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 2013  gennaio 08 Martedì calendario

[3 pezzi da Gazzetta su pallone d’oro Messi] NESSUNO COME LEO– Messi, uffa. Se il calcio è uno sport che si gioca in 11 e vinceva sempre la Germania, il Pallone d’oro è un premio al quale partecipano in 23 e vince soltanto l’argentino

[3 pezzi da Gazzetta su pallone d’oro Messi] NESSUNO COME LEO– Messi, uffa. Se il calcio è uno sport che si gioca in 11 e vinceva sempre la Germania, il Pallone d’oro è un premio al quale partecipano in 23 e vince soltanto l’argentino. Ancora Messi: 2009, 2010, 2011, 2012. Ma questo è il più importante, è il record: quarto consecutivo. Storia da riscrivere. Cancellato Michel Platini. Mandata al diavolo la presunta rivalità con Cristiano Ronaldo: no, il fenomeno è soltanto lui. Gli manca il Mondiale: Brasile 2014 non è in teoria il luogo in cui astri e bioritmi dovrebbero baciare l’Argentina. Ma il giorno in cui solleverà la coppa – e accadrà – Messi avrà superato Pelé, Maradona, Di Stefano e tutti gli altri. Tutti. Ieri ha messo in fila Cristiano Ronaldo e il silenzioso Iniesta. Qualcuno aveva dubbi? «Maradona? Nooo» Avesse con le parole la stessa facilità con la quale tocca il pallone, potrebbe recitare la Divina Commedia. Invece – ingolfato oltretutto in un’inguardabile giacca a pallini bianchi, tipo clown – non va oltre frasi di circostanza mentre CR7, figo, sfrontato, multilingue, ha gli occhi umidi di pianto ma regge la scena, fa le smorfie e scherza con i giovani tifosi. Ecco Messi: «Non credo sia stato il mio miglior anno. È... è incredibile, sono qui per la quarta volta, impressionante». La platea del Gala Fifa si alza in piedi per applaudire, evento – a memoria – piuttosto raro. Tra le dediche, le più toccanti a moglie, figlio e al tecnico del Barça Tito Vilanova «che si sta riprendendo». Solo una cosa fa annoiare Messi: il confronto con Maradona. Risponde con un «noooo» scocciato e, per la prima volta, aspetta l’altra domanda. Che percentuale La percentuale vincente di Messi è 41,60, un po’ meno dello stratosferico 47,88% del 2011, ma molto meglio del 22,65% del 2010. Per superare la sua quota servono, messi assieme, i voti di Ronaldo (23,68%), Iniesta (10,91%), Xavi (4,08%) e Falcao (3,67%). «Quando avevo otto anni non sognavo di diventare il migliore, mai. Mi interessava soltanto giocare e divertirmi». Oggi è impossibile. Se il calcio è lo sport più famoso al mondo, oggi lui è lo sportivo più celebre benché in Argentina, nel 2012, gli abbiano preferito un pugile. Gullit show Per una volta lo show Fifa è veloce e divertente. Merito soprattutto di Ruud Gullit, presentatore nato. Di Scolari che s’impappina sul palco per consegnare il premio alla c.t. svedese Sundhage (che si mette a cantare). Della simpatia di Ronaldo, quello originale, dimagrito ma neanche troppo. Di Shevchenko («ho spazio a casa, ho vinto una sola edizione»). E di Platini: «Il mio Pallone d’oro più importante? Il primo, nell’83, dopo il Mondiale e dopo Paolo Rossi: una stagione straordinaria, una grandissima Juve». Prima o poi andrà anche a lui il premio speciale del presidente Blatter: ieri è toccato a Franz Beckenbauer. Tra i tecnici, inequivocabile il successo di Del Bosque, c.t. della Spagna campione d’Europa, davanti a Mourinho e Guardiola. Mentre quello del fair play è stato assegnato all’Uzbekistan. Tra le donne, la statunitense Wambach. E adesso tutti in attesa del quinto titolo nel 2013. Ma Fifa e France Football staranno studiando qualcosa: altrimenti presto dovranno lanciare un altro premio oltre a quello, ormai personale, per l’argentino. *** MA COSI NON E PIU IL MAGICO TROFEO Se non volete vedere assegnato il Pallone d’oro a Leo Messi per dieci anni di fila, dovete sperare in un paio di cose. Almeno due. La prima: che compaia sulla scena un marziano più forte di lui. La seconda: che la Fifa cambi le regole dei criteri di voto per l’attribuzione del trofeo. Dieci anni di Messi finirebbero col rendere dimesso anche questo premio. Se tutto è scontato, manca la suspense, cala l’interesse della gente, diminuisce il giro d’affari. Il rischio che la fusione col Fifa World Player mandi a picco il fascino del vecchio Ballon d’or è molto, molto concreto. C’è un problema. Continuiamo a chiamare con lo stesso nome una cosa ormai molto diversa. Fino al 1994, per vincere il trofeo un giocatore doveva avere la nazionalità europea. Ora non è più così. Gli argentini Alfredo Di Stefano e Omar Sivori avevano dribblato la questione grazie al doppio passaporto. Pelé, Maradona e Zico hanno fatto in tempo a vincere il Balon de oro sudamericano (ora Rey del futbol de America) ma sono rimasti tagliati fuori dal vecchio riconoscimento eurocentrico, pensato a Parigi dalla rivista sportiva France Football. Dal 1995, la distinzione di nazionalità è stata superata — premio assegnato al liberiano George Weah — ma fino al 2006 è rimasto vivo il vincolo di militare in una squadra affiliata all’Uefa. Poi si sono sfondati tutti gli argini: non ci sono più limiti e confini di nazionalità e squadre. Sotto l’imprinting della Fifa di Sepp Blatter il Pallone d’oro viene sottratto ai giornalisti (ora esprimono soltanto un terzo dei voti) e consegnato a giocatori (un terzo dei voti) e allenatori (l’altro terzo). I criteri di attribuzione della scelta sono diventati più generici: non più quattro input, ma soltanto due. La voce che riguardava l’insieme delle performance individuali e collettive nell’anno preso in considerazione è stata sostituita da un più generico accenno alle performance sul campo. Non sono cose note a tutti. Per questo — probabilmente — tanti non capiscono perché Messi vince sempre. Fino a qualche anno fa, nell’anno del Mondiale, contava essere stati la stella o il capitano della nazionale che aveva vinto il titolo. Il Pallone d’oro a Fabio Cannavaro seguiva questo schema. La stessa prassi che aveva portato Matthias Sammer sul podio più alto nel 1996, grazie al grigio Europeo vinto dai tedeschi in Inghilterra. Possibile che né Casillas, né Xavi o Iniesta siano stati premiati dopo i due titoli europei e il Mondiale conquistati di fila? Possibile, basta guardare in faccia la realtà, leggere le regole e prendere atto dei nuovi rapporti di forza. C’è un vuoto e qualche nostalgia. Non a caso l’Uefa di Michel Platini ha istituito un premio europeo per rilanciare lo spirito originario del Pallone d’oro. Tutte queste considerazioni — un po’ come la giacca esibita ieri da Messi — non tolgono nulla allo straordinario talento del piccolo grande campione del Barça. L’argentino sta segnando un’epoca, come erano stati capaci di fare Beckenbauer e Cruijff, Platini e Van Basten e come avrebbe fatto il Ronaldo brasiliano, se non fosse stato perseguitato dagli infortuni. E’ evidente, ormai, che Messi si misura con la storia. In fondo alla collezione dei Palloni dorati i suoi avversari restano Maradona e Pelé, i più grandi di sempre. Alessandro De Calò *** RONALDO ETERNO SECONDO– «Non è questione di vita o di morte. Non è la fine del mondo. Non ho vinto, ma la vita va avanti. Ho la coscienza tranquilla. D’altra parte non ho ancora capito qual è il criterio del Pallone d’oro: un anno premia il gioco, un altro i successi». E sempre Messi. Non è una questione di vita o di morte, ma la rabbia che Cristiano Ronaldo si porta dentro non sbollirà tanto presto: sta diventando l’eterno secondo, o comunque la controfigura di Messi. Non si parla più di dualismo, c’è solo l’argentino. Rabbia come quella di José Mourinho, per il secondo anno di fila assente semi-giustificato alla premiazione: «C’è da preparare il ritorno in Copa del Rey» la versione ufficiale. Fifa, immaginate, contentissima: Mou è sul libretto dei «cattivi» di Zurigo. Le parole di Blatter sui «campioni che devono anche saper perdere» sembravano dedicate a lui. Eterno perdente? Ronaldo, alla premiazione con la fidanzata Irina, rischia di passare alla storia come il gran perdente. Vinto il Pallone d’oro nel 2008 davanti al rivale Messi (ancora non assurto al ruolo di nuovo Maradona), il portoghese ha poi collezionato tre secondi posti negli ultimi quattro anni. Sempre dietro, sempre a inseguire. Neanche la Liga e la semifinale all’Euro hanno ribaltato un voto che sembra ormai un destino: Messi, poi gli altri. Ma Ronaldo non si sente un «altro». Nato nell’epoca sbagliata? Niente Mou Neanche Mourinho si sente secondo a nessuno. Sempre sul podio in tre edizioni, il tecnico portoghese ha però un rapporto sofferto con il Pallone d’oro. Assente quest’anno e nel 2011, sicuro che non avrebbe vinto, Mou aveva declinato anche l’invito del 2010, la stagione del «triplete» con l’Inter, quando da Zurigo gli avevano fatto capire che il successo sarebbe andato a Del Bosque. La mattina della premiazione, però, la telefonata dalla Fifa preoccupata dell’assenza: «Vieni, hai vinto!». Mou si precipitò a Zurigo con un volo privato, arrivando in ritardo. Qualcuno, un giorno, racconterà la vera storia di quel voto. Oggi, però, resta l’autogol di Mou assente, arrabbiato per il rapporto con il Madrid, la squadra, i tifosi e per una stagione forse sprecata. La Copa del Rey – pur con l’obbligo di recuperare l’1-2 dell’andata – non ha tenuto lontani Ronaldo e gli altri. F.Li. *** Pezzo estratto da DEL BOSQUE RE, PEP C’È GUARDIOLA: «SONO PRONTO A TORNARE» –Di Fabio Licari Voti Del Bosque Il c.t. spagnolo ha votato Casillas, Xavi e Iniesta «come riconoscimento generale per quel che ha fatto il calcio spagnolo. Ma non possiamo evitare di lottare con due fenomeni quali Messi e Ronaldo». Al quotidiano El Pais, ventiquattrore prima, aveva però confessato che «Messi sarebbe il migliore anche senza Iniesta e Xavi al suo fianco nel Barça». Piccola contraddizione? O il segnale che nel sistema della votazioni qualcosa va aggiustato?