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 2013  gennaio 11 Venerdì calendario

MAURIZIO CROSETTI

GIÀ lo chiamano il giallo del cranio conteso e non è una storia gotica, semmai una
querelle
legale tra un museo e una comunità urbana con possibili letture sottotraccia: la solita, datatissima disputa Sud contro Nord, una vaga appendice di razzismo, un rigurgito neo-borbonico e il sospetto che qualcuno ci voglia marciare.
È la storia di un teschio, ma prima ancora di un poveraccio: tal Giuseppe Villella da Motta Santa Lucia, provincia di Catanzaro, nato pecoraio nel 1803 e morto brigante nel 1872, incarcerato per tre furti più l’incendio di un mulino, ucciso in galera da tisi, scorbuto e tifo.
Tra le molte sue disgrazie, costui ebbe pure quella di finire tra le mani di Cesare Lombroso, che lo puntò già da vivo nel penitenziario di Vigevano («Ipocrita, astuto, taciturno, cute scura, scarsa e grigia barba, folti i sopraccigli e i capelli »), e una volta morto gli fece l’autopsia per scoprire nel suo cranio (“520 millimetri la circonferenza, 1.340 grammi il peso del cervello”) la famosa “fossetta occipitale mediana”, insomma – a suo dire – una delle caratteristiche morfologiche del delinquente nato.
Le conclusioni di Lombroso vennero stampate nel
Trattato di antropologia sperimentale
dell’uomo delinquente
(Hoepli, 1876), la sua opera più celebre, nella quale lo studioso veronese descrisse ben 832 esami autoptici eseguiti su criminali, tra cui il povero brigante Villella (ma oggi, al suo paese, lo difendono sostenendo che fosse innocente, addirittura un eroe risorgimentale capace di battersi contro i Savoia, e che l’avessero scambiato per un altro).
Com’è noto, per Lombroso, criminali si nasce e non si diventa: protocollato, pubblicato in volume e quindi esposto in un museo, il teschio di Villella è diventato, per alcuni, il feticcio dell’antropologia criminale e per altri un oltraggio razzista, la pretesa che i meridionali siano biologicamente inferiori. Apriti cielo.
«Restituiteci quel cranio!» ha dunque intimato al Museo Lombroso di Torino il sindaco di Motta Santa Lucia, Amedeo Colacino, forte del sostegno del comitato “No Lombroso” e del movimento neo-borbonico. E il giudice di primo grado, Gustavo Danise, gli ha dato ragione: il 5 ottobre, una sentenza del Tribunale di Lamezia
Terme di fatto sequestrava il cranio di Villella. «Bene, così potremo dare degna sepoltura a quei poveri resti».
Il giudice ha anche proposto
di sostituire il cranio con un calco in gesso. Ma l’Università di Torino e il Museo Lombroso hanno fatto ricorso attraverso l’avvocatura dello Stato, ricorso
accolto dalla Corte d’Appello di Catanzaro che ha appena sospeso la prima ordinanza. Sarà un ulteriore grado di giudizio a stabilire in quale campo dovrà cadere
quel cranio usato ormai come un pallone da volley.
«Noi andremo avanti fino all’ultimo grado, per riavere le ossa del nostro concittadino e
patriota», insiste il sindaco del piccolo centro calabrese. Il pronunciamento definitivo sul cranio della discordia è in programma il 5 marzo.
«Il nostro museo documenta la scienza del positivismo, non è certo lombrosiano o agiografico, ci mancherebbe altro: quelle teorie sono superate da moltissimo tempo», spiega il professor Giacomo Giacobini, “custode” torinese del reperto conteso. «Con quel cranio si fonda di fatto l’attuale psicopatologia forense, è un bene culturale inalienabile che appartiene allo Stato, non a noi. La scienza avanza tramite la verifica e il superamento di ipotesi anche largamente condivise: le acquisizioni sono sempre provvisorie: il reperto è un documento fondamentale, tutelato tra l’altro dal codice dei Beni Culturali del 2004. È molto importante per testimoniare il metodo della scienza, e rifletterci». Esiste poi un altro rischio, quello di aprire una falla nei sistema di tutela, appunto, dei beni culturali: quanti potrebbero, d’ora in avanti, chiedere la restituzione di oggetti o reperti?
«Tuttavia è innegabile che le teorie di Cesare Lombroso abbiano promosso una cultura anti meridionalista che Torino deve respingere», sostiene Domenico Mangone, consigliere del Pd in sala rossa. Pure per lui, il teschio andrebbe rispedito al mittente. Anche se le cose non sono lineari come sembrano: c’è chi sostiene che a Motta Santa Lucia si stia pensando di allestire un museo del brigantaggio, e del resto la prima ordinanza del giudice di Lamezia ipotizzava la possibilità di lucrare (testuale), seppellendo o esponendo i resti del Villella.
Va anche detto che la delegazione catanzarese che si recò per la prima volta a Torino, sulle orme del teschio conteso, fu guidata nientemeno che da Domenico Scilipoti, personaggio condannato in Cassazione per reati ben più gravi di quelli che avrebbe commesso oltre un secolo fa il povero pecoraio. Per adesso, comunque, il cranio resta dov’è. Ben più importante, rispetto a quelle ossa, è che dalla scienza sia stato rimosso
Lombroso.