Laura Anello, La Stampa 11/1/2013, 11 gennaio 2013
Roberta ha lampi di rabbia negli occhi dolci di chi ha appena partorito. Tra le braccia il suo bambino, condannato a emigrare ancora prima di nascere
Roberta ha lampi di rabbia negli occhi dolci di chi ha appena partorito. Tra le braccia il suo bambino, condannato a emigrare ancora prima di nascere. «Sono stata costretta a salire sull’elicottero con il pancione alla trentaduesima settimana e ad andare a vivere a Trapani per diciassette giorni — racconta — aspettando che si compisse il tempo. Ho speso tremila euro che nessuno mi rimborserà, ma soprattutto ho dovuto accettare che sui documenti di nascita di mio figlio non ci fosse scritto “Pantelleria”. Di questo passo nessuno nascerà più qui». Si ribella l’isola nera di lava, fumarole e vitigni di zibibbo, 83 chilometri quadrati a 110 chilometri dalla costa Sud della Sicilia, sei ore di viaggio in nave che d’inverno è un’avventura. Un mese fa una circolare dell’Azienda sanitaria di Trapani - la provincia siciliana da cui dipende questo pezzo di campagna che galleggia nel Mediterraneo - ha sostanzialmente chiuso il punto nascite, un presidio dove venivano alla luce una settantina di bambini l’anno. «Bisogna trasferire sulla terraferma le gestanti dalla trentaduesima settimana in poi, il reparto resta aperto solo per le emergenze», hanno detto in sostanza i medici dell’ospedale, seguiti a ruota da mamme, padri, giovani, associazioni. Che si sono uniti, sulla scia della mobilitazione lanciata dal sito di informazione dell’isola Pantelleria news, in una protesta senza precedenti. Una rivolta che sta per sfociare in una denuncia alla Procura di Marsala per interruzione di pubblico servizio. E che ieri ha registrato pure la solidarietà del duca Amedeo d’Aosta, uno dei tanti vip che d’estate vengono a godersi i fondali e il sole. «Questo vuol dire che non ci saranno più panteschi - ha scritto e chi non ha i mezzi per trasferirsi sulla terraferma dovrà rinunciare a procreare». Ormai la sala antistante a quella del parto a Pantelleria è la cabina della nave. O quella dei piccoli aerei che sfidano i venti. O ancora quella dell’elisoccorso, con i suoi circa seimila euro l’anno a carico dei contribuenti. «Perché il paradosso - si accalora Salvatore Gabriele, il direttore di Pantelleria news - è che tutto questo non fa risparmiare un solo euro alle casse pubbliche, anzi aggrava i costi». E basta fare un giro dell’ospedale «Nagar», per capirlo. La Ginecologia è un reparto fantasma, ma operativo per le emergenze. Così l’Azienda sanitaria sborsa i 2.700 euro di stipendio al mese all’unico specialista che vive qui tutto l’anno, Giuseppe Paolo Turco, che ora si gira i pollici davanti alla porta chiusa. E spende i 5.400 euro necessari a pagare il secondo ginecologo in mobilità da Trapani, uno diverso ogni settimana. E ancora le tre ostetriche, con reperibilità notturna. Infermiere e ausiliarie: nemmeno una. I posti in pianta organica restano vacanti. Perché l’azienda, anziché bandire concorsi per posti di lavoro dipendente, offre incarichi libero-professionali, 70 mila euro l’anno da cui però bisogna detrarre spese di soggiorno, assicurazione professionale, Iva, tasse. In tasca resta poco. Finora i parti senza difficoltà si seguivano qui, quelli a rischio in terraferma, un «doppio binario» escogitato dall’allora ministro della SaluteFerruccio Fazio, che a Pantelleria ha pure un diving center. La circolare ha ribaltato tutto. Tra potenziare il presidio e alzare bandiera bianca, si è scelta la seconda strada. E l’elicottero ha preso il posto della levatrice.