Marco Ansaldo, La Stampa 10/1/2013, 10 gennaio 2013
PETRUCCI, 14 ANNI SULLA MAGINOT DELLO SPORT
Con l’ultima riunione di Giunta della sua presidenza, si è chiusa formalmente l’era di Gianni Petrucci nel Coni. Diciamo formalmente perché a 67 anni Petrucci sarà tutt’altro che rottamato. Nei fatti la sua influenza si farà sentire ancora e non soltanto come prossimo presidente della Federbasket: rimarrà un punto di riferimento per la politica sportiva e se il suo posto al Foro Italico sarà preso da Pagnozzi assisteremo a una continuità operativa visto che i due hanno formato un tandem inscindibile. Non ci sarà ricambio, forse la differenza sarà nello stile: Petrucci ha sempre avuto un respiro da «grand commis» di stato, moderato nei toni tranne quando serviva alzare la voce, democristiano negli equilibri, abile a navigare in acque ai limiti dell’inquinamento politico convogliandole in modo da portare a casa il risultato per il Coni e per lo sport italiano. Non è un caso che il maggior passo falso della sua gestione sia stata la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020 bocciata da Monti: lo “tsunami” delle dimissioni di Berlusconi e dell’arrivo del governo tecnico non poteva prevederlo manco lui. Comunque la sua sconfitta ha coinciso con la vittoria del Paese cui sono stati risparmiati altri sprechi, tangenti e malaffare.
Bisogna riconoscere a Petrucci una forte passione per la materia di cui s’è occupato fin da quando entrò nella segreteria del Coni mentre i suoi coetanei occupavano le Università. L’abbiamo visto soffrire autenticamente per una gara, gioire e arrabbiarsi, anche se alla fine i complimenti erano pubblici e le critiche quasi sempre private, tranne quando prese di mira la Kostner a Vancouver. Nell’insieme è stato un presidente positivo: ha contribuito a mantenere lo sport italiano tra le 10 potenze mondiali con 150 medaglie olimpiche; ha affrontato la crisi economica del Coni, cominciata dal crollo del Totocalcio, senza che portasse alla depressione dell’attività; ha combattuto il doping; nonostante ci siano stati scandali, spese gonfiate e ammanchi di cassa anche nei vari palazzi dello sport, lui ha mantenuto un’immagine pulita. Nei risultati Petrucci lascia lo sport azzurro in uno stato di buona salute apparente: le 28 medaglie di Londra dimostrano che restiamo vincenti nelle discipline di nicchia ma siamo quasi o totalmente scomparsi in quelle più globali. E Vancouver ha fornito la foto impietosa di come siamo ridotti negli sport invernali. Insomma lui ha gestito la Maginot, la linea di resistenza all’emergere di Paesi con una nuova vocazione sportiva mentre nel nostro si sta esaurendo persino la minima collaborazione che esisteva con la scuola. Non è stato facile.