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 2013  gennaio 11 Venerdì calendario

DAVIDE CARLUCCI

MILANO
— Per incredibile che possa sembrare, la colpa è tutta di una maledetta stampante. Nel mettere nero su bianco le 900 pagine di motivazioni della sentenza Infinito, che condannava in abbreviato 110 affiliati alla ’ndrangheta in Lombardia, l’apparecchio dell’ufficio gip di Milano, il primo giugno, omise di stamparne 120. Una bizzarria tecnica che ora rischia di compromettere in parte uno dei colpi più efficaci nella lotta alla criminalità organizzata al Nord. Mercoledì sera, la Cassazione ha annullato, senza rinvio, il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare Roberto Arnaldi ha tentato di ovviare all’errore materiale — non essersi accorto che la stampa non era riuscita per intero — integrando, il 4 giugno, la sentenza notificata con i tre capitoli mancanti (riguardanti le “locali” di Bresso, Solaro e Limbiate) e con la parte finale sul trattamento sanzionatorio, nel quale si spiega come si arriva alla quantificazione della pena.
La decisione, che accoglie il ricorso degli avvocati Manuela Caciuttolo, difensore dei fratelli Francesco e Vincenzo Ioculano, Raffaele Della Valle e Donatella Rapetti, legali di Annunziato Giuseppe Moscato, è senza precedenti. All’orizzonte non ci sono scarcerazioni immediate. Le porte del carcere, però, potrebbero riaprirsi se fosse accolto il ricorso presentato dai difensori degli imputati contro quel che non è ancora stato annullato, e cioè la sentenza
“monca” delle parti aggiunte in un secondo momento. Già molti avvocati — come Maria Teresa Zampogna, Fabio Schembri e Amedeo Rizza — hanno proposto ricorso in Appello e ora, forti della decisione romana, contano di vincere.
I pm della Dda, guidati dal procuratore
aggiunto Ilda Boccassini,
erano riusciti a ottenere condanne fino a 16 anni, come nel caso del boss di Pioltello Alessandro Manno, ponendo fine alla carriera criminale di ’ndranghetisti come Cosimo Barranca, capo della cosca di Milano: a lui il gup aveva inflitto 14 anni. Cosa resterà di centinaia di ore d’udienza e migliaia di pagine di verbali, dipenrestituire
de anche da quel che scriveranno i giudici della Cassazione nelle motivazioni dell’annullamento. Il processo d’appello è ancora in corso — proprio oggi è prevista un’udienza — e la corte potrebbe aspettare questo pronunciamento prima di fare una sua mossa. Oppure — l’ipotesi più probabile per Schembri — potrebbero
subito le carte ai togati di primo grado per un nuovo verdetto. Terzo scenario: i giudici d’appello celebrano il processo e, solo dopo la camera di consiglio, decidono se rifare tutto ex novo.
In procura, dopo qualche momento di stupore negli uffici dell’Antimafia, una volta accertato che non ci sono immediate scarcerazioni, è tornato il sereno. E anche loro attendono le motivazioni della Cassazione per stabilire il da farsi, anche se ovviamente il loro lavoro era finito con le indagini e le requisitorie in aula. Per gli avvocati, però, non è stata una dimenticanza ma un grave errore concettuale. «Non si può integrare una motivazione omessa» spiega l’avvocato Caciuttolo: la giurisprudenza, infatti, dice che è possibile riparare alle omissioni solo se queste non comportano una modifica sostanziale dell’atto. «In subordine — aggiunge Caciuttolo
— la correzione sarebbe dovuta avvenire in contraddittorio tra le parti, con una camera di consiglio». L’avviso del deposito dell’integrazione, inoltre, non è mai arrivato negli studi. «Nessun avviso — scrive Schembri nel suo ricorso — è stato notificato né all’imputato né al difensore».