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 2013  gennaio 11 Venerdì calendario

Sbarcando a Porto Torres si imbocca la statale 131 che attraversa la sezione occidentale dell’isola come un fuso serpeggiante, toccando Sassari, Bonorva, Macomer e Oristano, terminando alle porte di Cagliari

Sbarcando a Porto Torres si imbocca la statale 131 che attraversa la sezione occidentale dell’isola come un fuso serpeggiante, toccando Sassari, Bonorva, Macomer e Oristano, terminando alle porte di Cagliari. Prima di approdare al capoluogo si può abbandonare la 131 in direzione Decimomannu, quindi prendere la 130 per Iglesias e uscire a Siliqua, seguire le indicazioni per il castello di Acquafredda, costruito su un roccione che spunta nel vuoto della pianura. Alla rotonda che conduce alle falde del castello inizia la provinciale 2 che conduce a Villamassargia. Il comune è indicato a 15 chilometri, ma ne dovrete percorrere 12 per arrivare in un punto costeggiato da eucalitti con, alla vostra sinistra, un cartello metallico con la scritta «Uliveto storico S’Ortu Mannu», l’orto grande. Pare che la coltivazione dell’ulivo sia stata introdotta nell’isola fra l’XI ed il XII secolo, chi ipotizza importata dai conti Gherardesca di Donoratico, in Maremma, i fautori, secoli più tardi, del celebre viale di cipressi che conduce a Bolgheri. La materia è controversa. Gli ulivi del S’Ortu Mannu sbucano nel paesaggio. Una staccionata delimita un campo, dentro un’altra staccionata circolare protegge il grande patriarca, un albero che i locali chiamano Sa Reina, La Regina. La sua figura è impressionante, colpisce quanto l’olivastro di Luras, il gigante di 4000 anni nelle campagne a Nord Est. La chioma non è particolarmente ampia, la corteccia manifesta un capolavoro di disegni, istoriazioni e commenti di Madre Natura. Ne ho misurato la circonferenza: a un metro e trenta risultano 1144 cm. Mi siedo e poggio la schiena contro il fusto, me ne resto un bel po’ sotto un cielo zaffiro d’alta pressione, smacchiato di qualsiasi traccia di bianco. Quasi mi addormento, respirando l’odore della terra. Alzo il mento e mi metto a osservare lo sviluppo architettonico delle branche che ricadono, il gonfiarsi delle fronde e il ricadere in aria. Quanto sono 900 anni? Quanta energia ci vuole per crescere da una piantina che i miei piedi possono schiacciare a questo gigante buono, questo Ent di Sardegna? Sarà mai stato sul punto di morire, duecento, cinquecento, ottocento anni orsono? E chissà quante facce sbacalite avrà visto, nel corso del tempo, avvicinarsi e commentare a occhi sbarrati e bocche spalancate questa sua performance silenziosa. Gli altri ulivi sembrano piccoli, figli di un Dio Minore. Ma a ben guardare ve ne sono diversi di miracolosi, dalle forme più disparate, e nemmeno così ridotti. Centinaia di ultrasecolari.