Tim Folger, National Geographic 2/1/2013, 2 gennaio 2013
FINO ALLE STELLE
[Saremo mai abbastanza folli da tentare un viaggio interstellare?] –
Ai margini di un parcheggio del Marshall Space Flight Center di Huntsville, nell’Alabama, giace la reliquia di un’epoca in cui il nostro futuro come specie in grado di esplorare lo spazio sembrava inevitabile, nitido come un razzo al decollo da Cape Canaveral. «Non è un modello», spiega Les Johnson, fisico della NASA, mentre osserviamo il groviglio di tubi, ugelli e piastre protettive alto 10 metri. «È un autentico motore nucleare per razzi». Molto tempo fa, l’agenzia propose una missione su Marte con una decina di astronauti e due astronavi, ciascuna sospinta da tre di questi motori. Il direttore del centro Marshall, Wernher von Braun, presentò il progetto nell’agosto 1969, due settimane dopo che il suo razzo Saturn V aveva trasportato i primi astronauti sulla Luna. Von Braun suggerì il 12 novembre 1981 come data possibile per la partenza per Marte. I motori nucleari avevano già superato tutti i collaudi a terra. Erano pronti per il volo.
Trent’anni dopo l’atterraggio mancato su Marte, in un’umida mattina di giugno, Johnson fissa con aria malinconica il motore da 18 tonnellate. Il ricercatore dirige un piccolo gruppo incaricato di valutare la fattibilità di "concetti avanzati" nella tecnologia spaziale, e NERVA, il vecchio motore nucleare che abbiamo di fronte, potrebbe anche rientrare in questa categoria. «Se vogliamo mandare gente su Marte bisognerà riprendere in considerazione qualcosa del genere», dice. «Richiederebbe la metà del combustibile di un vettore convenzionale». Attualmente la NASA sta progettando un razzo convenzionale per sostituire il Satum V (andato in pensione nel 1973, poco dopo l’ultima missione sulla Luna), ma non ha ancora deciso dove lo spedirà. Anche il progetto NERVA terminò nel 1973, senza un collaudo in volo. Da allora, per tutta l’epoca dello Space Shuttle, nessun equipaggio umano si è avventurato a più di 600 chilometri di distanza dalla Terra.
Tutto ciò potrebbe far apparire un po’ assurda la domanda sulla quale Johnson e io abbiamo di- scusso per tutta la mattina: gli esseri umani raggiungeranno mai le stelle?
Eppure mezzo secolo fa sembrava quasi un’idea ragionevole. Perché? «Ovviamente, in un certo senso, eravamo un po’ pazzi», risponde il fisico Freeman Dyson, dell’Instìtute for Advanced Study di Princeton. Alla fine degli anni Cin- quanta Dyson lavorò al Progetto Orion, il cui obiettivo era realizzare un veicolo spaziale con equipaggio in grado di raggiungere Marte e i satelliti di Saturno. Anziché utilizzare, come NERVA, reattori nucleari per produrre idrogeno super-riscaldato, Orion avrebbe sganciato piccoli ordigni nucleari ogni quarto di secondo circa e avrebbe "surfato" sulle palle di fuoco che si lasciava alle spalle. «Sarebbe stato enormemente rischioso», ammette Dyson, che intendeva compiere personalmente il viaggio verso Saturno. «Ne eravamo consapevoli. Ma allora c’era un’atmosfera diversa. Un’avventura priva di rischi non aveva senso».
Oggi è più facile individuare i motivi per cui l’impresa non è fattibile: le stelle sono troppo lontane e non ci sono abbastanza soldi. Tuttavia, i motivi per cui potremmo tentarla ugualmente stanno acquisendo sempre più credibilità. Gli astronomi hanno individuato pianeti nell’orbita di molte stelle vicine; prima o poi ne troveranno uno simile alla Terra situato a una distanza dalla propria stella adatta a renderlo potenzialmente abitabile, creando così all’istante una meta assolutamente irresistibile. Anche la tecnologia è molto più avanzata di quanto fosse negli anni Sessanta. Quel giorno, nel suo studio, Les Johnson mi ha mostrato ciò che appariva come uno scampolo di stoffa simile a una ragnatela. Era un campione di tessuto in fibra di carbonio per la gigantesca vela di un veicolo spaziale: un propulsore in grado di portare una sonda oltre Plutone sfruttando la luce del Sole o un fascio laser. «Questo è il materiale che potrebbe aiutarci ad arrivare fin là», ha detto Johnson.
Per raggiungere le stelle avremo certamente bisogno di nuovi materiali e motori, ma anche di alcune delle vecchie, imprevedibili follie. Che non sono affatto svanite, ma al contrario sembrano spuntare nuovamente fuori per colmare il vuoto lasciato dallo Shuttle, che nel 2011 è diventato un pezzo da museo al pari del Saturn V. Oggi nelle conversazioni di certi "tecno-visionari" si possono cogliere echi delle aspirazioni e dello spirito di avventura di un tempo: la vecchia follia per lo spazio.
LA SCORSA PRIMAVERA SPACEX, una società privata dell’area di Los Angeles, ha usato uno dei suoi razzi per lanciare una capsula senza equi- paggio che ha raggiunto la Stazione Spaziale Internazionale. SpaceX è tra le aziende che competono per fornire un veicolo di rifornimento per la Iss che sostituisca lo Shuttle. Un mese prima un’altra società, Planetary Resources, finanziata da ricchi investitori come Larry Page ed Eric Schmidt di Google, ha presentato un progetto che prevede l’uso di veicoli robotizzati per estrarre metalli preziosi dagli asteroidi. «Per la fine del decennio speriamo di aver identificato i nostri primi obiettivi e di iniziare le prospezioni», dichiara Peter Diamandis, uno dei fondatori dell’azienda.
«Un giorno considereremo questo decennio come l’inizio dell’era spaziale commerciale», dice Mason Peck, responsabile del settore tecnologico della NASA. «Sono molte le aziende che cercano un modo per trarre profitto dallo spazio. Oggi vediamo un’energia, una motivazione economica ad andare nello spazio, che prima non esisteva».
Del resto le motivazioni economiche hanno sempre incentivato le grandi esplorazioni. Nel Medio Evo i commercianti affrontavano i pericoli della Via della Seta per raggiungere i mercati in Cina; nel XV secolo le caravelle portoghesi navigavano al di là dei limiti del mondo conosciuto non tanto in cerca di conoscenza, quanto di oro e spezie. «Storicamente, la spinta a conquistare nuove frontiere è sempre venuta dalla ricerca di risorse», spiega Diamandis. «La scienza e la curiosità sono motivazioni deboli in confronto alla produzione di ricchezza. L’unico modo per aprire davvero la frontiera dello spazio è creare un motore economico, e quel motore è l’estrazione di risorse».
Una risorsa su cui Diamandis e l’altro fondatore della società, Eric Anderson, hanno puntato gli occhi è il platino, così raro sulla Terra che oggi il suo valore è di circa 40 euro al grammo. Solo che inviare robot su un asteroide lontano un milione di chilometri o più ed estrarre e raffinare minerali a gravita zero, o trainare un asteroide in prossimità della Terra, richiede una tecnologia che ancora non esiste. «È probabile che l’impresa fallisca», ha ammesso Anderson lo scorso aprile. «Ma riteniamo che tentare di fare qualcosa per l’esplorazione dello spazio sia importante. Ovviamente speriamo anche di fare un sacco di soldi».
Elon Musk, quarantunenne fondatore di Pay- Pal, Tesla Motors e SpaceX, ha già fatto un sacco di soldi, e ora sta dedicando una porzione significativa del suo capitale a un programma spaziale. Il nuovo razzo progettato da SpaceX, il Falcon Heavy, sarà in grado - dice Musk - di trasportare un carico doppio rispetto allo Shuttle, a un quinto del costo. L’obiettivo però è di ridurre ulteriormente i costi attraverso lo sviluppo dei primi razzi riutilizzabili. «È estremamente difficile, e molti ritengono che sia impossibile, ma non io», afferma Musk.
Per Musk tutto ciò è solo parte di un progetto molto più ambizioso: fondare una colonia umana permanente su Marte. La NASA ha ottenuto grandi successi nell’esplorazione di Marte con i rover, il più recente dei quali è Curiosity, ma ha ripetutamente rimandato le missioni con equipaggio. Musk è convinto che SpaceX sarà in grado di portare astronauti su Marte entro 20 anni e proseguire il programma di voli umani nei decenni a seguire.
«Il punto non è inviare una missione su Marte», dice. «A lungo termine, occorrerà trasferirvi milioni di persone e milioni di tonnellate di materiale per creare una civiltà autosostenibile. Sarà l’impresa più difficile che l’umanità abbia mai compiuto, ed è tutt’altro che certo che possa realizzarsi. Non sto parlando di una fuga dalla Terra. L’idea è realizzare una civiltà multiplanetaria. Uscire là fuori ed esplorare le stelle».
IL VEICOLO SPAZIALE più VELOCE mai costruito, la sonda Helios 2, lanciata nel 1976 per monitorare il Sole, ha raggiunto una velocità di punta di 253 mila chilometri orari. Alla stessa velocità, impiegherebbe oltre 17 mila anni per superare la distanza di 40 mila miliardi di chilometri fra la Terra e Proxima Centauri, la stella più vicina: un arco di tempo pari a quello che ci separa dagli uomini preistorici che realizzarono le pitture rupestri nel Paleolitico superiore. Questa ineludibile realtà ha indotto molti, anche tra i più fervidi sostenitori del volo umano nello spazio, a concludere che i viaggi interstellari con equipaggio rimarranno per sempre relegati al campo della fantascienza.
Tuttavia alcuni scienziati ritengono che la prospettiva di un eterno confino su due piccoli pianeti di una galassia vastissima sia troppo deprimente per essere accettata. «Se cominciamo ora, e in effetti abbiamo cominciato, ritengo che potremmo realizzare qualche forma di esplorazione interstellare entro un secolo», sostiene Andreas Tziolas. Fisico ed ex ricercatore della NASA, Tziolas è a capo di Icarus Interstellar, un’organizzazione non profit il cui obiettivo dichiarato è "concretizzare il volo interstellare prima dell’anno 2100".
Tziolas è convinto che sia possibile sviluppare un motore per un veicolo interstellare basato sulla fusione nucleare, la fonte di energia delle stelle e della bomba a idrogeno. La fusione dei nuclei di atomi leggeri come quelli di idrogeno libera una quantità enorme di energia, molto superiore a quella prodotta dalla fissione nucleare di atomi pesanti come l’uranio, che è la fonte di energia delle centrali nucleari e del vecchio NERVA. Alcuni reattori a fusione nucleare sono già stati costruiti, ma non ne è mai stato realizzato uno che fornisca una quantità di energia superiore a quella consumata. «Ho fede nel nostro ingegno», dichiara Tziolas, e fa notare che sono trascorsi solo set- tant’anni tra la scoperta delle particelle subatomiche e la costruzione di NERVA; entro il 2100, a suo parere, dovrebbe essere possibile costruire un motore a fusione in grado di far raggiungere a un veicolo spaziale una velocità di punta pari al 15- 20 per cento della velocità della luce.
Prestazioni simili consentirebbero di arrivare alla stella più vicina in pochi decenni, ammesso che le parti meccaniche durino così a lungo. «Vent’anni circa rappresentano il limite massimo per l’affidabilità di un veicolo spaziale progetta- bile», spiega Les Johnson. La NASA ha incaricato Johnson di progettare una missione ventennale che abbia come obiettivo non una stella, ma il confine con lo spazio interstellare: la cosiddetta eliopausa, situata a una distanza molte volte superiore a quella di Fiutone. «L’idea era di lasciar perdere per il momento la stella più vicina», spiega Johnson. «Dista oltre quattro anni luce. È qualcosa di... scoraggiante, di insondabile». L’incarico di Johnson consiste nel progettare una missione realistica, basata su una tecnologia perlomeno imminente: un primo, piccolo passo verso le stelle.
Per il momento la realizzazione di un motore a fusione non è affatto imminente; un motore nucleare come quello di NERVA sarebbe troppo costoso; i vettori chimici sarebbero in grado di arrivare fino all’eliopausa, ma non potrebbero mai trasportare abbastanza combustibile per raggiungere una stella in un arco di tempo ragionevole. (La sonda Voyager, se procedesse nella giusta direzione, passerebbe nelle vicinanze di Proxima Centauri tra 74 mila anni). Alla fine l’équipe di Johnson ha scelto la tecnologia più evocativa: la vela solare. La luce del Sole, come ogni forma di radiazione luminosa, è costituita da particelle, i fotoni, che esercitano una pressione su tutti gli oggetti con cui collidono. Alla distanza della Terra dal Sole, questa pressione è di appena 3 grammi distribuiti su una superficie vasta quanto un campo da calcio. Ma una vela ampia e sottile di tessuto riflettente, dispiegata nel vuoto dello spazio, avvertirà questa lieve forza e accelererà lentamente.
Nel 2010 la NASA ha sperimentato una vela solare di 9 metri quadrati, che è rimasta in orbita terrestre bassa per diversi mesi. La speranza è di poter lanciare nel 2014 una vela con un’area di poco superiore a 1.000 metri quadrati e un peso di soli 30 chilogrammi. Pale mobili poste negli angoli permetteranno di manovrare da terra Sunjammer, che nella sua missione di un anno procederà controvento per oltre 3 milioni di chilometri verso il Sole. Per una missione che abbia come meta l’eliopausa, e quindi sia in grado di coprire una distanza di 26 miliardi di chilometri, sarebbe necessaria una vela a forma di disco del diametro di 450 metri che, dopo uno o due anni di volo, raggiungerebbe una velocità di oltre 150 mila chilometri all’ora.
Proxima Centauri è 1.500 volte più lontana. «Per raggiungere un’altra stella», spiega Johnson, «servirebbe una vela grande quanto l’Alabama e il Mississippi messi insieme [250 mila chilometri quadrati]. Per ora non abbiamo idea di come costruirla». Per di più, la sola luce solare non potrebbe fornire alla vela una propulsione sufficiente per raggiungere un’altra stella nell’arco di una vita umana, o anche di parecchie vite; sarebbero necessari potenti laser con base nello spazio. Ma il veicolo dovrebbe essere una sonda senza equipaggio non più grande della scrivania di Johnson. «Quando si comincia a pensare a ciò che occorrerebbe per mantenere in vita un equipaggio, a quanto dovrebbe essere grande il veicolo e di quanta energia dovrebbe disporre, si entra nel campo della fantascienza», conclude il ricercatore.
PER COSTRUIRE UNA NAVE interstellare occorrerà prima costruire un futuro in grado di trasformare la fantascienza in scienza, e questo richiederà molto di più della semplice tecnologia aerospaziale. Il punto non è capire oggi come realizzare un veicolo in grado di raggiungere le stelle; è continuare ad alimentare una civiltà che un giorno sappia costruirne uno. In questi termini, vedendo le cose in prospettiva, l’impresa comincia a sembrare più plausibile. Ma è un progetto a lungo termine, di 100 anni, o forse di 500, a seconda del livello di follia. Il livello di Johnson non è eccessivo. «Non ho idea di come sarà il mondo tra 500 anni», dichiara. «Se avremo centrali a fusione nucleare e pannelli solari nello spazio che trasmettono energia alla Terra, se estrarremo minerali sulla Luna e avremo una base industriale in orbita terrestre bassa, forse allora potremmo farlo. Ma la nostra civiltà dovrà avere conquistato il Sistema Solare prima di prendere in considerazione la conquista delle stelle».