Antonella Rampino, La Stampa 11/1/2013, 11 gennaio 2013
In un Paese nel quale sono a vita titoli che corrispondono a un mandato a tempo, e guai a non chiamare «onorevole» o «presidente» chi non lo è più magari da un pezzo, quello di senatore a vita è di fatto l’unica qualifica davvero conquistata per titoli morali
In un Paese nel quale sono a vita titoli che corrispondono a un mandato a tempo, e guai a non chiamare «onorevole» o «presidente» chi non lo è più magari da un pezzo, quello di senatore a vita è di fatto l’unica qualifica davvero conquistata per titoli morali. Sono tali infatti di diritto gli ex presidenti della Repubblica, o coloro che per alti meriti vengono investiti del laticlavio dai capi di Stato in carica. Ed è il caso di sottolineare che Mario Monti è stato elevato all’alta carica da Giorgio Napolitano prima della nomina a premier, ma anche che lo stesso Giorgio Napolitano venne nominato senatore a vita da Carlo Azeglio Ciampi, prima di esser votato per il Colle. Una carica dunque di denso significato morale (rifiutata solo, e per una bizza, a suo tempo da Arturo Toscanini), e che incastona in un’assemblea elettiva la saggezza che si manifesta - se la si possiede - solo con l’età. E nonostante questo - o forse proprio per questo - l’alto valore umano, professionale, politico che viene sancito con l’unico laticlavio vitalizio parlamentare è stato oggetto di furibondi e osceni insulti. «Necrofori», «venduti», «corrotti», «parassiti» urlava a ogni voto la destra alla volta di Carlo Azeglio Ciampi, Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo e perfino di Giulio Andreotti che pure il centrodestra diceva i volere a capo di Palazzo Madama. Erano rei di aver votato la fiducia al governo Prodi. Perché nel 2006 il governo dell’Ulivo, senza quei senatori a vita che liberamente decidono di sostenerlo, non ha la maggioranza. Pdl e Lega attaccano violentemente i senatori a vita. Costretti a sfilare per il voto di fiducia nelle forche caudine degli insulti, e non solo: Ciampi schiva per un soffio il lancio di un fascicolo, al premio Nobel Montalcini viene recapitato come «gentile omaggio» un paio di stampelle. Proprio a lei, che passeggiava dritta come un fuso nel salone Garibaldi in attesa delle votazioni. Berlusconi dichiara «immorali» i senatori a vita cui si vorrebbe togliere il diritto di voto (l’ultima proposta della Lega è dell’agosto scorso), pur consapevole che nel 1994 alla fiducia per il proprio governo concorsero ben tre senatori a vita: Giovanni Leone, Francesco Cossiga e Giovanni Agnelli. Il presidente della Fiat dichiarò che non avrebbe mai fatto mancare il sostegno al governo del Paese, di qualunque colore esso fosse. E va detto che il primo a insultare fu Franco Zeffirelli, che nel ’94 appena eletto a Palazzo Madama, additò «la triste sfilata dei senatori a vita, uno più cadaverico dell’altro, testimoni di un’Italia vecchia e da seppellire...». Da allora, a destra poco è cambiato. In più, s’è aggiunto Grillo. Eppure, invece, la Francia avrebbe voluto copiarci i senatori a vita, e ha inserito i loro ex presidenti nel Conseil Constitutionel. In Inghilterra è ereditaria la carica di parte dei Lord. E per l’Italia, come spiega il costituzionalista Luigi Gianniti nel suo «Manuale di diritto parlamentare», l’usanza discende dal Senato regio, dai tempi in cui la carica di tutti i senatori era vitalizia. I costituenti ne mantennero traccia per integrare cariche elettive con cariche non elettive. Perché il Senato -anche un possibile Senato delle Regioni- non fosse troppo «specialistico».