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 2013  gennaio 09 Mercoledì calendario

Parlando di italiani da cui prendere esempio per una buona politica economica e finanziaria, ha citato, fra gli altri, Luigi Luzzatti che «convertì il debito italiano nelle maggiori borse europee riducendone considerevolmente il carico»

Parlando di italiani da cui prendere esempio per una buona politica economica e finanziaria, ha citato, fra gli altri, Luigi Luzzatti che «convertì il debito italiano nelle maggiori borse europee riducendone considerevolmente il carico». Di che cosa si trattò? Pietro Volpi pietrovolpi@virgilio.it Caro Volpi, Quando Luigi Luzzatti (più volte ministro delle Finanze e presidente del Consiglio per alcuni mesi dal 1910 al 1911) s’impegnò nella conversione della rendita, queste erano le condizioni della finanza italiana. Per il pagamento degli interessi delle obbligazioni italiane nei mercati internazionali lo Stato italiano doveva stanziare ogni anno una somma di poco inferiore, in moneta corrente, ai trenta miliardi di euro. L’interesse pattuito, al momento della collocazione dei bond sul mercato, era il 5%, ma Luzzatti era convinto che la maggiore credibilità conquistata dall’Italia con lo sviluppo industriale del decennio precedente, avrebbe consentito di spuntare un tasso più conveniente, intorno al 3,5%. L’operazione, tuttavia, era delicata. Occorreva fare una rigorosa politica di bilancio per evitare che troppe spese intaccassero il credito del Paese. Occorreva evitare che i mercati reagissero male vendendo le obbligazioni italiane, anziché convertirle a un tasso inferiore. La migliore difesa contro una tale prospettiva era la creazione di un consorzio composto da alcuni fra i maggiori istituti di credito internazionali. Il consorzio fu costituito sotto la guida dei Rothschild e mise a disposizione del Tesoro italiano una somma cuscinetto di 400 milioni di lire. Gli accordi furono firmati a Parigi il 26 giugno 1906, all’inizio di un nuovo governo Giolitti, e vennero approvati dal Parlamento il 28 giugno con una procedura fulminea. La legge giunse alla Camera alle tre del pomeriggio, ne uscì con l’approvazione dopo due ore e mezza, passò immediatamente al Senato dove il voto favorevole fu dato nel giro di mezz’ora. Due ore dopo era al Quirinale per la firma di Vittorio Emanuele e il mattino seguente era sulla Gazzetta Ufficiale. I titoli convertiti ammontavano, in valuta corrente, a poco meno di sessanta miliardi di euro. Per rispondere a questa lettera, caro Volpi, ho letto alcune pagine di Luzzatti apparse in un libro del 1916 (Scienza e patria) e ho trovato un aneddoto che concerne un altro degli uomini esemplari citati nella risposta a cui lei fa riferimento: Quintino Sella. Luzzatti racconta che dopo il trasferimento della capitale a Roma nel 1870, venne in discussione un problema: se ai ministri, come usava in molti altri Paesi, lo Stato dovesse fornire un alloggio. Sella, allora ministro delle Finanze, ci pensò a lungo e disse: «No; noi siamo tutti dei borghesi con famiglie borghesi, abituate modestamente, lontane dagli splendori dei grandi palazzi; noi non faremo uscire le nostre famiglie da queste abitudini di temperanza e di sobrietà». Dedico questo «pensiero dell’anno nuovo» a coloro che si candideranno nelle prossime elezioni.