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 2013  gennaio 10 Giovedì calendario

Chi fermerà il soldato Albertini, candidato senza esercito nella campagna lombarda, che ostacola i barbari sognanti di Maroni e i piani di Bersani al Senato? Come l’ultimo giapponese nella giungla l’ex sindaco di Milano è diventato l’imprendibile metafora di una battaglia politica giocata sull’eterogenesi dei fini: nella corsa al Pirellone le conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali sorprendono tattiche e anche strategie, un giorno Albertini danneggia il centrodestra, un altro fa male al centrosinistra e nella sommatoria dei fatti la confusione intorno a lui regna sovrana, nel senso che non avendo chance di vittoria tutti si chiedono contro chi combatte e perché

Chi fermerà il soldato Albertini, candidato senza esercito nella campagna lombarda, che ostacola i barbari sognanti di Maroni e i piani di Bersani al Senato? Come l’ultimo giapponese nella giungla l’ex sindaco di Milano è diventato l’imprendibile metafora di una battaglia politica giocata sull’eterogenesi dei fini: nella corsa al Pirellone le conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali sorprendono tattiche e anche strategie, un giorno Albertini danneggia il centrodestra, un altro fa male al centrosinistra e nella sommatoria dei fatti la confusione intorno a lui regna sovrana, nel senso che non avendo chance di vittoria tutti si chiedono contro chi combatte e perché. Domanda scontata e persino ovvia, perché mentre molti immaginavano una sua uscita di scena davanti all’accordo Pdl-Lega, Albertini è rimasto in campo, anzi ha raddoppiato: correrà anche in Senato sotto la bandiera di Mario Monti, rubacchiando quei voti e forse anche seggi decisivi per la governabilità del centrosinistra. Se voleva sorprendere, sparigliare, rompere gli schemi, mettere in difficoltà Berlusconi, il líder maximo che l’ha lanciato (e adesso dice di lui che non c’è proprio riconoscenza), intralciare i piani secessionisti e antieuropei di Maroni, Albertini c’è riuscito benissimo. Per lui l’alleanza Pdl-Lega è un atto contro natura (scriva pure sodomia) destinata a finire come nel terzo girone dell’Inferno dantesco... Ma con la candidatura al Senato formalizzata in pompa magna dal premier, Albertini mette i piedi nel piatto di Bersani e lo porta direttamente sul tavolo della trattativa con Monti: se la Lombardia sarà come l’Ohio, determinante per la futura maggioranza di governo, «il leader del Pd dovrà chiedere di essere aiutato». E Bersani si arrabbia, vorrei capire contro chi combatte, e qual è la partita di Monti in Lombardia, risponde alle domande di Sky tv. Avere Albertini in campo è un vantaggio per Umberto Ambrosoli e un handicap per Roberto Maroni. Ma Albertini al Senato è una mina vagante che disorienta più il centrosinistra del centrodestra. L’ex sindaco non nasconde quel che pensa, dell’uno e dell’altro schieramento: Berlusconi e il Pdl non sono più credibili in questo slalom elettorale in cui hanno detto tutto e il contrario di tutto; Bersani e il Pd senza l’aiuto di Monti in Lombardia non avranno i numeri per governare. Il suo progetto, traghettare gli spezzoni del Pdl nel Partito popolare europeo, riformare il centrodestra con la linea del rigore e della moralità impersonati da Mario Monti, lasciarsi alle spalle i bunga bunga e le leggi ad personam, resta in piedi. Anche se le contraddizioni dell’alleanza con Formigoni (inquisito e al centro dello scandalo sanità in Lombardia) risultavano evidenti e anche imbarazzanti, Albertini in queste settimane è andato avanti come un treno. Come quando a Palazzo Marino, nella città delle toghe rosse, secondo il Cavaliere, invitava il capo della Procura Borrelli a fare il guardiano degli appalti e della trasparenza. Per i berlusconiani era come vedere i cani in chiesa, roba da matti, ma per Albertini non c’era verso: lui seguiva la sua coscienza e la linea di Montanelli, che gli diceva di parlar chiaro, di tirar dritto e non farsi intimidire da nessuno. Anche in questa corsa è un po’ così, ma con l’auto che sembra impazzita e sul punto di finire fuori strada Albertini si trova benissimo. Sarà una corsa folle, senza senso, come dicono i leghisti che vedono nell’ex sindaco un ostacolo potente alla conquista della Regione? O sarà una tattica ben studiata per danneggiare il centrosinistra e diventare una quinta colonna della restaurazione formigoniana, come dicono nel Pd? «Se scontento tutti sono nel giusto», ammette Albertini che si rifà alla lezione di Sant’Ignazio e agli esercizi della scuola dei gesuiti, a quel Leone XIII di Milano dove anche Mario Monti ha ricevuto l’imprinting. Todo modo para buscar la voluntad divina: noi siamo così, ripete, e la mia come quella del premier è diventata una missione, una chiamata alla quale ho risposto per il bene del Paese di cui mi onoro di essere al servizio. Chi immaginava che in virtù di un altro motto gesuitico («vivere con il piede levato»), cioè pronti a lasciare, Gabriele Albertini si facesse da parte, non lo conosceva bene. L’uomo, quando si intigna, non si piega e non si spezza. Considera Maroni condannato dalla storia e Ambrosoli troppo vincolato all’elettorato del Pd: «Ci sono milioni di indecisi, in Lombardia ci saranno sorprese». Agli scettici, a chi lo guarda storto, a chi trova indigesto il suo protagonismo, a chi gli volta le spalle dopo avergliele coperte (vedi Formigoni e spezzoni di Cl), a chi ritiene suicida e folle la sua corsa, il soldato Albertini risponde beffardo: «C’è del metodo in questa follia».