Paolo Colonnello, La Stampa 10/1/2013, 10 gennaio 2013
«L’insegnamento specifico della dottrina cattolica, così come l’insegnamento di ogni altra disciplina è materia di valenza culturale, non costituisce un’impostazione dogmatica ma la corretta spiegazione di eventi e concetti religiosi di principi teologici che arricchisce il bagaglio culturale e umano di ogni individuo
«L’insegnamento specifico della dottrina cattolica, così come l’insegnamento di ogni altra disciplina è materia di valenza culturale, non costituisce un’impostazione dogmatica ma la corretta spiegazione di eventi e concetti religiosi di principi teologici che arricchisce il bagaglio culturale e umano di ogni individuo...». Chi l’ha scritto? Il tribunale della Santa Sede? Macché. Si tratta del passaggio di una sentenza del 2010 firmata da due delle «tre giudichesse femministe e comuniste» accusate l’altra sera in televisione da Silvio Berlusconi. La sentenza divenne perfino oggetto di una scandalizzata interrogazione parlamentare del deputato radicale Rita Bernardini che lamentava come le giudici Gloria Servetti e Anna Cattaneo, della nona sezione civile del tribunale di Milano, avessero respinto il ricorso di un padre che si era opposto alla decisione della ex moglie di fare frequentare corsi di catechismo al figlio. Un verdetto ben poco bolscevico, insomma. Del resto, è cosa nota: quando un giudice dà torto a Berlusconi, diventa subito comunista, anche se non appartiene a correnti sindacali e non manifesta in piazza.. Nel caso però del presidente della nona, Gloria Servetti, e delle due giudici a latere Anna Cattaneo e Nadia Dell’Arciprete, tre veterane della sezione famiglia, tutto si può dire tranne che siano «comuniste». Femministe non si sa, ma donne determinate di sicuro sì. Abituate a lavorare molto silenziosamente. E non potrebbe esser diversamente, visto che tutti i giorni devono calcare con sicurezza uno dei corridoi più scivolosi del palazzo di giustizia milanese, quello degli amori perduti, sesto piano, sezione separazioni e divorzi. Un luogo triste e asettico, dove ci si dice addio per sempre e le ideologie non contano. Semmai, i sentimenti. Non è un caso dunque che per difendere la correttezza di una delle sezioni più delicate dell’intero complesso giudiziario, siano intervenuti ieri il presidente del Tribunale Livia Pomodoro e quello della Corte d’Appello Giovanni Canzio. Con particolare piglio da parte della Pomodoro, toccata sul vivo femminile: «Il fatto che a decidere siano state tre donne non è un’aggravante ma piuttosto un pregio trattandosi di tre giudici preparatissimi. D’altronde - conclude Pomodoro - oggi tra i giudici più preparati ci sono proprio le donne». E Berlusconi se ne faccia una ragione, dato che anche al processo Ruby sarà un collegio tutto femminile a decidere la sua sorte. Ma l’attacco dell’altra sera del Cavaliere nascondeva in realtà ben altri obiettivi. Primo tra tutti quello di presentare, probabilmente alla fine del mese, un ricorso d’appello contro gli esorbitanti alimenti che è stato costretto a pagare a Veronica Lario, basando probabilmente il ricorso sui minori introiti certificati l’anno scorso dai difficili bilanci Mediaset. La partita, come previsto, non è ancora finita. Il giorno giusto potrebbe essere proprio il 30 gennaio, quando, scaduti i 4 anni di separazione, potrebbe anche essere depositata contestualmente la richiesta di divorzio.