Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 09 Mercoledì calendario

Una dura critica di Piero Ostellino al nuovo «redditometro» (Corriere, 6 gennaio) ha causato la piccata replica, ieri, del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera

Una dura critica di Piero Ostellino al nuovo «redditometro» (Corriere, 6 gennaio) ha causato la piccata replica, ieri, del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. Mi permetto di dissentire da entrambe e di concordare con lo spirito di quanto qui scritto, sempre ieri, da Massimo Fracaro e Nicola Saldutti. Per Ostellino viviamo in «uno Stato di polizia tipico del totalitarismo del XX secolo». I suoi perversi burocrati odiano la società dei consumi, preferendo vederci girare su auto simil-Trabant e abitare in grigi casermoni popolari. Per lui, uno Stato che ci chiede in che casa viviamo vuole farci languire nelle catapecchie; in verità, lo Stato, che siamo noi (perciò si vota, se poi ci sbagliamo è colpa nostra), vuole capire se il nostro tenore di vita è coerente con il reddito dichiarato. Se non lo è, chiede di chiarire la discrepanza, richiesta che parrà stravagante solo a chi — non può essere Ostellino — ignori che l’evasione assomma a 120 miliardi, il 18% delle entrate fiscali. Il conto grava su tutti i contribuenti in regola. Si può dire che paghiamo troppe tasse per i servizi che riceviamo, o prendersela con un fisco spesso ottuso, ma il redditometro (metodo certo grezzo) non è stato inventato dal compagno Honecker; le 37 pagine di istruzioni dell’Automated Substitute for Return mostrano «quanto sa di sale» il fisco degli Usa, paradiso dell’economia di mercato. Ogni tentativo di stanare l’evasione con la persuasione è fallito: anche la cosiddetta «cedolare secca» sugli affitti — un assurdo dono della destra a chi non ne ha bisogno, ma si suppone la voti — introdotta sperando di far emergere il «nero», ha dato solo un quarto del gettito stimato. Se a Ostellino questo pare uno Stato di polizia, non condividerà la ragione per cui a mio avviso Befera ha torto: questi presuppone che altro non si possa fare, il che non è vero. Ci sono modi più efficaci per determinare, non stimare, i redditi. Il governo Berlusconi ereditò una serie di misure, dovute all’esecrato ex vice ministro dell’Economia, Vincenzo Visco, per definire i redditi effettivi; con la tracciabilità dei pagamenti, i conti correnti dedicati per i professionisti, gli elenchi clienti e fornitori, integrando organicamente imposte sul reddito, Irap e Iva. Tremonti (Befera juvante) corse a disfare le misure di Visco, definito Dracula fra i donatori di sangue, salvo poi reintrodurne, disorganicamente, alcune. Ciò detto, si potrebbe ripartire senza grandi difficoltà, anche grazie alla banca dati sui rapporti finanziari prevista da un provvedimento del governo Monti, definendo il reddito effettivo dei contribuenti e comunicandoglielo in anticipo, perché ne tengano conto in dichiarazione. Questo sentiero virtuoso abbandonato non è stato ripreso per ragioni politiche: per timore delle dure reazioni che la reviviscenza integrale delle «vampiresche» misure di Visco avrebbe causato. Se Befera doveva difendere il passato, un governo «tecnico» avrebbe dovuto lasciare il segno, facendo quello che era giusto e basta. Confesso, infine, una mia speciale sensibilità al tema; sono in conflitto d’interesse, essendo uno dei 3641 che nel 2010 hanno dichiarato 500 mila euro o più (non parlo dunque per invidia sociale, come taluno definisce l’auspicio di avere un fisco equo). A quanto pare la gran maggioranza dei 3641 è, a differenza di me, lavoratore dipendente; sono lusingato d’essere stato, nel 2010, uno dei 1000 o poco più imprenditori, professionisti e autonomi dal reddito più alto in tutta Italia. A trovarci tutti assieme non riempiremmo un teatro di provincia. Né Befera né Ostellino possono credere che la realtà somigli agli F24. I redditi da capitale, si sa, hanno tassazione separata, ma ciò prova solo l’urgenza di un’ampia e organica revisione dell’imposizione — a chiamarla tax review suona meglio — anche alla luce dell’inopinata apertura pre-elettorale di Mario Monti su Imu e Iva.