Amedeo La Mattina, La Stampa 9/1/2013, 9 gennaio 2013
Maroni non vuole i Fratelli d’Italia al suo fianco nella corsa elettorale in Lombardia. È la prima vera grana dell’alleanza che Berlusconi ha appena stretto con la Lega
Maroni non vuole i Fratelli d’Italia al suo fianco nella corsa elettorale in Lombardia. È la prima vera grana dell’alleanza che Berlusconi ha appena stretto con la Lega. L’ex ministro dell’Interno non vorrebbe il sostegno di La Russa perché la nuova formazione politica ha un forte richiamo all’unità d’Italia e all’Inno di Mameli. Ma è chiaramente una scusa, come fa notare La Russa quando ricorda che il Carroccio ha sempre stretto accordi di ogni genere con un partito che si chiamava Forza Italia. «A meno che Maroni non tema la concorrenza sui temi caldi della trasparenza, della sicurezza e della nostra affidabilità nel “no alla sinistra”», precisa La Russa, che senza un accordo sul programma minaccia di non sostenere il capo leghista e di candidare Viviana Beccalossi alla presidenza lombarda. Cosa che non farà. Il punto vero è che ai Fratelli d’Italia non piace il patto sottoscritto dal Cavaliere con il Carroccio sull’istituzione della macroregione del Nord che dovrebbe trattenere il 75% delle imposte. E questo è l’aspetto più politico e nobile della vicenda. Ed è ovvio che Maroni non vuole accanto alleati che mettono in dubbio questo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale. C’è tuttavia un’altra spiegazione, più prosaica, che viene da ambienti leghisti: La Russa, in caso di vittoria alla Regione, pretenderebbe troppo in termini di posti di potere, senza essersi mai pesato elettoralmente. «Quanto vale il suo neonato partito? Cosa pretende?», si chiedono a via Bellerio. Dovrà essere Berlusconi a intervenire e convincere Maroni ad accettare i nuovi arrivati con l’Inno d’Italia. L’ex premier vuole un’alleanza nazionale la più larga possibile, con dentro il Grande Sud di Miccichè, la Destra di Storace, la lista degli ex democristiani, di Sgarbi e di Samorì. La più larga e forte possibile, soprattutto in quelle Regione che eleggono un gran numero di senatori con l’obiettivo di rendere ingovernabile Palazzo Madama. È lì che vuole concentrare il maggior numero di fedelissimi, dove scavare la trincea contro la sinistra e rendere ininfluente Monti. Oppure essere il vero interlocutore di Bersani, sempre per mettere in ombra il Professore. Non è un caso che il Cavaliere stia pensando di candidarsi capolista non in tutte le circoscrizioni della Camera ma in tre Regioni (questo è il massimo che la legge consente) per fare il pieno di voto. Sicuramente in Lombardia: sta valutando le altre opzioni della Sicilia, del Lazio e della Campania. Qui, in quest’ultima, potrebbe correre (oltre a Cosentino e Milanese) anche Denis Verdini, l’uomo che sta usando il machete sulle candidature. Cadranno infatti molte teste. Si conta che sono stati fatti fuori circa 200 parlamentari uscenti sulla base dei criteri stabiliti: 3 legislature o 15 anni complessivi in Parlamento; 65 anni di età, essere in regola con i versamenti al gruppo parlamentare. Certo, ci saranno delle deroghe, ma a quanto pare saranno pochissime. C’è chi parla di dieci deroghe in tutto che potrebbero arrivare a venti, ma non oltre. Il 10% o poco più degli uscenti, mentre il resto (lo ha ripetuto anche ieri sera a Otto e mezzo alla Gruber, che ha accusato di non essere obiettiva e di attaccarlo) saranno manager, imprenditori e professionisti. Tutti dovranno sottoscrivere un documento in cui si impegnano a rimanere due legislature, a dimezzare il numero dei parlamentari, ad abolire (e questa è nuova) il finanziamento pubblico ai partiti e a ridurre il 50% degli emolumenti a senatori e deputati. Tutti temi che hanno una forte presa sugli italiani, come la cancellazione dell’Imu.