Giuseppe Guastella, Corriere della Sera 10/1/2013, 10 gennaio 2013
MILANO —
Una pubblica amministrazione che per anni non paga i propri fornitori non può pretendere di processarli se poi questi non sono in grado di sborsare immediatamente le tasse: due sentenze di altrettanti giudici di Milano assolvono dall’accusa di evasione fiscale un imprenditore e il responsabile di una famosa comunità per tossicodipendenti diventati evasori fiscali a causa dei ritardi nei versamenti dei fondi pubblici indispensabili alla vita delle loro attività. I due, però, dovranno comunque pagare (con sanzioni e interessi) le tasse: la legge non consente la compensazione tra dare e avere.
La Sintea Plustek di Assago (Milano) produce e vende protesi vertebrali, ovviamente destinate alle sale operatorie degli ospedali. Dal 2005 ha fornito prodotti per un milione e 700mila euro a tre Asl e ad un ospedale della Campania. Che il servizio sanitario nazionale paghi con una lentezza esasperante è risaputo, ma in questo caso lumaca burocratica e carenza di fondi hanno profondamente inciso sulle finanze dell’azienda che, dopo aver sollecitato e intimato in ogni modo alle strutture sanitarie di pagare, non è riuscita nemmeno ad ottenere un anticipo sui crediti dalle banche pagando generose commissioni. A causa delle fatture che aveva dovuto emettere anche senza incassare, nel 2008 la Sintea Plustek avrebbe dovuto comunque versare al fisco quasi 180mila euro di iva. E in cassa soldi non ce n’erano.
Le procedure di riscossione dell’Agenzia delle entrate hanno dato il via nel 2012, come impone la legge, al recupero delle tasse con relative sanzioni e a un procedimento per evasione fiscale in cui la Procura di Milano ha chiesto l’emissione di un decreto penale di condanna a 6.840 euro di ammenda nei confronti di Paolo Guerra, legale rappresentante dell’azienda. «Io che ho sempre rispettato la legge mi sono trovato in una situazione drammatica che ho vissuto come un abuso», racconta Guerra, assistito dagli avvocati Paolo Antimiani e Andrea Marini. Ma il giudice per le indagini preliminari Claudio Castelli lo ha assolto «perché il fatto non costituisce reato».
«L’imputato è stato costretto a non pagare da un comportamento omissivo e dilatorio da parte di enti pubblici che avrebbero dovuto pagare», scrive Castelli nella sentenza in cui ricorda come dal 2000 una direttiva della Comunità europea prescrive che i pagamenti vanno fatti entro 30 giorni, e anche se essa è stata recepita dall’Italia solo a novembre il suo indirizzo doveva comunque essere tenuto in considerazione. «Questo modo di procedere uccide le piccole e medie industrie italiane che come noi hanno prevalentemente rapporti con lo Stato» dice Guerra che lavora anche all’estero «dove i tempi di pagamento vanno dai 30 giorni della Svizzera ai 60 degli Usa ai 90 del Brasile». Nonostante tutto ha poi raggiunto un accordo con l’Agenzia delle entrate e ora sta pagando a rate il suo debito, mentre i suoi debitori ancora non hanno saldato tutto il vecchio conto. Continuerà a pagare.
La Comunità Saman fu fondata nel 1981 a Lenzi (Trapani) da Maurizio Rostagno, ucciso 7 anni dopo in un agguato da assassini ancora ignoti. La sua attività no profit nell’assistenza e recupero dei tossicodipendenti ora si estende in varie regioni. «Lavoriamo al 95% con gli enti pubblici, se non ci pagano chiudiamo», spiega il legale rappresentante Achille Saletti. I crediti vantati dalla Samman nei confronti di Asl o ministeri, come hanno dimostrato al giudice Maria Grazia Domanico gli avvocati Rita D’Agostino e Andrea Gatto, sono costantemente lievitati negli anni passando dai 752mila euro del 2006 ai due milioni e mezzo del 2009. Nel 2007 la cooperativa ha emesso fatture per 895mila euro a fronte delle quali avrebbe dovuto versare circa 85mila euro di iva nel 2008 quando, però, non li aveva e il debito dello Stato era salito a un milione e 750mila euro. Un «omesso versamento delle ritenute» che, anche in questo caso, ha dato il via obbligatoriamente ad un procedimento penale nonostante Saletti avesse anche lui già contrattato con Equitalia una dilazione del debito dovuto all’erario cominciando a pagare le prime rate. A febbraio 2012 il moto inesorabile della macchina della giustizia è arrivato alla richiesta da parte del pm di un decreto penale di condanna per tre mesi di carcere convertiti in una multa da 3.240 euro. «Oltre al danno, anche la beffa di una situazione kafkiana» dichiara al telefono il rappresentante della Saman mentre viaggia in auto da Trapani a Palermo. «Non pretendiamo particolari attenzioni, ma neanche schiaffoni. Il no profit lavora con gli ultimi della terra e quello che per noi era motivo di orgoglio sta diventando un motivo di maledizione».
«Non risulta provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il dolo dell’imputati, nemmeno nella forma eventuale», scrive il giudice per le indagini preliminari Maria Grazia Domanico assolvendo Saletti. Secondo il gip, bisogna analizzare la «complessiva situazione di fatto in cui versava la Saman» per capire che non ha pagato l’Iva per «salvaguardare innanzi tutto l’esistenza stessa della cooperativa» stretta tra i «consistenti crediti» vantati nei confronti della amministrazione pubblica e il debito «in misura assai inferiore» verso l’amministrazione finanziaria.
Non pagare il fisco è stato un vero e proprio «caso di forza maggiore».