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 2013  gennaio 08 Martedì calendario

Sembra ieri quando i megastore di tecnologia rivoluzionarono il nostro modo di fare acquisti, rendendo le innovazioni elettroniche alla portata di tutti e permettendo anche ai complicatissimi ritrovati della scienza di diventare un fenomeno pop

Sembra ieri quando i megastore di tecnologia rivoluzionarono il nostro modo di fare acquisti, rendendo le innovazioni elettroniche alla portata di tutti e permettendo anche ai complicatissimi ritrovati della scienza di diventare un fenomeno pop. Sembra ieri perché in effetti lo era. Fino al 2008 le grandi catene come Fnac, Virgin e altre godevano di ottima salute. Ma, quando si parla di progresso tecnologico, come quelle stesse catene hanno insegnato, non si è mai abbastanza aggiornati, e nel giro di poco tempo può cambiare tutto. Una regola che prima Fnac e poi Virgin hanno imparato a proprie spese. Davanti a quei colossi, a quegli enormi locali stipati di televisori al plasma e computer di ogni forma e dimensione, ma anche di libri, cd e dvd, si è parato un nemico ancora più temibile, tanto etereo quanto irrefrenabile: internet e l’e-commerce. Un fenomeno che è esploso già da anni, ma che recentemente, soprattutto grazie ad Amazon e Apple, si è allargato sempre di più, diventando il sistema maggiormente utilizzato per fare acquisti e cambiando le nostre abitudini di consumatori. È troppo facile ed economico ordinare un prodotto direttamente dal proprio tablet o dal proprio smartphone, e troppo comodo riceverlo direttamente a casa nel giro di 24 ore per prendere la macchina e recarsi chissà dove, fare i conti con le file, con il traffico e con la disponibilità non sempre immediata dei negozi fisici. Così il fenomeno puramente culturale si riflette in breve anche sull’economia, annientando librerie e piccoli negozi di cd, ma anche megastore ultra-moderni. In Francia in questi giorni c’è grande scalpore attorno alla chiusura di 25 punti vendita Virgin, tra cui l’enorme negozio sugli Champs-Élysées. Un fallimento annunciato da tempo che costerà il posto di lavoro a mille dipendenti del gruppo fondato da Richard Branson alla fine degli anni ’80. I problemi per l’azienda in Francia sono cominciati nel 2008, quando il fondo di investimento Butler Capital Partners ne ha rilevato il 74 per cento, mentre il gruppo Lagardère ne ha acquisito il 20 per cento. Dal 2008 al 2011 i ricavi sono crollati dimezzandosi, mentre i debiti hanno cominciato ad accumularsi. Una situazione che è andata sempre peggiorando e che aveva già portato alla chiusura di cinque store francesi e al licenziamento di 200 lavoratori. Alla fine, il tribunale di Parigi ha dichiarato il fallimento, e la questione si concluderà ufficialmente domani, quando i dirigenti andranno a depositare i libri al tribunale del commercio. I rappresentanti sindacali dell’azienda riconoscono che l’e-commerce e il conseguente cambiamento delle abitudini di fruizione dell’industria culturale sono stati determinanti, ma attribuiscono anche una buona parte della colpa alla gestione sbagliata da parte di Butler Capital Partners. Quello che sta succedendo in Francia non è certo di buon auspicio per l’Italia, anzi. Sembra essere solo questione di tempo: la progressiva scomparsa di grandi negozi di elettronica mostra chiaramente la direzione in cui il mercato nostrano si sta muovendo. Non a caso le grandi catene hanno iniziato a spaccarsi e ad acquisirsi a vicenda (com’è stato per Eldo e Darty Italia, passate rispettivamente a Marco Polo Expert e Trony), evidenziando grosse difficoltà nel settore. La storia dell’industria culturale ci ha insegnato che questi processi sono irreversibili, e l’unico modo per evitare le conseguenze più spiacevoli è anticipare gli eventi. Ma non è sempre possibile. E quel grande negozio vuoto, che un tempo faceva brillare la sua grande insegna rossa sul vialone degli Champs-Élysées, ne resterà un muto testimone.