Luigi La Spina, La Stampa 9/1/2013, 9 gennaio 2013
Tra i ministri del governo Monti, c’è chi si prepara alla campagna elettorale, come i titolari dell’Istruzione e della Sanità, Francesco Profumo e Renato Balduzzi, chi voleva entrare in politica nella lista del Professore, ma ha rinunciato, con un po’ di amarezza e di polemica, come Corrado Passera e chi l’ha sempre escluso, come il ministro del Lavoro e delle Pari Opportunità, Elsa Fornero, che, in questa intervista, traccia un bilancio della sua esperienza, da «tecnica», nel mondo della politica italiana
Tra i ministri del governo Monti, c’è chi si prepara alla campagna elettorale, come i titolari dell’Istruzione e della Sanità, Francesco Profumo e Renato Balduzzi, chi voleva entrare in politica nella lista del Professore, ma ha rinunciato, con un po’ di amarezza e di polemica, come Corrado Passera e chi l’ha sempre escluso, come il ministro del Lavoro e delle Pari Opportunità, Elsa Fornero, che, in questa intervista, traccia un bilancio della sua esperienza, da «tecnica», nel mondo della politica italiana. Ministro Fornero, perché non si è candidata nella lista di Monti? Non condivide la sua «salita in politica»? «Ho grandissima stima di Mario Monti e molta gratitudine nei suoi confronti, perché partecipare al suo governo è stato motivo di grande onore e, per me, di vero orgoglio. Ha sempre mostrato di avere fiducia in me e mi ha sempre appoggiata. Credo di capire l’operazione politica che ha in mente, cioè quella di scombinare un quadro parlamentare contrassegnato dalla contrapposizione feroce, da un progressivo impoverimento della politica che, poi, ha portato alla paralisi dell’azione governativa. Quella paralisi che ha indotto il Presidente della Repubblica a tentare l’esperimento del nostro governo tecnico». E allora, perché non è entrata nella sua lista? «L’operazione, in sé, trova tutto il mio sostegno. Ma un conto è l’operazione e un conto è la realizzazione. Non nascondo di temere che in questa realizzazione si possano intrufolare elementi esterni che la impoveriscano, che la depotenzino, che ne riducano la portata di grande novità positiva. Occorre evitare il rischio di trasformismi». Non apprezza, perciò, le scelte dei suoi colleghi Profumo e Balduzzi, per esempio? «Rispetto totalmente quelle scelte. Io ho deciso di non seguire il loro esempio per un mio modo, molto personale, di interpretare quello che è stato il mio ruolo di ministro in un governo tecnico. Un ruolo che ho sempre inteso come a termine. Un periodo di servizio al Paese nel quale ho dato tutta me stessa, ma che non può essere lo stesso servizio svolto in una modalità che, invece, è molto diversa. Ecco la prima ragione, quella di personale, personalissima, coerenza». Le altre, quali sono? «La seconda ragione è quella familiare. Il capovolgimento della mia vita non ha riguardato solo me, ma anche la mia famiglia. Ho potuto chiederlo per un po’, ma, se diventa una modalità di vita, non mi sembra giusto imporlo. La terza ragione riguarda l’esperienza di questo anno: ho subito tanti e tali attacchi che l’idea di essere di nuovo un bersaglio in campagna elettorale non mi attira proprio». A proposito di attacchi. Lei è stata forse il ministro più contestato, sbeffeggiato, insultato e minacciato del governo Monti. E’ normale che in politica si debba accettare questo prezzo? «No, non è giusto e non è accettabile. E’ un altro dei molti segni di imbarbarimento che noi abbiamo vissuto negli ultimi 15 anni. Anni segnati da una politica di contrapposizione frontale non sul merito dei problemi, ma ai limiti della vera inimicizia personale. E non dobbiamo dimenticare che abbiamo anche una storia recente contrassegnata dal terrorismo, per cui quella inimicizia si è estremizzata in violenza omicida. Proprio ieri, a mia figlia è arrivata una minaccia di morte su un foglio con la stella a cinque punte. Questo stillicidio di minacce, anche nei confronti della mia famiglia, è un segno di intollerabile viltà, di decadimento civile e anche morale del nostro Paese». Ministro, è pentita, allora, di aver accettato l’incarico? Ne valeva la pena? «Dico di sì. L’azione di questo governo è stata determinante nell’allontanare dal Paese una situazione di crisi finanziaria che avrebbe avuto conseguenze molto pesanti per le famiglie italiane. L’idea che questa prospettiva sia stata evitata per l’azione di questo governo, e magari anche per quello ho realizzato in questo governo, mi fa rispondere alla domanda in modo affermativo». Lei è stata anche ministro per le Pari Opportunità. Ha sentito, durante questa esperienza, una disparità di trattamento, come donna? «Sì, sicuramente. Il fatto che le donne non siano abituate al potere, lo affrontino con un metodo diverso, con un linguaggio diverso, non è tollerato. Penso, per esempio, che la mia abitudine a usare la sincerità come base del dialogo abbia spiazzato. Bisogna essere molto più diplomatici, giocare i giochi precostituiti. Siccome le donne non hanno contribuito a determinare questi giochi precostituiti, a determinare regole che non conoscono, disturbano troppo. C’è, poi, da considerare un altro elemento: una persona che è riconducibile a un partito ha le spalle coperte. Una persona che è veramente tecnica è sola, lì con la sua competenza e la sua onestà intellettuale. Per questo è molto più scoperta e io credo di aver sofferto anche per questo». Nei momenti degli attacchi più duri, ha sentito solidarietà tra i colleghi di governo? «Qualche volta ho sentito solidarietà, ma qualche volta mi sono sentita sola». A proposito di solidarietà e di donne, si è anche sentita delusa dall’atteggiamento del leader Cgil, Susanna Camusso? «Considero questa un’occasione mancata, perché penso che, tra lei e me, ci sia una convergenza di obbiettivi molto maggiore di quanto non traspaia dalla contrapposizione che abbiamo avuto sui metodi. Credo che se avessimo lavorato diversamente, meno sotto i riflettori, che né io né lei abbiamo voluto ma che erano inevitabili, forse avremmo potuto trovare una maggiore convergenza anche sugli strumenti per realizzare gli obbiettivi comuni». Lei è stata criticata anche per il suo atteggiamento, definito da professoressa, qualche volta arrogante... «Ho tanti difetti, lo so, ma non sono mai arrogante. Piuttosto, non capisco mi rimproverino il fatto di essere una professoressa. E’ tutta la vita che lo faccio ed è naturale che cerchi di parlare chiaro, di cercare di spiegare come stiano le cose. Certo, parlare chiaro è considerato come fonte di gaffe, e non è apprezzato in politica». Le sue gaffe sono ormai proverbiali... «Guardi, io non sono capace di leggere un testo, perché ho bisogno di vedere i miei interlocutori, ho bisogno di capire che comunico con loro. Così c’è il rischio di dire una parola sbagliata, o interpretabile in malo modo e, questo, mi ha procurato molti guai. Quello che poteva essere considerata una dote di chiarezza e di spontaneità è diventata fonte di gaffe». Insomma, in un anno non ha imparato il linguaggio della politica? «No. Il linguaggio politico soffre, secondo me, di una sospensione nel vuoto. Spesso sentiamo politici e non capiamo cosa dicano, non sappiamo neanche cosa vogliano. E’ il linguaggio dell’ammiccare, del promettere senza impegni chiari. Nella politica ci sono strane cose: ad esempio, mi è capitato in Parlamento di subire attacchi indecorosi, non credo accettabili tranquillamente, come quando qualcuno ha parlato di “governo truffaldino”. Il significato di questa parola è chiaro, preciso e lo si deve ben motivare. Dopo questo tipo di attacchi, capitava che la stessa persona mi dicesse: “Niente di personale, ministro”. La mia risposta è stata: “Niente di personale, ma molto sgradevole”. Non penso che, dopo attacchi del genere, si possa andare tranquillamente a prendere un caffè insieme, come fanno abitualmente i politici». A parte gli attacchi, anche le sue lacrime hanno provocato ironie e critiche. Si pente di quello scoppio di emotività? «Già, le mie lacrime sono state considerate, magari, non sincere, soprattutto da una parte della stampa che mi ha ridicolizzato per quasi un anno. Poi, ho visto che piangere non capita solo a me. Per restare in Italia, è capitato a Vendola ed è stata considerata una prova di sensibilità. E’ capitato pure a Bersani ed è stata considerata una prova di devozione filiale. Nel mio caso, per due lacrimucce, da un occhio solo, sono stata criticata in maniera cattiva, gratuitamente cattiva». Le critiche nei suoi confronti, però, hanno riguardato anche il merito delle sue riforme. Quella sulle pensioni è stata riconosciuta come un passo importante per garantirle anche in futuro, ma la polemica sugli esodati è stata feroce. Non ha nulla da rimproverarsi a questo proposito? «Il numero degli esodati non si trova una volta per tutte e la questione non si risolve una volta per tutte. Sono numeri che maturano nel tempo e che era impossibile conoscere tutti alla data in cui il problema si era posto. Bisogna ricordare le circostanze drammatiche nelle quali siamo stati costretti ad operare quei sacrifici sulle pensioni. Abbiamo fatto diverse simulazioni del risparmio di spese pensionistiche e la risposta che mi veniva data dal ministero dell’Economia era sempre la stessa: “Non basta”. In quella situazione, la cosa di cui posso rimproverarmi è di aver accolto con fiducia le stime che, dall’Inps e dalla Ragioneria dello Stato, mi avevano dato e che erano di 50 mila persone interessate. Io, per prudenza, le alzai a 65 mila. Avrei dovuto comportarmi come San Tommaso...». La riforma del mercato del lavoro, invece, è stata giudicata inefficace rispetto all’obbiettivo di creare una maggiore occupazione. Non è stata un’occasione persa? «Qui c’è un equivoco. Una riforma strutturale non produce risultati immediati, checché se ne dica. La riforma non è stata fatta per rivitalizzare il mercato del lavoro in un periodo di profonda recessione. E’ stata fatta per irrobustire la nostra economia nel momento in cui partirà la ripresa. Se avessimo avuto risorse per defiscalizzare il lavoro e incentivare l’occupazione, i risultati, a breve termine, si sarebbero visti subito. Ma l’occupazione, quella vera e non drogata, si crea con una economia che cresce e noi abbiamo dovuto fare una politica economica di rigore finanziario. Una politica che certamente ha peggiorato il clima recessivo, come lo stesso Monti ha ammesso più volte, con la massima sincerità. Qualche volta non sono possibili le cose auspicabili, perché ci sono vincoli troppo stringenti, come il rischio di riportare di nuovo il Paese in una drammatica crisi finanziaria». Ministro, lei sta per concludere questa esperienza politica. E’ tempo di bilanci. Oltre all’orgoglio per aver partecipato a questo governo, alla gratitudine nei confronti di Monti, c’è un qualche rammarico? «Sì, devo confessare di sì. Riguarda l’eredità di questo governo, quel capitale di innovazione che rischia di essere sprecato nello scontro elettorale di queste settimane».