Luca Goldoni, Corriere della Sera 8/1/2013, 8 gennaio 2013
La crisi aggredisce le famiglie e tante donne italiane riscoprono gli antichi mestieri di colf, badante, baby sitter
La crisi aggredisce le famiglie e tante donne italiane riscoprono gli antichi mestieri di colf, badante, baby sitter. Secondo dati Inps sono oltre 133 mila, e negli ultimi anni sono cresciute del venti per cento. Spesso sono sole con figli a carico, o con i mariti a spasso, alle prese con mutui e cambiali e non provengono più soltanto dallo storico serbatoio del Friuli. Ai miei tempi (lontani, ma non giurassici) non si chiamava domestica né tanto meno colf, ma «la donna», sottintendendo «di servizio». Se non c’era una camera apposita, dormiva sul divano in salotto. Ho in mente una vignetta di Novello con una donnina assonnata appoggiata al tavolo di cucina in attesa che gli invitati lascino libero il suo posto letto. Non solo i signori sfoggiavano la servitù in rigatino o grembiule di pizzo, ma ogni famiglia borghesuccia vantava la donna tuttofare che si alzava alle sei, spalancava le finestre, puliva le scarpe, serviva a padroncini maleducati le fette di pane burro e zucchero, li accompagnava a scuola, tornava a casa a stirare, rammendare, lucidare col Sidol i regali di nozze. Senza diritti né orario, stava alla civiltà dei «padroni» (li chiamava così) trattarla con garbo e imporre ai bambini di chiedere «per favore». Il lunedì c’era il bucato giù in lavanderia e verso sera la donna risaliva con le mani viola e i piedi fradici (ma forse quella giornata tra il profumo del sapone di Marsiglia, l’odore di legno dolce bruciato nella caldaia, era più riposante delle sfacchinate quotidiane). La marea delle 130 mila licenziate da fabbriche e uffici non disdegna dunque le incombenze meno gratificanti. Ma di certo, a differenza delle colf storiche che le hanno precedute, non dovranno sfiancarsi a strizzare lenzuola, né strofinare stracci in ginocchio né bruciarsi le mani con la lisciva. Troveranno un apparato di lavastoviglie, centrifughe, bottoni da premere, scope elettriche con retromarcia, aspiratutto (non solo gli scarriolanti son divenuti gruisti). Ma di peggio scopriranno la figliolanza di casa, sfrontata e villana, capace di ogni angheria se può filmarla con il videofonino e scaricarla in Rete. Per rialzare il morale di queste colf di ritorno, ho eseguito una piccola ricerca e ho scoperto le benemerenze delle domestiche nell’arte e nella storia. Nella pittura, per esempio, dominano le «fantesche» di Vermeer con le pesanti cuffie bianche, che versano latte o vino dalle brocche. La narrativa è letteralmente gremita di domestiche con ruoli tutt’altro che trascurabili. Ne svettano due curiosamente agli antipodi: nel turbine di Via col vento e nelle silenziose stanze della Recherche proustiana. In entrambe le opere meritano addirittura le ultime righe dei romanzi: Rossella rimpiange il tempo che fu e ricorda la Mamy nera protettiva, ingombrante, insostituibile: «La desiderò all’improvviso e disperatamente come l’aveva desiderata da bambina: l’ampio seno su cui posava la testa, la mano nera e nodosa sui suoi capelli». E altrettanto fa Marcel Proust, chiudendo l’amore morboso e le gelosie per l’amante Albertine: la cameriera Françoise entra nella stanza di Marcel, timorosa per non aver atteso la sua scampanellata. «Avete fatto bene a non svegliarmi, vi chiamerò tra poco». Ma la cameriera mormora, impacciata: «La signorina Albertine ha lasciato questa lettera per il signore. Ed è partita». Il romanzo finisce così: dopo la lunghissima, tormentata autoanalisi, una conclusione quasi notarile. Georges Simenon ribalta la situazione e piazza la domestica nelle primissime pagine de L’assassino. Dopo aver ammazzato moglie fedifraga e relativo amante, il dottor Kuperus rincasa tranquillo e si porta a letto Neel, «florida e soda, le braccia rosee che profumano di sapone». Troppo tardi Anthony Hopkins, maggiordomo sublime in Quel che resta del giorno, corrisponde l’amore di miss Kenton, cameriera in capo. Mentre nell’opera buffa La serva padrona, l’attempato padrone Uberto perde la testa per la servetta Serpina che si fa sposare e lo spenna come un tacchino. Curiosa anticipazione settecentesca delle imprese di tante badanti dell’Est che intortano i rispettivi badati. Nella mia ricerca volante non poteva mancare una splendente carriera ancillare. Vedovo di Anita, vanamente corteggiato dalle baronesse di mezz’Europa, Garibaldi si affeziona all’umile Francesca Armosino: prima serva, poi governante, poi segretaria e infine moglie amorosa che lo accudisce nella dolorosa vecchiaia. E così la colf fa ingresso anche nella storia.