Saverio Fossati, Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 8/1/2013, 8 gennaio 2013
Le tasse schiacciano gli affitti e la cedolare secca, nonostante tutto, non sembra destinata a risolvere i problemi di un mercato soffocato dalle tasse
Le tasse schiacciano gli affitti e la cedolare secca, nonostante tutto, non sembra destinata a risolvere i problemi di un mercato soffocato dalle tasse. Ma destinati a soffrire non sono solo i proprietari, perché il quadro si fa sempre più difficile anche per gli inquilini, soprattutto quelli "forzati": vale a dire la fascia di chi è troppo "ricco" per aspirare a una casa popolare ma non è considerato abbastanza "solido" dalle banche per accendere il mutuo necessario all’acquisto dell’abitazione, e in questa condizione non è in grado di pagare un canone minimamente interessante per il proprietario. Due numeri spiegano bene il quadro: nel 2013 il Fisco centrale e quello locale convergeranno sugli immobili per succhiare intorno al 60% delle entrate da canoni di locazione, ma il dato effettivo che toccherà al singolo proprietario può peggiorare a seconda dell’incrocio fra i valori fiscali e quelli di mercato. Dove gli affitti sono più bassi ma i valori catastali sono sostenuti, come accade per esempio a Genova, si può arrivare a pagare in tasse fino al 75% del canone annuo di un bilocale e l’82% di un trilocale, con un indice di pressione fiscale che non ha pari in altre forme di investimento. L’impatto del Fisco si attenua un po’ nelle grandi città, grazie a mercati locali degli affitti che mantengono valori alti, o nei centri medio-piccoli nei quali i valori catastali sono particolarmente bassi (è il caso, negli esempi ritratti dalle tabelle qui a fianco, di Lucca, che è in fondo alla classifica nazionale dei valori catastali nei capoluoghi di Provincia). Come sempre quando si parla di Fisco del mattone, l’incrocio con i dati di mercato si rivela una lotteria, perché ad avere l’ultima parola sono i valori catastali il cui rapporto con il mercato è ormai praticamente casuale. Si spiega così il fatto che città con livelli medi dei canoni abbastanza simili fra loro presentino conti parecchio diversificati: a Lucca, per esempio, Tecnocasa registra affitti leggermente più alti che a Verona, ma nella città veneta il Fisco chiede più che in Toscana, e lo stesso meccanismo rovesciato si incontra nel confronto fra Genova e Brescia. Anche quando le condizioni sono "favorevoli", comunque, proprietario e Fisco si dividono a metà i proventi dell’affitto. A colpire al cuore l’appeal dell’investimento immobiliare, soprattutto per i piccoli proprietari che contano sulle entrate da locazione di poche abitazioni, è ovviamente l’Imu, che ha cambiato drasticamente le carte in tavola chiedendo al mattone 23 miliardi di euro all’anno, cioè due volte e mezza il conto che veniva presentato dall’Ici. Nemmeno questo rincaro-record, però, è bastato a dare stabilità al Fisco immobiliare. Un primo aumento targato 2013 è certo, e deriva dal fatto che da quest’anno la percentuale di canone di locazione che si può portare in deduzione dalle imposte sui redditi scende dal 15 al 5 per cento. In pratica, nelle dichiarazioni 2014 sui redditi del 2013 il canone ricevuto dall’inquilino peserà per il 95% anziché per l’85% come avveniva fino a ieri, perché la riforma Fornero del lavoro (legge 92/2012) ha tagliato lo sconto con l’intento di raccogliere fondi aggiuntivi da destinare ai nuovi ammortizzatori sociali (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri). La novità determina un aumento delle richieste del Fisco fra il 4 e l’8% a seconda della tipologia di immobile e della città di riferimento, e si tiene in genere più elevata (toccando anche il 9%) nel caso dei negozi dove è maggiore il livello dei canoni, e di conseguenza il peso dell’imposta sui redditi sul totale del "pacchetto fiscale". Un secondo versante di aumenti è invece per ora solo un rischio, e la sua concretizzazione dipenderà dalle scelte fiscali dei Comuni. In molte delle città considerate nelle tabelle qui a fianco, da Genova a Roma, da Brescia a Salerno e da Torino a Potenza, l’aliquota ordinaria ha già toccato il tetto del 10,6 per mille, non offre rischi ulteriori. Nel complesso dei Comuni, però, l’aliquota ordinaria media si è attestata nel 2012 secondo l’Ifel al 9,33 per mille (si veda Il Sole 24 Ore del 19 dicembre), per cui c’è ancora spazio per aumenti di oltre il 13 per cento. Un altro tassello è rappresentato dalle addizionali Irpef dei Comuni e delle Regioni. Gli aumenti fiscali a ripetizione potrebbero far crescere presso i proprietari il fascino della cedolare secca, che porta al 43-45% la tassazione media sulle abitazioni. Finora però la tassa piatta ha abbracciato solo 300mila contratti, cioè meno del 10% di una platea potenziale che a suo tempo aveva spinto il Governo a stimare entrate molto più consistenti di quelle poi effettivamente arrivate con il nuovo meccanismo.