di un paio di cartelle: basta per spiegare qualsiasi problema. Tanto, dopo, nessuno ti sta più a sentire.
Gli esercizi e le gare di retorica hanno una vecchia tradizione in Gran Bretagna, fin dall’Ottocento, a Oxford e Cambridge. Anche negli Stati Uniti sono entrati da tempo nel normale programma di studio. In Germania, i primi club sono nati da una ventina d’anni in diversi atenei. Una palestra per avvocati e futuri politici? Non solo: i più appassionati sono gli studenti di filosofia e di lettere.
A Berlino, gli argomenti venivano sorteggiati un quarto d’ora prima della discesa in campo a coppie. A caso, si doveva sostenere una tesi, o il contrario, per rispettare il motto della competizione: Die Kraft des Widerspruchs, la forza della contraddizione. Sarebbe piaciuto ai miei professori gesuiti al Gonzaga di Palermo. «Il fatto che la tesi da difendere sia estratta a sorte non è un ostacolo, anzi dà più libertà all’oratore», dice Patrick Hermann, presidente del club di Berlino, «i polemisti non sono degli ideologi o dei fondamentalisti, non si è costretti a sostenere le proprie idee». E si hanno sette minuti di tempo per convincere la giuria: conta l’abilità oratoria, o istrionica, ma hanno più peso gli argomenti. Chi ha imparato l’inglese a scuola può anche commettere un errore di grammatica, o non avere un accento perfetto, purché quel che dice sia convincente.
Nella sezione «inglese come madre lingua», hanno vinto due studenti di Melbourne, in quella come seconda lingua si è imposta una coppia del Bangladesh. Nella sezione lingua straniera sono entrati in finale i rappresentanti di Friburgo, in Germania, Porto, Bucarest e Tokyo. L’argomento finale era la decadenza degli Stati Uniti come potenza mondiale. Hanno vinto i portoghesi, e secondi sono arrivati i tedeschi, Johannes Smalenski, 27 anni, e Jannis Limberg, di 19. «Mi alleno da quando avevo 15 anni», dice Jannis, «e per dire la verità, come oratore ho ancora molto da imparare, e il mio inglese non è eccezionale. Ma forse ho quasi vinto perché ben preparato sull’argomento». In Italia, qualche partito lo metterebbe in lista? Forse no, da noi conta più l’apparenza.