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 2013  gennaio 08 Martedì calendario

MILANO

— Dare della scimmia a un giocatore di colore della squadra avversaria, o anche della propria. Umiliarlo vomitandogli addosso dagli spalti un suono onomatopeico: l’ormai famigerato «buuu». Inneggiare alla superiorità della razza bianca, alle camere a gas, all’Etna e al Vesuvio, alla pulizia etnica, alla presunta supremazia di un’area geografica del Paese. Negli stadi italiani, in tutti i campionati di calcio, e a tutte le latitudini, è diventata un’usanza vergognosa. In crescita esponenziale.
Dall’inizio degli anni ‘90 a oggi gli episodi di razzismo e discriminazione durante le partite di calcio di serie A, B e C e serie minori, sono decuplicati. Sì, dieci volte tanto. Un’impennata di inciviltà che dal 2000 al 2010 ha coinvolto 275 tifoserie, la maggior parte delle quali è in mano a gruppi ultrà di estrema destra. E che è già costata ai club calcistici un milione 268 mila euro di multe. Un impasto di deficienza e follia: molto spesso pianificata, in altri casi estemporanea ma non meno odiosa. Aumento dell’immigrazione straniera con conseguente diffusione di xenofobia e intolleranza? Sicuro, ma forse c’è anche altro. L’evoluzione del becerume razzista da stadio è descritta da una ricerca del Centro Studi sicurezza pubblica
di Brescia, diretto da Maurizio Marinelli, esperto di tifo e violenza ultrà. L’indagine raccoglie, episodio dopo episodio — catalogando cori e striscioni, ammende e squalifiche — oltre vent’anni di intolleranza incubata e deflagrata allo stadio. Dal razzismo biologico al pregiudizio razziale ai simboli vietati esibiti durante la partita. «Dai dati che abbiamo raccolto emerge uno spaccato allarmante — spiega Marinelli — . Rispetto a quanto avveniva negli stadi alla fine del secolo scorso, il
razzismo si è autoalimentato moltiplicandosi per dieci. È vero che è cambiata la struttura e la composizione sociale delle città e che lo stadio è una cartina di tornasole. Ma la deriva xenofoba è diventata, in Italia, una delle piaghe delle manifestazioni sportive. Più degli incidenti, che infatti sono diminuiti. Si parte da molto lontano e si arriva al caso di Busto Arsizio».
Visto oggi, il picco è impressionante. Dal 2000 a oggi negli stadi italiani, in tutte le serie del Campionato di calcio, sono avvenuti 630 episodi di razzismo. Si va dalla saliva «infetta» di Diawara, il senegalese
del Torino offeso dal mister Eugenio Fascetti nel febbraio del 2000, ai cori degli ultrà interisti
contro Marc Zoro nel 2005; c’è il saluto fascista di Paolo Di Canio nel derby capitolino del 6 gennaio dello stesso anno e le svastiche
nella curva del Siena contro il Livorno. E via via una sequenza o poco edificante di «buuu», striscioni vergognosi e pollici versi quando il giocatore acquistato è di colore o di origini semite.
Se si va indietro nel libro bianco del razzismo pallonaro, si scopre che prima le cose andavano meno peggio. Tra il 1989 e il 2000 i cori, le scritte, gli striscioni, gli episodi dichiaratamente discriminatori sono stati “solo” 56. Pessimi, certo. Ma molti di meno del decennio a venire. Indelebili furono i graffiti «Vai nel forno» e «via gli ebrei» con cui gli ultrà neri dell’Udinese
accolsero nel 1989 il neo acquisto israeliano Ronnie Rosenthal. Che infatti non fu tesserato. O l’elegante «Hitler: con gli ebrei anche i napoletani», esibito dai supporter interisti a San Siro un anno dopo. Due e otto anni dopo furono gli ultrà laziali a distinguersi: prima con le scritte antisemite contro Aaron Winter, poi, nel derby con la Roma, con «Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case». Il peggio doveva ancora venire, ed è arrivato. Nessuna tifoseria esclusa. Sono 275 le curve che negli ultimi dieci anni si sono macchiate di razzismo. Settantaquattro in seria A, 66 in B, 70 nella prima divisione della Lega Pro (l’ex C1) e 65 in seconda divisione. Tra l’89 e il 2000 erano state 45. Le tifoserie più razziste? Verona, Lazio, Ascoli, Padova, Juventus e Roma. Tutte dichiaratamente di destra. I club, dalla stagione 2000/2001, hanno già sborsato 1 milione e 268mila euro a causa del loro odio verbale. Nella metà dei casi cori e striscioni hanno preso di mira il singolo giocatore. Per il 30% la società e i tifosi avversari. E per il restante 20% le cosiddette “minoranze etniche”. Che fare quando sul campo piovono ululati e cori razzisti? Marinelli è in linea con il ministro Cancellieri: «Bisogna sospendere. Ma bisogna anche stabilire con chiarezza a chi spetta la decisione e in quali casi. La normativa oggi è confusa