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 2013  gennaio 08 Martedì calendario

Dopo la sua risposta sulle stragi nelle scuole, mi è rimasta una curiosità: quale è la situazione in Israele e Svizzera? In queste nazioni, a causa del tipo di leva — tutti i cittadini abili svolgono il servizio militare intorno ai 18 anni e poi sono periodicamente richiamati per aggiornamenti — chi ha fatto il militare si porta a casa l’arma in dotazione in modo da essere pronto in caso di mobilitazione

Dopo la sua risposta sulle stragi nelle scuole, mi è rimasta una curiosità: quale è la situazione in Israele e Svizzera? In queste nazioni, a causa del tipo di leva — tutti i cittadini abili svolgono il servizio militare intorno ai 18 anni e poi sono periodicamente richiamati per aggiornamenti — chi ha fatto il militare si porta a casa l’arma in dotazione in modo da essere pronto in caso di mobilitazione. Questo significa che, in percentuale, vi sono in questi Paesi più armi di quante ve siano mediamente in qualsiasi altra parte del mondo. Tralascio il caso particolare di Israele e osservo che non mi sembra di aver letto di stragi in Svizzera — anche se di minore impatto mediatico — comparabili a quelle degli Stati Uniti. Gino Codella ginocod@libero.it Caro Codella, Le ricordo anzitutto che gli svizzeri sono un popolo guerriero. Per qualche secolo, quando il loro Paese era fra i più poveri d’Europa, hanno esportato il loro coraggio e dato in affitto i loro reggimenti ai maggiori sovrani del continente. Furono persino accusati di venalità. Sembra che un principe francese, indispettito dal prezzo dell’«affitto», abbia detto a un comandante svizzero: «Con l’oro che vi abbiamo già dato si potrebbe lastricare una strada da Parigi a Basilea». E sembra che lo svizzero abbia risposto: «Con il sangue che i nostri uomini hanno versato per la Francia, si potrebbe colmare un canale da Basilea a Parigi». Aveva ragione. Quando Luigi XVI, il 10 agosto 1792, fu assediato dalla folla tumultuante nel palazzo delle Tuileries e dette ordine ai suoi difensori di non sparare sul popolo, gli svizzeri obbedirono e pagarono con la vita la loro obbedienza. Dopo la guerra civile del Sonderbund, nel 1848, e l’approvazione di una costituzione confederale, gli svizzeri smisero di fornire reggimenti agli Stati europei. Ma non smisero di amare le armi. Secondo dati citati dall’International Herald Tribune del 4 gennaio, i fucili e le pistole, in un Paese che conta otto milioni di abitanti, sarebbero due milioni e trecentomila. Secondo statistiche fornite dalla Associazione dei medici quelle che il soldato porta a casa dopo la fine del suo primo servizio militare uscirebbero dall’armadio nei casi di suicidio (un quarto dei circa 1200 registrati annualmente nella Confederazione) e di violenza domestica. Le stragi non hanno dimensioni americane, ma appartengono alla storia della Confederazione. Nel 2001 un uomo ha ucciso 14 persone nella città di Zug. Più recentemente uno squilibrato ha ucciso tre donne e gravemente ferito due uomini a Daillon nel cantone del Vallais. Qualche giorno fa un altro squilibrato, in un ristorante, ha ripetutamente sparato al soffitto. Come accade regolarmente negli Stati Uniti, vi sono campagne di stampa per l’adozione di norme più severe e rigorose. Ma la maggioranza degli svizzeri continua a pensare che l’arma sia un diritto inalienabile. In un referendum del febbraio 2011 è stato chiesto agli elettori di esprimersi su una legge che imporrebbe la custodia delle armi militari in un deposito centrale e l’iscrizione delle altre in un pubblico registro. La maggioranza degli svizzeri e dei cantoni ha detto no.