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 2013  gennaio 07 Lunedì calendario

COSÌ IL RIGORE DEL PROF HA MESSO AL TAPPETO L’ECONOMIA ITALIANA

[Promemoria per Monti: crescita uccisa dall’eccessiva austerità Le analisi dei premi Nobel e gli studi del Fmi lo confermano] –
Professor Monti, le invio una sintetica rassegna delle analisi di alcuni dei più ascoltati economisti e dei più importanti organismi interna­zionali su come in Europa si è af­frontata la crisi dei debiti sovra­ni. La mia vocazione da 13 mesi è questa: riportare la migliore lette­ratura internazionale per aiuta­re a capire, oltre i luoghi comuni, le banalità e le tante strumenta­lizzazioni politiche. Rispetti la ve­rità, professore, e con la verità le regole scritte e non che ci hanno lasciato i nostri padri costituenti e la prassi repubblicana. L’ultimo approfondimento è quello del Fondo Monetario Internazionale, dal titolo Growth forecast errors and fiscal multi­pliers.
Dallo studio emerge che le politiche di austerità adottate nell’Eurozona negli anni della crisi hanno avuto effetti (negati­vi) sulla crescita di questi paesi maggiori del previsto/del nor­male. Ma andiamo nel dettaglio dell’analisi a firma del capoeco­nomista dell’istituto, Olivier Blanchard, e di Daniel Leigh. Ad ottobre il Fmi segnalava rischi di «avvitamento» delle economie dell’eurozona, derivanti dalle stringenti manovre di consolida­mento dei conti pubblici. Secon­do le analisi, alcuni errori di pre­visione della crescita indicano la presenza di una sistematica sot­tovalutazione dell’impatto delle misure di rigore sulla crescita economica. Ciò implica che per ogni punto percentuale di Pil di contenimento del disavanzo fi­scale, la crescita economica di breve termine si riduce oggi di più di 1,5 punti percentuali, ri­spetto alla contrazione di mezzo punto percentuale che si regi­strava negli anni precedenti la crisi.
Gli ulteriori approfondimenti svolti da Olivier Blanchard e Da­niel Leigh hanno confermato la loro precedente tesi. E la presen­za di moltiplicatori fiscali più am­pi in periodi di recessione dipen­de da tre fattori: 1) La recessione comporta il cattivo funziona­mento dei mercati finanziari e blocca la trasmissione della poli­tica monetaria adottata dalle banche centrali. In altri termini, in periodi di decrescita le decisio­ni delle banche­centrali non si ripercuotono sull’economia reale (meccanismo di trasmissione). Vale a dire che la politica di ridu­zione dei tassi di interesse non è più sufficiente. Come se il mercato­ si fosse assuefatto a questa me­dicina. Nei periodi di corretto funzionamento del sistema fi­nanziario le variazioni dei tassi di interesse si ripercuotono direttamente sulle banche e indiretta­mente sui tassi attivi e passivi of­ferti dalle banche. Al contrario, quando il meccanismo di tra­smissione della politica moneta­ria è bloccato, le banche centrali sono costrette ad avvalersi di strumenti di natura straordina­ria ( e temporanea). Come è avve­nuto, per esempio, in Europa con le due aste di finanziamento a breve termine e agevolato alle banche dell’eurozona da parte della Bce e con il programma di acquisto di titoli di Stato con vita residua fino a tre anni; 2) Livelli di produzione e di reddito più bassi, nei periodi di recessione implicano che le decisioni di con­sumo da parte delle famiglie e le decisioni di investimento da parte delle imprese si basano più sul reddito corrente e sugli utili at­tuali che sul reddito e sugli utili at­tesi; 3) Quanto più l’economia è debole, tanto più aumentano i moltiplicatori fiscali. Oggi più di ieri il rigore fa male alla crescita e allontana drammaticamente la ripresa. Altro che compiti a casa. Altro che salva Italia.
Basterebbe questo per confu­tare tutta la linea di politica eco­nomica adottata dall’Europa ne­gli anni della crisi. Ma vogliamo riportare anche altre autorevoli testimonianze. A partire dal pre­mio Nobel Paul Krugman, che ha scritto e continua a scrivere sul New York Times :«L’austerità non funziona: a causa di una poli­tica economica tutta sacrifici e niente crescita, l’Europa è san­guinante, salassata inutilmente come i malati nel Medioevo, cu­rati con medicine che li facevano ammalare ancora di più». Un al­tro premio Nobel, Joseph Stigli­tz, si rivolgeva proprio a Lei, pro­fessor Monti, nel convegno «Ol­tre l’austerità», quando si è espresso sulle scelte di politica economica adottate in Europa per fronteggiare la crisi, soste­nend­o che le politiche di austeri­tà non sono sufficienti a condur­re l’Europa fuori dall’emergen­za, perché l’austerità è un feno­meno che si autoalimenta e che deprime l’economia.
Ad ulteriore supporto, Ben Bernanke, presidente della Fede­ral Reserve, la banca centrale de­gli Stati Uniti, ha tenuto quattro lezioni magistrali all’Università George Washington sul tema «La Federal Reserve e il suo ruolo nell’economia di oggi». A diffe­renza della Bce, infatti, il ruolo delle principali banche centrali del mondo consiste non solo nel garantire la stabilità dei prezzi (inflazione sotto il 2%), ma an­che nel garantire livelli di cresci­ta e di occupazione stabili. Inol­tre, le principali banche centrali mondiali, anche in questo caso al contrario della Bce, garantisco­no la stabilità finanziaria attra­verso la funzione di prestatore di ultima istanza.
In linea con le analisi finora ri­portate, si colloca anche lo stu­dio preparato da Paul de Grau­we de­lla London School of Econo­mics e da Yuemei Ji della Univer­sity of Leuven . Secondo quanto sostenuto il mercato dei titoli di Stato nell’area euro è più fragile e più sensibile alle crisi di liquidità rispetto a quello dei Paesi che non fanno parte di un’unione monetaria e in cui la banca cen­trale funge da prestatore di ulti­ma istanza. Inoltre, una parte significativa dell’aumento degli spread negli Stati cosiddetti Pigs è dipesa dal risultato di «senti­menti » negativi auto-avveranti dei mercati, che sono divenuti molto forti a partire da fine 2010.
Il motivo del diverso e più ag­gressivo atteggiamento dei mer­cati nei confronti dei Paesi del­l’e­urozona è legato a una caratte­ristica fondamentale delle unio­ni monetarie: gli Stati che fanno parte di un’unione monetaria emettono debito in una valuta su cui non hanno il controllo. Di conseguenza, i governi di questi Paesi non possono garantire che ci sarà sempre liquidità disponi­bil­e per rimborsare i titoli del de­bito alla scadenza ed è pertanto possibile che non riescano a pa­gare i propri creditori.
In questa dinamica c’è una va­riabile auto-avverante: quando gli investitori temono il default si comportano in maniera tale che esso diventa più vicino. Pertan­to, un Paese può diventare insol­vente solo perché gli investitori pensano che ciò possa accadere. Stando all’analisi di Paul de Grauwe, in un’unione moneta­ria la mancanza di fiducia nei confronti di un Paese determina l’aumento dei tassi di interesse sui titoli di Stato, nonché un au­mento degli spread , sconsidera­to rispetto ai fondamentali economici che influenzano real­mente la solvibilità del Paese medesimo.
Professor Monti, quanto riportato insinte si spiega come la politica economica adottata dall’Europa negli anni della crisi, imposta dalla Merkel ai paesi sotto attacco speculativo e da lei passivamente seguita (poco contano i ti­midi tentativi di distinguersi), sia stata del tutto sbagliata e ab­bia­bloccato la trasmissione del­la politica monetaria che il presi­dente della Bce, Mario Draghi, ha cercato di far convergere pro­gressivamente verso l’imposta­zion­e espansiva adottata dalle al­tre banche centrali mondiali.
Lei che ne pensa? Ha qualcosa da dire, da obiettare, al di là delle battute che continua a ripetere, che in quel maledetto dicembre 2011 l’Italia sarebbe stata sull’o­r­lo del baratro e che si era al punto di non riuscire a pagare gli stipe­n­di dei pubblici dipendenti. Se ne è veramente convinto, ha il dove­re etico e politico di dimostrarlo in maniera inconfutabile. Visto che fino ad ora non lo ha fatto, e ne avrebbe avuto tutti gli stru­menti, lasci stare la propaganda, smetta i panni da salvatore della patria. Faccia il buon riformato­re, se ne è capace, con il consenso della gente. Sulla crisi dovrem­mo tutti cercare una visione con­divisa. Per il bene del paese. Nes­suno può governare sulle falsifi­cazioni, sull’imbroglio,sulla demonizzazione dell’avversario. Con la stima che si merita. Suo. Renato Brunetta.