Lorenzo Galliani, Avvenire 10/1/2013, 10 gennaio 2013
PENSIONATI D’AZZARDO SUL BUS VERSO CAMPIONE
La corriera delle illusioni parte alle 11 dalla stazione centrale di Milano. Destinazione, un paese dei balocchi fatto di luci, tintinnii di gettoni e sogni di una ricchezza spacciata per felicità. Seduto vicino al finestrino, un cinese dai capelli brizzolati infarcisce di cifre un volantino del casinò di Campione d’Italia.
L’autista lo scruta: «Calcoli da matematici, troppo complicato». Il cinese alza lo sguardo, poi – chiuso in un angolo, come a voler custodire un segreto – riprende a scrivere numeri alla rinfusa. «C’è qualcuno che qui capisce l’italiano? – alza la voce l’autista, rivolgendosi alla folta schiera dei passeggeri asiatici –. Ieri uno di voi è rimasto a dormire sotto i sedili. Io non me ne sono accorto. Stamattina, alle 10, l’ho fatto scendere ». Il brizzolato traduce la frase, e dopo tre secondi, nella seconda metà del pulmino, si diffonde una risata generale. Il conducente, soddisfatto, torna verso il volante, passando tra le file occupate da signore sessantenni in pelliccia e qualche pensionato un poco più avanti con gli anni. All’ultimo, salgono due ragazze. «È la prima volta che vi vedo», dice l’autista, chiarendo subito dopo il suo stupore: «Loro – continua, indicando le anziane – le conosco tutte. Vengono a Campione ogni giorno». Si parte: la corriera scivola nel traffico milanese e si immette sull’autostrada che sfiora Como e raggiunge la Svizzera. Nessuno ha pagato il biglietto. Il casinò offre andata e ritorno, confidando poi di riavere, con gli interessi, la somma investita. Come sempre incasserà anche di più. Davanti il clima è allegro, da gita scolastica fuoriquota. Si parla di vacanze, delle famiglie, ovviamente anche di videopoker e roulette. Spunta una proposta: «Sabato andiamo a Saint-Vincent. Il viaggio costa 20 euro, ma li recuperiamo subito, perché è esattamente quanto viene regalato all’ingresso per giocare». Un affarone: per il banco, come sempre.
Tempo un’ora e si arriva a Campione, davanti al nuovo casinò aperto nel 2007. Una struttura imponente, con 650 slot machine tra videopoker, multigame e roulette elettroniche. Il cinese brizzolato si piazza subito lì, con la sua scheda riempita di numeri. Passeranno alcune ore e centinaia di puntate, poi si renderà conto che anche stavolta la sua strategia non ha funzionato. Le statistiche raccontano degli incassi più ingordi qui registrati, «hot wins», ma anche delle «max bets», le puntate più pesanti: 3.260 e 2.880 franchi. L’equivalente di 2.696 e 2.382 euro. Qualcuno li ha affidati, tutti in un colpo, al girovagare di una pallina bianca su una ruota con 36 numeri più lo zero, che quando esce fa disperare sia chi ha puntato sul colore rosso, sia chi ha messo le proprie fortune sul nero. Una signora argentina, anche lei arrivata con la corriera delle illusioni, si stanca presto: «Qui non si vince nulla. Esco e vado al casinò di Lugano». Al ritorno dirà: «Oggi non si vinceva neppure a Lugano ». Proprio oggi. Nella sala fumatori, l’occhio cade sulla prima pagina di un giornale locale. Titola: «La fortuna non abita qui». Il riferimento è alla lotteria del 6 gennaio, che non ha regalato premi ’pesanti’ ai territori di confine. Ma fa specie leggere una frase del genere in un luogo come questo, dove le macchinette – quando azzecchi la combinazione minima – ti convincono a caratteri cubitali e lampeggianti che «hai vinto» cinque centesimi di franco, quando in realtà ne hai puntati 50 e quindi persi 45. Così, a furia di «vincere», si rimane senza soldi. «Bisogna fermarsi prima», ammonisce un’anziana col volto pallido e magro, che anche questa volta si è «fermata dopo», a contanti esauriti. L’ora del poker texano non è ancora arrivata. Nel primo pomeriggio si aprono i tavoli del «Punto-banco», un altro gioco di carte, e della roulette reale, che si differenzia dalla versione elettronica per il fatto che la pallina è vera e che, nelle rare occasioni in cui si azzecca il numero, bisogna offrire la mancia al croupier. L’anziano dai grigi capelli raccolti in una coda di cavallo lascia più spesso intere pile di fiches, si lamenta quando esce un numero su cui aveva puntato in precedenza («ma perché è uscito solo adesso?») e allarga le braccia, forse in cerca di un’indulgenza che qualcuno gli concede con un «Può capitare, oggi va così».
Rien ne va plus , si torna sul pullman. Anche stavolta il carico di viaggiatori ha ripagato con gli interessi, al casinò, la spesa del biglietto generosamente offerto. L’ultimo a raggiungere la fermata è il conducente: «È andato a giocare anche lui», borbotta una signora. E la corriera delle illusioni si trasforma nel pulmino della collera. Saranno i risparmi svaniti e le pensioni bruciate – e se no cosa? – a rendere litigiose le allegre signore impellicciate di qualche ora prima. Urlano e si urlano contro, si insultano per il posto, per una presunta scortesia ricevuta dall’autista, che inchioda e si mette a gridare pure lui. Una scena che si ripete poco prima dell’arrivo a Milano, al ritmo di novantasette volgarità al minuto. Alla fine una delle tante grida: «Io qui sopra non ci salirò più». Chissà quante volte lo ha già detto. Chissà quante altre volte lo ripeterà.