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 2013  gennaio 09 Mercoledì calendario

L’INFERNO IN NOVE METRI QUADRATI

[Tre reclusi in una cella, brandine a castello, il cibo poggiato pure sul gabinetto alla turca] –
Nove metri quadrati sono tre passi avanti e tre di lato. I tre passi avanti sono occupati da un castello di tre brandine, a cui hanno segato le gambe perché altrimenti l’ultimo a salire sbatte la testa contro il soffitto. E non è inusuale che, cadendo dal terzo piano, qualcuno si faccia anche male. Nei tre metri di lato trovano spazio, si fa per dire, un tavolo e due sgabelli. Due, non tre, perché il terzo non ci sta. E così uno a turno deve mangiare sul letto. Quello stesso cibo che si poggia sul gabinetto alla turca, anch’esso compreso nei nove metri. Per non farsi mancare niente, non c’è l’acqua calda e l’illuminazione è scarsa.
LA CONDANNA arrivata ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la seconda dal 2009, in realtà è solo un timido inizio. I giudici di Strasburgo hanno preso in esame i ricorsi presentati da sette detenuti, tre italiani e quattro stranieri (due marocchini, un albanese e un ivoriano), reclusi tra il 2009 e il 2010 nei penitenziari di Piacenza e Busto Arsizio. Nove metri quadrati in tre, per troppe ore al giorno e per periodi che vanno da un anno e due mesi a quattro anni e mezzo. Ora la situazione a Piacenza non è più la stessa, secondo il Garante dei detenuti Alberto Gromi, nelle celle di nove metri quadri vivono due uomini e non più tre. La terza branda è sparita, ma chissà se il cibo non rimane comunque sul gabinetto.
“Trattamento inumano e degradante”, hanno scritto i giudici europei, mettendo nero su bianco una verità che da troppi anni rimane immutata e condannando l’Italia a risarcire queste persone per danni morali per un totale di quasi centomila euro. Non solo: la Corte ha dato al nostro Paese un ultimatum, un anno di tempo per affrontare il problema del sovraffollamento e per creare un sistema che garantisca un risarcimento a tutti quei detenuti vittime di condizioni non conformi alla Convenzione europea dei diritti umani. È solo il vento prima di una tempesta che rischia di spazzare via tutto, perchè a Strasburgo pendono altri 550 ricorsi – collettivi – analoghi e, a botta di centomila euro alla volta, forse qualcuno si renderà conto che anche economicamente è meglio trattare i detenuti nel rispetto della loro dignità. Una sentenza che non avrà seguito, dicono i cappellani delle carceri. “Sentenza epocale”, secondo l’associazione Antigone. Quel che è certo è che Strasburgo ha analizzato a fondo ciò che il governo e il parlamento hanno fatto per risolvere l’“emergenza”: il Piano carceri – 450 milioni di euro, somma che si assottiglia di anno in anno – e la legge 199 del 2010, che prevede i domiciliari per condanne che non superino i 12 mesi di detenzione. La legge è limitata al 2013, hanno sottolineato i giudici, e comunque non ha cambiato nulla: siamo passati da un sovraffollamento pari al 151 per cento nel 2010 al 148 del 2012.
EPPURE SI VEDE che siamo in campagna elettorale, perchè ieri politici e alte cariche dello Stato si sono affrettati a commentare la sentenza, come se finora ad occuparsi del tema carceri siano stati altri. A cominciare dal presidente della Repubblica, Napolitano, che ha parlato di una “mortificante conferma”. O dal ministro della Giustizia, Severino, “avvilita, ma non stupita” o, ancora, dal collega Passera: “Male ha fatto il Parlamento a buttare a mare il ddl sulle pene alternative”. E se l’Unione camere penali chiede di inserire la riforma della giustizia nella prossima agenda politica – salvo poi dimenticarsene una volta seduti in Parlamento –, l’ex sottosegretario Giovanardi, evidentemente colpito nel vivo, gioca allo scaricabarile: “Basta con la solita disinformazione di chi tira in ballo a sproposito leggi in vigore, come la Fini-Giovanardi sulle droghe”. Dimentica che, secondo l’ultimo rapporto di Antigone, il numero dei tossicodipendenti in carcere si aggira attorno al 25 per cento . Forse i cappellani hanno ragione e il prossimo passo saranno solo le rivolte. Ne sanno qualcosa al Centro di identificazione ed espulsione di Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese, dove un giudice ha assolto tre stranieri che avevano dato vita a una sommossa, perché “hanno agito per difendere un loro diritto”. E anche questo fa giurisprudenza.