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 2013  gennaio 06 Domenica calendario

MISSONI JR. E LA MALEDIZIONE DEI GRANDI EREDI

Visto dall’alto, l’arcipelago caraibico in cui è scomparso l’aereo di Vittorio Missoni somiglia a uno degli arcipelaghi dalmati legati alla giovinezza dei Missoni tutti. Non solo di Ottavio, quindi, che come molti sanno è nato a Ragusa (la croata Dubrovnik) ed è cresciuto a Zara prima di diventare un esule insieme a centinaia di migliaia di italiani espulsi dal maresciallo Tito, tiranno slavo al contempo comunista e nazionalista, sai che allegria.
Ma anche alla giovinezza di Vittorio, il figlio maggiore, e dei suoi fratelli Angela e Luca, nati e residenti in Lombardia eppure, questo lo sanno in pochi, con una particolare affezione verso la terra del padre, conosciuta durante le vacanze estive rese possibili da certe aperture economico- turistiche del regime titino. Sto parlando degli anni a cavallo tra Sessanta e Settanta: a quel tempo Ottavio e la moglie Rosita caricavano la prole su un aereo e atterravano a Spalato, da lì una barca li portava su un’isola dei dintorni, e poteva essere Lesina, dove avevano casa, e poteva essere Lissa, e poteva essere Lussino o anche altre, siccome le isole in Dalmazia non scarseggiano. Arrivati a destinazione scattava la corsa (mi racconta qualcuno che c’era) a chi si tuffava per primo.
Obiettivo delle immersioni erano i gongoli, termine dialettale per definire bivalvi che non sono vongole, come si potrebbe pensare, e nemmeno cozze. «Erano abbastanza grossi e di colore marrone ». Saranno stati quindi fasolari o ancor più probabilmente noci di mare, molluschi fra i più squisiti. L’episodio non entrerà nei libri di storia ma svela più di tante biografie il carattere della famiglia: gente molto unita, molto cordiale, molto amante della natura, della vita all’aria aperta e dello sport (Ottavio dell’atletica, Vittorio prima della nautica offshore e poi del calcio e del nuoto, oltre che della pesca, mentre Luca ha il brevetto di pilota d’aereo). Sempre in quelle remote estati dalmate, i genitori ormai famosi nel mondo per i loro coloratissimi, inconfondibili maglioni, trovavano il tempo e la voglia per mostrare ai figli le costellazioni. La volta celeste è uguale in tutto il mondo? Non è affatto vero. Al confine ideale tra Venezia e i Balcani, su un’isola adriatica poco abitata e meno illuminata le stelle sono più stelle che altrove, e furono notti che restarono dentro.
Mi accorgo che questo articolo sta prendendo una piega sentimentale e forse non va bene perché i Missoni sono sempre stati alieni dalla retorica. E figuriamoci in questo momento: è probabile che non abbiano voglia di rievocare alcunché. Mi dispiacerei se Ottavio Missoni non mi telefonasse più: mi ha chiamato qualche volta per ringraziarmi di pezzi ovviamente elogiativi, e dico «ovviamente» perché mi sembra impossibile poter scrivere di lui in altri termini.
Nel giro della moda, che umanamente tende al mostruoso, i Missoni, gentili, equilibrati, alla mano, sembrano provenire da un altro pianeta. E se la carica umana dei fondatori è nota, bisogna sapere che i figli non hanno dirazzato. Vittorio lo ha dimostrato anche per via onomastica: lui, che porta il nome dal nonno, uomo di mare, comandante di lungo corso, ha chiamato Ottavio il figlio primogenito, un ragazzo alto e bello e scrivendo questi aggettivi mi rendo conto di non aver messo a segno un grande scoop, mica poteva essere piccolo e brutto il nipote di colui che Gianni Brera definì «figlio di Apollo» dopo averne ammirato la falcata di finalista olimpico (400 metri ostacoli alle Olimpiadi di Londra del 1948).
I bei vestiti aiutano, chiaro, ma non bastano, per certi risultati estetici ci vuole anche la genetica che in famiglia è ottima e abbondante, visti anche Giacomo e Marco, gli altri figli di Vittorio. Ulteriore dimostrazione: Ottavio junior è cugino di una meraviglia chiamata Margherita Maccapani Missoni, la figlia di Angela che in azienda a Sumirago (Varese) fa la stilista mentre Luca è direttore tecnico e Vittorio è direttore commerciale, insomma l’ambasciatore del marchio nel mondo. Ho usato il presente, «è», perché non sarebbe la prima volta che gli occupanti di un aereo precipitato sopravvivono e vengono recuperati in seguito. Di Vittorio Missoni ha bisogno la famiglia e ha bisogno il Made in Italy: non ho ancora detto che con lui alla guida il gruppo è cresciuto (fatturato +10% nel 2011) nonostante la crisi terribile che stiamo attraversando. I Missoni sono un esempio e gli esempi non devono mai venire a mancare.