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 2013  gennaio 07 Lunedì calendario

MONTEZEMOLO, PILOTA CHIC CHE CORRE SOLO DA GREGARIO

[Collezionista di nomignoli (da Spigolo a Nerone), ex pupillo dell’avvocato Agnelli, supermanager e riserva di lusso della politica. Ridotto a portare le borracce a Monti] –
Finalmente, Cordero di Montezemolo ha tronca­to l’equivoco da lui ali­mentato: non sarà il leader poli­tico che ci ha fatto credere voles­se diventare. Luca non si candi­derà mai. La sua libera natura è quella manifestata per sessanta­cinque anni volteggiando tra gli incarichi, accumulando fortu­ne, intrecciando amori e facen­dosi passare per Agnelli di com­plemento, con la condiscenden­za degli Agnelli veri. Colui che pareva la riserva po­litica d’Italia si limiterà ad ap­poggiare la li­sta Monti in posizione umile. Ha messo a dispo­sizione Italia Futura, la sua fondazione, e spenderà in campagna elettorale qualche paro­la per il premier amato da Ange­la Merkel. Tutto qua. Un ruolo da portatore d’acqua, sempre che per Mario Monti sia un van­taggio avere Montezemolo dal­la sua e non invece una palla al piede.
Perché Luchino si è fatto da parte all’improvviso? O è piutto­sto una decisione maturata do­po a­vere ripensato a episodi del­la propria vita che gli hanno sug­gerito di rinunciare nonostante il tifo dei suoi cari, dall’amico Diego Della Valle al giornalista di riferimento, Paolo Mieli, che lo incitò entusiasta: «Fallo, sarò al tuo fianco»? Chi scrive un’idea se l’è fatta e la illustrerà senz’altro, anche se la vita di Lu­chino è così lieve e divertente da apparire una favola senza ango­li bui.
Nato tra i colli bolognesi, do­ve vive tuttora, è il primo di tre fi­gli di Massimo Cordero dei Mar­chesi di Montezemolo, antico ceppo piemontese legato ai Savoia. Scomparsa quella casata un anno prima della sua nascita - il lieto evento è del 1947- Luchi­no si legò ai nuovi regnanti, gli Agnelli, nel modo più casuale. Frequentando a Roma il liceo Massimo dei Gesuiti conobbe Cristiano Rattazzi, figlio di Suni Agnelli, sorella di Gianni diven­tandone inseparabile. All’epo­ca, Luca era un tipo scattoso e os­suto, tanto da meritare il primo dei suoi tanti soprannomi: «Spi­golo ». Appassionato di auto, tro­vò in Cristiano uno spirito affi­ne. I due presero a gareggiare in coppia all’autodromo romano di Vallelunga (su una Fiat 500) con nomi d’arte per non farsi scoprire dalle famiglie. Quello di Luca era «Nerone», il secon­do soprannome. Quando co­mincerà a incettare incarichi, specialità di cui è il genio nazionale, sarà chiamato «Monte­prezzemolo», traslato in «Mon­tezuma » da Susanna Agnelli in un giorno d’umore azteco. «Li­bera e bella », come lo shampoo, è invece il nomignolo malevolo usato da quelli cui dà ai nervi la ventosa capigliatura da insidia­tore di femmine che Luca inal­bera 24 ore su 24. Introdotto in casa Agnelli, Montezemolo diventò il cocco della famiglia, ini­ziando sotto l’ala dell’Avvocato una lucrosa carriera di mana­ger: alla Ferrari, accanto a Enzo, il fondatore; alle pubbliche relazioni Fiat; alla Cinzano; organiz­zatore di Italia ’ 90; responsabile Juventus, dell’editrice della Stampa , di Rcs; di nuovo alla Ferrari. Insomma, l’intero bouquet Agnelli.
Il mondo, stupito da una bene­volenza che superava di gran pezza i meriti, se ne chiese le ra­gioni e scomodò il talamo. Luca si disse è il figlio spurio dell’Av­vocato, gran farfallone. Per pun­tellare la favola che fa torto alla nobildonna, Clotilde Neri, mamma novantenne di Spigolo - si notò che «corderos» in spa­gnolo significa «agnelli». Scema­te. Piuttosto va detto che dopo la morte di Gianni (il 24 gennaio ri­corre il decennale), Luca, sull’abbrivio, raggiunse le sue vet­te, con le presidenze di Confin­dustria e Fiat (2004).
Con Luchino, quando si co­mincia a parlarne ci si incanta e non si finirebbe più. Figurarsi se cominciassimo a raccontarne gli amori e le cinque paternità. Le liti con Edwige Fenech nella villa di Anacapri con le urla echeggianti per l’iso­la; la liaison con Barbara Parodi Delfino (in seguito moglie del già citato Paolo Mieli) da cui nacque nel 1981, Clementina; il matrimonio, poi annullato, con la regista, San­dra Monteleoni, madre del pri­mogenito montezemoliano, Matteo, classe 1977; le seconde nozze nel Duemila con Ludovi­ca Andreoni, stilista, di 23 anni più giovane, che in dieci anni ha inanellato Guia, Maria e Lupo.
Smetto, se no trascuro la pol­pa. Ossia gli episodi che, tra le pieghe di questa vita felice, han­no per come la vedo io indotto Luchino a rinunciare alla candi­datura per timore di essere fatto a fette.
Innanzitutto, due mesi fa è di­ventato vicepre­sidente dell’Uni­credit per conto del fondo sovra­no di Abu Dhabi al posto del di­missionario Khadem Al Qubai­si. Niente di male, ma ce lo vede­te­ un aspirante premier rappresentare una satrapia islamica? Sempre nel 2012, gli è piombata la condanna definitiva a un an­no di reclusione (pena sospesa) per abusi edilizi nella villa di Anacapri. C’è di peggio ma, con il moralismo corrente, anche certa robetta fa la differenza. Va poi ricordata la nota faccenda resa pubblica da Cesare Romiti, di quando Montezemolo otten­ne ottanta milioni da un indu­striale per favorirne l’incontro con Gianni Agnelli. Era il 1981 e Luchino teneva l’agenda del­l’Avvocato in Fiat. Il denaro, co­me ha raccontato lui stesso, ver­gognoso e pentito, gli fu conse­gnato nel cofanetto vuoto di un libro di Enzo Biagi. Un suo com­pare venne cacciato dall’azien­da, lui figlio dell’oca bianca se la cavò con l’esilio alla Cinzano. «Fu l’Avvocato non io a procurargli una posizione alla Cinza­no », precisò Romiti, aggiungen­do ch­e lui un Montezemolo poli­tico non l’avrebbe mai votato.
Proseguiamo. Come presi­dente del Comitato di Italia ’90, si occupò del recupero di dodici stadi, gettando al vento centina­ia di miliardi di pubblico dena­ro. Lo stadio di Torino fu una ta­le ­frana che la Juventus lo ha but­tato giù per farne uno nuovo. Quelli di Cagliari e Bari sono no­tori disastri. A San Siro, dopo il passaggio di Montezemolo, non è più ricresciuta l’erba. Nel­lo stadio rifatto di Genova da al­cuni settori non si vedeva il cam­po da gioco e si è dovuto rimet­terci le mani. Un fiasco che avrebbe dovuto costargli la con­danna contabile al risarcimen­to del danno. Un pessimo bi­glietto da visita nel caso si fosse candidato ad amministrare il Paese.
Mi limito, per tirannia di spa­zio, a un ultimo episodio che traggo da Agnelli segreti , indi­spensabile libro- inchiesta di Gi­gi Moncalvo. Quando, a metà anni Novanta, Luchino era re­sponsabile della Juventus, ver­sò per l’acquistodi Dino Baggio quattro miliardi in nero su un conto svizzero. A denunciarlo ai giudici, fu lo stesso beneficiario e presidente del Torino, Gian Mauro Borsano. Monteze­molo evitò l­a condanna per eva­sione fiscale grazie a una provvi­dente amnistia. Poi, come niente fosse, Luchino ha fatto il cardi­nal Bagnasco scrivendo Etica e capitalismo (2005) e adottando il motto:«Più etica per far riparti­re l’Italia ». Ora sta a Monti risol­vere il dilemma: averlo per allea­to è un piccolo vantaggio o una monumentale disgrazia?