Giancarlo De Cataldo, la Repubblica 11/1/2013, 11 gennaio 2013
GIANCARLO DE CATALDO
Rocco e Nino sono amici d’infanzia, cresciuti insieme in un paesino dell’Aspromonte. Separati dalla vita, si incontrano dopo tanti anni. Ma ora Nino è uno ‘ndranghetista di peso, Rocco l’agente infiltrato incaricato di seppellirlo sotto anni e anni di galera. Sul tema classico, e sempre emozionante, dei “fratelli divisi”, Roberto Riccardi ha costruito
Undercover,
un adrenalinico poliziesco di classe che, non a caso, Massimo Carlotto ha scelto per la sua collana Sabot/Age delle edizioni e/o. Una storia di tradimenti, mafiosi spietati, narcos degenerati, sorprendenti dark lady e giovani ufficiali pronti a dare la vita per uno Stato non sempre all’altezza del sacrificio. Riccardi, 46 anni, barese, è un ufficiale dei carabinieri, tuttora in servizio, con un passato da “operativo” e un presente — anche — di scrittore e giornalista. Un altro esponente della società prestato alla scrittura, insomma. Uno di quelli ai quali
chiedono di continuo: ma perché lei che ha un altro lavoro si è messo a scrivere romanzi? Quando, e accade, la domanda viene posta in malafede, quasi che l’autore fosse colpevole di una specie di invasione di campo, ovvero di lesa maestà letteraria, si potrebbe rispondere: perché, grazie al cielo, non esiste ancora un albo professionale degli scrittori, con tanto di ritenute sindacali, progressioni di carriera, organismi disciplinari, collegio dei probiviri et similia.
Oppure, in modo più colto e soft, ricordare che Viktor Sklovskij, il grande padre del formalismo russo, diffidava degli scrittori di mestiere, e invitava i giovani aspiranti autori a procurarsene uno di scorta. Non tanto perché, ai suoi tempi almeno,
carmina non dant panem,
ma perché esplorando l’esistente al di fuori dalle rigide paratie dell’accademia, avrebbero imparato a scrivere meglio. Ma per lo più la domanda è sorretta da sincera curiosità. E merita una risposta meglio articolata. Per questo l’ho girata al diretto interessato, e ho chiesto a Riccardi: perché un colonnello dei Carabinieri scrive un romanzo? Riporto la sua risposta: «Da ragazzo amavo i libri e scrivevo di tutto: favole, racconti, poesie, perfino canzoni. Pensavo che avrei insegnato lettere, come mia madre. Poi un giorno un ragazzo più grande di me, già studente del mio liceo, si presentò a salutare gli ex compagni con la divisa della Nunziatella. Mi avvicinai e presi a fargli domande. Lui mi disse che aspirava a diventare ufficiale, nominò i carabinieri e io, che del mondo militare non sapevo nulla, mi bloccai: “Ma non sono quelli che fanno le indagini?”. È partita così, in modo casuale, come nascono spesso le scelte più importanti. Per anni ho ricoperto ruoli operativi, forse dovevo “vivere per raccontare”, come insegna Garcia
Marquez. L’amore per la scrittura è riaffiorato di recente ». Quanto alle reciproche influenze fra il mestiere dell’investigatore e quello dello scrittore, spiega ancora Riccardi: «Il lavoro investigativo è un pezzo fondamentale della mia storia. Mi ha aiutato a capire tante cose: del mondo, di me stesso»
.
Alcune di queste cose Riccardi ce le spiega chiaramente.
Ci spiega, per esempio, come è potuto accadere che la ‘ndrangheta, da società di apparenza, di
parata,
per dirla con il “loro” linguaggio, sia diventata, in una trentina d’anni, la prima organizzazione criminale italiana, con un fatturato pari al 3 per cento del Pil nazionale. È accaduto per colpa della perversa commistione fra gli interessi apertamente criminali delle cosche e la colpevole indifferenza, talvolta l’aperta connivenza, degli apparati. È stato così possibile alla ‘ndrangheta operare estorsioni su larga scala, riciclare i soldi sporchi attraverso sofisticati sistemi creditizi, inquinare i mercati con spregiudicate operazioni commerciali. E inoltre: interrare rifiuti inquinanti, sfruttare i clandestini come manovalanza criminale, stipulare vantaggiosi accordi con le altre mafie, e, naturalmente, intrecciarsi in uno stretto e intollerabile viluppo con la cattiva politica. Tutto questo fa di
Undercover
un bel romanzo scritto da uno che sa e che magari ha
anche le prove.