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 2012  dicembre 12 Mercoledì calendario

IL SOGNO MANCATO DI BETTY

[Lady Ford aspirava a diventare ballerina. Vinse la depressione, l’alcolismo, il cancro. Lottò per l’aborto, i diritti delle donne e contro le dipendenze. Ma in una cosa fallì: fare del marito un grande presidente] –
AVEVA COMINCIATO come modella in un grande magazzino di Chicago, la sua città natale. Poi aveva sognato di fare la ballerina, entrando nella scuola di danza moderna di Martha Graham nel Greenwich Village a New York. Si era sposata due volte. E la seconda a trent’anni, con un avvocato trentacinquenne, timido, dallo sguardo fisso e non proprio carismatico, ma che sarebbe diventato il trentottesimo presidente degli Stati Uniti. «Sono una donna normale che è stata presa in ostaggio in un’epoca eccezionale».
Il prologo della sua autobiografia potrebbe essere tranquillamente il suo epitaffio. In morte di Elizabeth Ann Bloomer Warren, per 300 milioni di americani Betty Ford, una delle donne più rispettate negli ultimi 40 anni. E anche oggi: gli Stati Uniti sono in lutto nazionale (valanghe di messaggi, a cominciare da quello di Barack Obama). Betty aveva 93 anni ed è morta semplicemente di vecchiaia all’Eisenhower Medical Center di Palm Springs in California. E in fondo anche questa è stata l’ultima sorpresa di una donna «troppo magra», come le faceva notare il marito Gerald Ford (e lei ricambiava facendogli trovare uno scheletro di plastica sul divano). Fragile: a 47 anni, con quattro figli adolescenti e con Gerald già tra gli emergenti del Partito repubblicano, il medico le prescriveva antidolorifici per alleviare gli attacchi di cervicale. Betty era invece depressa.
Anni dopo racconterà al suo biografo, Chris Chase: «Ho vissuto un periodo che penso capiti a molte donne. I loro mariti hanno lavori affascinanti, i figli stanno diventando indipendenti, adulti. E le mogli, le madri cominciano a sentirsi inutili, svuotate». Pillole, psicofarmaci e poi la bottiglia, whisky, gin, quello che capitava a tiro. Mentre Ford scollinava tra le alte cariche politiche, lei sprofondava sempre più giù. Il 28 settembre 1974 la signora Ford si sottopose a un intervento di mastectomia radicale. Le venne asportato il seno destro, devastato da un tumore. Da due mesi era diventata la first lady del Paese. Gerald Ford, dalla posizione di vicepresidente, era appena subentrato a Richard Nixon, travolto dallo scandalo Watergate.
ALL’INIZIO LA NUOVA COPPIA presidenziale sembrava quasi una caricatura. Erano tempi di ferro. Gli Stati Uniti erano in guerra nel Vietnam, il Paese raggiungeva forse il picco storico di impopolarità nel mondo, la gioventù americana era lacerata: c’era chi strappava la lettera di coscrizione e chi correva ad arruolarsi nei Marines. È l’epoca ritratta (pochi anni dopo) da film di successo quali Il cacciatore di Michael Cimino o Taxi Driver di Martin Scorsese. E chi governava il Paese? Uno dei presidenti più incolori, con al fianco un’ex alcolista. Ma non era proprio così. Almeno per quello che riguarda la signora Ford. Nella suite dell’ospedale dove si trovava in convalescenza Betty ricevette 10 mila lettere, 500 telefonate, 200 telegrammi e centinaia di mazzi di fiori in pochi giorni.
Quando lasciò la clinica Betty non era ancora fuori pericolo, ma tornò alla Casa Bianca e si presentò agli Stati Uniti per quello che era. Nei mille ricevimenti pubblici dava un po’ di colore all’esangue marito, ballava fino a tardi, riprendeva in mano le sigarette e cominciava a spargere i mozziconi nei pretenziosi vasetti disseminati da Thelma Catherine "Pat" Nixon, nata Ryan, nei salottini della residenza presidenziale. E parlava. In modo diretto, spiazzante. In televisione dichiarò che «sarebbe stata veramente sorpresa» se sua figlia Susan «non avesse ancora avuto dei rapporti sessuali prima del matrimonio». Si spendeva in favore dell’aborto e della costituzionalizzazione dell’emendamento sull’eguaglianza dei diritti tra uomo e donna. Nel 1976 ricevette la telefonata più bella dal medico di fiducia: «Betty, stai tranquilla, il cancro è sparito». Intanto il mite e frastornato marito riuscì a perdere le elezioni persino contro Jimmy Carter. «Mi hai fatto scappare 20 milioni di voti con le tue uscite», le diceva scherzando (ma non troppo) Gerald, Betty, però, lo aveva avvisato: prendi le distanze da Nixon, dai qualche segnale di cambiamento sulla guerra, promuovi una donna alla Corte suprema. Non accadde nulla di tutto questo. Ma la sera dei risultati, fa la first lady a leggere la dichiarazione ufficiale per riconoscere la sconfitta.
Fuori dalla Casa Bianca Betty si dedicava al progetto di un centro contro l’alcolismo e altre forme di dipendenza. Convinse l’industriale Leonard K. Firestone a mettere i soldi (e a trovarne altri). Nacque così il Betty Ford Center, un’istituzione considerata ancora oggi innovativa, basata su un approccio "integrato" (cioè medico e psicologico) alle debolezze umane. Un bei posto, l’ultimo che Betty ha visto dalla sua finestra dell’ospedale, a 11 miglia da Palm Springs.