Giuliano Foschini - Marco Mensurati, la Repubblica 11/1/2013, 11 gennaio 2013
È QUASI
l’ora di pranzo del 6 settembre scorso quando, nel palazzo di giustizia di Bari, il testimone Antonio Conte, messo alle strette dalle domande dei pm, conduce la sua linea difensiva all’estrema conseguenza.
«NON sento assolutamente niente, non so assolutamente niente, non so niente di niente, ma niente, zero! zero!», dice. Del resto è abbastanza difficile, per un allenatore di fama, spiegare come sia possibile che lo spogliatoio, il proprio spogliatoio, si sia trasformato in un suk nel quale i calciatori vendono partite e gol a ultrà, mafiosi e avversari: «Quando uno dice: “Eh! ma è impossibile che non ti sei accorto” Io dico: è impossibile? Io ho avuto Carobbio, ho avuto Masiello, ho avuto Doni... e voi a me mi state dicendo... E io gli dico: “Io sono un coglione!” ». È senza dubbio il momento più drammatico della testimonianza di Conte, 90 pagine di verbale nelle quali l’allenatore ha spiegato ai pm la sua versione di cosa accadde nel Bari durante il finale dei campionati 2008 e 2009 e, in particolare, in due partite: Bari- Treviso e Salernitana-Bari, due partite di calcio trattate come due partite di droga. Vendute per soldi — secondo il procuratore Antonio Laudati e il sostituto Ciro Angelillis — dallo spogliatoio della
squadra pugliese.
PERDERE A SALERNO PER 150MILA EURO
Cosa accadde in Salernitana-Bari (2009) è raccontato nell’informativa del comandante del reparto operativo dei Carabinieri, Riccardo Barbera. «L’allora team manager Luciano Tarantino — scrive — la settimana precedente alla partita fissò un incontro con l’allora difensore del Bari Marco Esposito presso il bar Mozart di Poggiofranco e gli disse che l’allenatore della Salernitana, Fabio Brini, gli aveva chiesto di interessarsi per far vincere loro la partita. Esposito racconta. «Ne parlai con la squadra: andammo io, Stellini, De Vezze e Santoni. A un certo punto scesero dalla macchina tre persone: Ganci, che giocava prima con noi, il capitano della loro squadra, che era Fusco e un’altra persona che ha detto che era il vice presidente della Salernitana... ». In realtà gli accertamenti hanno dimostrato che si trattava di Cosimo D’Angelo, appuntato dei carabinieri e cognato del presidente della Salernitana Antonio Lombardi. «I tre ci chiesero di “lasciare” la partita in cambio di 150 mila euro perché “noi abbiamo bisogno di vincere questa partita, perché ci dobbiamo salvare...». I quattro «senatori » del Bari presero tempo dicendo che avrebbero dovuto parlarne con la squadra. Il sabato della partita, prosegue Esposito, «vado in centro e incontro Iacovelli (ndr,
il factotum dei calciatori che faceva da tramite per le scommesse)
con quella persona, che era il vice presidente della Salernitana... ».
LE BUSTE PER BARI-TREVISO
Nel tardo pomeriggio Marco Esposito torna a casa. «Trovai Iacovelli con questi soldi ed aveva un elenco di... non ricordo il numero esatto, però indicativamente 25 persone a cui distribuire i soldi». Ecco la lista della stecca: 2.000 euro a Cosimo D’Angelo, 3.000 a Iacovelli. Una cifra indefinita al ristoratore Aldo Guarino, un regalo in soldi per Luciano
Tarantino, e 140mila da dividere tra i calciatori. Chi? Secondo Esposito: «Santoni, Masiello, Parisi, De Vezze, Galasso, Bonomi, Kutuzov, Caputo, Gillet, Colombo, Bianco, Stellini, Edusei, Lanzafame, Guberti e De Vezze. «Marco Esposito annotano i carabinieri ha escluso che Nicola Bellomo, Galano, Ranocchia, Gazzi, Barreto e Donda abbiano percepito il denaro mentre non ha ricordi chiari in merito a Rivas, Salvatore Masiello, Kamata e Doumbia ». Tutti calciatori che hanno scansato il processo penale ma
difficilmente usciranno indenni da quello sportivo.
Ma nell’indagine dei carabinieri — coordinata dal procuratore Antonio Laudati e dai pm Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro — c’è anche Bari-Treviso. Questo il racconto, riscontrato da numerose prove documentali, di Davide Lanzafame: «Ero stato avvicinato dai senatori della squadra, da Rajcic, Santoruvo, Esposito. La partita deve finire con la vittoria del Treviso... Uno dei promotori del Treviso — ricostruiscono i Carabinieri — era l’ex calciatore
del Bari, William Pianu che nell’intervallo della partita simulò per rendere credibile l’impegno sul terreno gioco, un violento alterco con Massimo Ganci ». Racconta Lanzafame: «All’interno del sottopasso litigarono volutamente per non dare all’arbitro modo di pensare che la partita fosse finta ma... accennarono un litigio in modo che questo, che tutto questo contorno sembrasse vero. Mi ricordo questa scena che per me fu ridicola». Il Treviso, ovviamente, vinse. «Il lunedì Rajcic e Santoruvo portarono i soldi negli spogliatoio. Poi a me diedero una busta con dei soldi, 6 o 7mila euro circa: io pensai che arrivassero direttamente dal Treviso perché si diceva che il Treviso in quel periodo ne comprò diverse di partite».
Un capitolo a parte è quello che riguarda Antonio Conte. Tutti i calciatori raccontano che l’allenatore in nessuna delle due occasioni era stato informato delle intenzioni della squadra. E per questo il tecnico non è mai stato iscritto al registro degli indagati. E però dal punto di vista della giustizia sportiva la cosa non è così pacifica. Tre le testimonianze “delicate”. Quella di Lanzafame: «Conte ci disse che non dovevamo comportarci male in campo», i calciatori non dovevano cioè «agevolare il Treviso» (...) «ci disse che se ci fosse stato qualche comportamento sleale avrebbe sostituito qualche giocatore anche dopo
10 minuti».
“RAGAZZI IO STO CON VOI”
Kutuzov è ancora più esplicito: «Sicuramente lo staff sapeva, perché pure l’allenatore ha detto: “Ragazzi io sto con voi. Io ho vinto il campionato (matematicamente,
ndr)”,
e l’allenatore sicuramente sapeva questa cosa qua, “faccio quello che volete voi”, cioè era al corrente e diceva: “Vado con voi”. Lui ha detto: “Ragazzi, se voi andate, potete giocare come volete alla fine, se si decide
insieme che la partita a voi non serve, magari a tutti insieme, io sto con voi a me non interessa». Imbarazzante anche la deposizione del portiere Jean Francois Gillet (che dopo l’anticipazione di
Repubblicaha
chiesto però alla procura di essere interrogato per spiegare meglio). Gillet parla proprio di Kutuzov che giocò perché l’attaccante designato, Colombo, si era rifiutato di giocare. «Durante il prepartita, Colombo disse: “Già non gioco mai, se devo giocare questa partita con una squadra moscia, dico di no”. (...) Conte era presente alla situazione. Era un po’ dispiaciuto ma prese atto».
LA VERSIONE DI CONTE
Ai magistrati che gli chiedono se lui si sia mai accorto di nulla, l’allenatore risponde in maniera netta: «Zero! zero!». Del resto, spiega, quando uno spogliatoio decide di chiudere la porta all’allenatore, non c’è niente da fare. Entrando nello specifico, Conte dice di non ricordare la riunione tecnica di cui parla Colombo e di ritenere contraddittoria la versione di Kutuzof («prima preparo la partita, mostro i filmati della Salernitana, poi dico: “Fate come vi pare?”»). Quanto a Lanzafame: «Se avessi saputo una cosa del genere a uno a uno gli staccavo la testa (...) mi viene da piangere a sapere che ci stanno dei soldi dietro e che fanno anche i figli di puttana, capisci?». Su Stellini: «È venuto a a dirmelo nello spogliatoio della Juve, dopo che era uscita la notizia sui giornali: “C’è una cosa che non sai sulla Salernitana...”. L’ho mandato via brutalmente e non lo feci nemmeno parlare».
La Procura ha chiesto l’archiviazione per 17 persone. In particolare per alcuni giocatori di serie A: su Andrea Ranocchia (Inter), Alessandro Gazzi (Torino) e Paolo Victor Barreto (Udinese). Per loro però comunque si profila un processo sportivo per omessa denuncia.
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FABIO TONACCI
ROMA
— «Questo l’hanno ammazzato, questo è stato arrestato, questo è sotto indagine, questo pure è morto... e questo seduto al tavolo è Salvatore Aronica». Il dito dell’ex reggente della cosca di ‘ndrangheta Vrenna-Bonaventura di Crotone si pianta sullo schermo della televisione, mentre la ripresa amatoriale continua la panoramica sui tavolini della sala addobbata. «Sì, Aronica il difensore del Napoli, ora al Palermo. Era amico mio quando giocava nel Crotone, dal 1998 al 2002. Quasi un fratello. Per questo l’ho inviato al mio matrimonio nel 2000. E lui mi invitò al suo in Sicilia. Certo che sapeva chi ero, il calcio a Crotone era roba nostra ».
Tutti in quegli anni sapevano chi era Luigi Bonaventura, reggente di una delle cosche più potenti della costa ionica e capo della security della squadra del cugino, quel Raffaele Vrenna presidente del Crotone negli anni della grande scalata dalla Promozione alla Serie B. Di lì sono passati calciatori poi diventati famosi, da Aronica a Giuseppe Sculli (coinvolto nell’inchiesta calcioscommesse), ora alla Lazio, nipote del boss Giuseppe Morabito. «Ero in rapporti con tutti — racconta Bonaventura — andavo alle feste con loro e con altri giocatori meno noti, come il capitano Alfredo Cardinale, Generoso Rossi, Giuseppe Geraldi. Si vantavano di essere amici miei, amici del boss. C’era anche Nocerino, ora al Milan, ma con lui non ho mai legato». Bonaventura nel 2007, all’età di 36 anni, è diventato collaboratore di giustizia. Le sue testimonianze su come la ’ndrangheta si è presa il calcio al Sud, dalle squadre minori a società medie come il Crotone («volevamo portarlo in Serie A, il progetto era di farne un nuovo Chievo, una squadra da metà classifica su cui scommettere aggiustando i risultati») sono diventate oggetto di un lungo interrogatorio (22 novembre) davanti al pm di Bari Giuseppe Dentamaro, titolare di un filone d’inchiesta sui rapporti tra la criminalità organizzata e le agenzie di raccolta delle puntate,
coordinata dal procuratore Laudati.
«A Crotone — dice Bonaventura — i miei uomini nella società che gestiva la sicurezza dello stadio avevano anche il compito di falsare il risultato delle gare. Aggredivamo i calciatori avversari, avvicinavamo i dirigenti, compravamo giocatori. Le partite contro il Benevento (playoff 2003-2004) e contro il Locri (stagione 1997) ce le siamo aggiustate. Intervenivamo anche sui tifosi che contestavano la squadra. Nel 2006 per Crotone-Juventus sugli spalti c’era il gotha della ‘ndrangheta: i Nicosia, gli Arena e altri». Ai pm baresi però non ha raccontato solo il passato remoto. «Sapevo che su Salernitana- Bari del 2009 c’era stato un qualche tipo di accordo, così come sapevo di una raccolta di scommesse anomala sull’over per Inter-Chievo». Di questa partita (31 maggio 2009), finita 4 a 3 per i neroazzurri, ha parlato anche Angelo Iacovelli, uno dei pentiti dell’inchiesta, che sostiene di aver scommesso per conto di alcuni giocatori del Bari sull’over. E come fa ad avere queste notizie Bonaventura, che dal 2007 è “fuori dai giochi”? Lo spiega così, aprendo una pista utile agli investigatori. «Sono stato avvicinato a Termoli da esponenti di clan campani, hanno provato a tirarmi dentro l’affare scommesse. A quanto ne so la Camorra è coinvolta in quegli episodi». Bonaventura ha molto da raccontare, sui rapporti tra calcio e ’ndrangheta. «Controllare la squadra del proprio paese porta prestigio alle ’ndrine, crea consenso, getta le basi per il voto di scambio». Interpiana Cittanova, Rosarno Calcio, Delianuova, San Luca, il Marina di Gioiosa Ionica, Schiavonea 97, Valle Grecanica. Società minori, dalla Serie D in giù, finite a vario titolo nei tentacoli della mafia calabrese. E però poi ci sono i giocatori. Alcuni fanno il grande salto, fino alla Serie A. «Per noi erano carriere da “accompagnare” - sottolinea Bonaventura - mandavamo i nostri calciatori al Nord, soprattutto a Torino e a Genova, per fare aumentare il loro valore». Un patrimonio da
gestire, come una partita di droga.