Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 08 Martedì calendario

SCANDALO LIBOR

«Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti! Ascolta amico, loro sono...sono i tipi...sono quelli che mettono la gente in galera! Perché diavolo vuoi parlargli?». Cominciava a spaventarsi dav­vero, Tom Hayes: era fine marzo del 2011 e un suo colle­ga trader di Ubs gli stava raccontando che degli investi­gatori americani avevano contattato la banca per fissa­re un appuntamento. Volevano interrogarlo, per capire com’è che funzionavano le comunicazioni sui tassi Libor inviate dagli uffici di Ubs a Tokyo, dove i due avevano la­vorato insieme. Sospettavano che quelle comunicazio­ni fossero bugiarde, truccate per aiutare i trader della banca svizzera a guadagnare di più. Il sospetto era fon­dato, Hayes aveva ragione ad avere paura: a 32 anni e con un figlio in arrivo a breve avrebbe dovuto chiudere la sua strepitosa carriera nella grande finanza per passare alla condizione di carcerato. L’11 dicembre scorso la polizia britannica lo è andato a prendere nella sua villa nell Sur­rey, appena fuori Londra, per portarlo in galera. Gli Sta­ti Uniti hanno chiesto la sua estradizione ma gli inglesi non lo lasceranno partire: il primo ministro David Ca­meron ha promesso che il Regno Unito dimostrerà ai suoi cittadini che sa punire con durezza anche i crimi­nali della finanza. Hayes, assieme a due colleghi della società di brokerag­gio RP Martin, Terry Farr e Jim Gilmour, è il primo arre­stato nel colossale scandalo del Libor, esploso la scorsa estate e ancora agli inizi. Il Libor è un tasso interbanca­rio che indica, con scadenze che vanno da 1 giorno a 12 mesi, gli interessi a cui le banche si stanno prestando re­ciprocamente denaro (in particolare sterline, dollari e yen). È un indicatore chiave della finanza mondiale, per­ché su questo tasso si basano contratti per un valore com­plessivo stimato attorno ai 350mila miliardi di dollari, ci­fra pari a cinque volte il Prodotto interno lordo mondia­le. Sono contratti di tutti i tipi, dai più banali mutui e pre­stiti a derivati complessi. Nonostante l’indice sia così de­licato, il valore del Libor è fissato secondo un meccani­smo rozzo: l’associazione delle banche inglesi ogni gior­no chiede a 15 istituti a che tasso contano di ottenere de­naro in prestito dalle altre banche il giorno dopo, quin­di fa la media e fissa l’indice. Queste modalità presto cam­bieranno, lo scandalo ha costretto le autorità a studiare una riforma di un meccanismo che si è rivelato pieno di buchi. Perché se gli addetti delle banche si accordano per dare informazioni sballate, il tasso si allontana dalla realtà e favorisce speculazioni sleali. Come quelle di Hayes. Secondo le accuse, già dal 2006 (quando aveva appena 27 anni) il trader d’accordo con Roger Darin, che per Ubs comunicava il Libor sullo yen, e assieme a deci­ne di colleghi di altre banche tentava quasi tutti i giorni di muovere il tasso in maniera anomala per favorire le sue strategie speculative. Gli investigatori americani sostengono che un movimento del Libor di 0,01 punti percen­tuali a suo favore valesse 2 milioni di dollari di profitti sul suo portafoglio di investimenti. Gra­zie a questo sistema nei tre anni passati in Giap­pone Hayes avrebbe fatto guadagnare a Ubs 260 mi­lioni di dollari. Non si sa quanto la banca svizzera abbia premiato il suo ragazzo prodigio – che nel 2009 è passa­to a Citigroup –, ma visto che nella finanza i bonus sono legati ai risultati è presumibile che Hayes incassasse qual­che milione di dollari all’anno. Certo, non era solo.

Sullo scandalo Libor stanno indagando tribunali e orga­nismi di controllo di 10 nazioni diverse, tra America, A­sia ed Europa. Le banche coinvolte sono quasi 20 (non ci sono italiane), gli indagati sono decine. Inchieste simili riguardano anche l’Euribor, l’interbancario della zona euro su cui si basano contratti per 150 mila miliardi di eu­ro (compresi i mutui e le linee di credito delle nostre im­prese). Sull’Euribor indagano anche a Trani, nella procura dove l’attivissimo pm Michele Ruggiero a novembre ha chiesto il rinvio a giudizio per 7 ex dirigenti delle agen­zie di rating Fitch e Standard & Poor’s. Ma l’Euribor però si forma con le indicazioni di quasi 40 banche, non 15, e quindi è più difficile da mani­polare.

Le indagini sul Libor, condotte dalla Fsa inglese e dalla Sec a­mericana, hanno già dato risultati eclatanti. La ban­ca inglese Barclays a giugno è stata la prima ad arrivare a un ac­cordo con le autorità britanniche e ame­ricane per chiude­re il caso: ha am­messo le sue re­sponsabilità e ha pagato multe per 290 milioni di ster­line. Il presidente Marcus Agius e l’amministratore de­legato Bob Diamond sono stati costretti ad andarsene. A dicembre è arrivato il turno di Ubs, la banca di Hayes, che ha pagato 940 milioni di sterline.

La prossima a ’costituirsi’ do­vrebbe essere Royal Bank of Sco­tland, che tratta da mesi con le autorità. Poi potreb­be toccare ad altri: in fila ci sono anche i colossi H­sbc, JPMorgan, Deutsche Bank, Citigroup, Lloyds.

Stavolta però le banche rischiano di non riuscire a cavarsela pagando solo una multa, per quanto mi­liardaria. Perché mentre i loro addetti imbroglia­vano rastrellando milioni grazie alle anomalie del Libor c’era qualcuno che quegli strani andamenti del tasso li subiva. Fannie Mae e Freddie Mac, le di­sgraziate agenzie dei mutui controllate da Wa­shington, dicono di averci perso 3 miliardi di dollari e vogliono un inden­nizzo. Vo­gliono rimborsi anche il Comune di New York e quello di Baltimora. E anche Annie Bell Adams, 65enne dell’Ala­bama che per colpa della crisi dei mutui ha perso la ca­sa e in estate ha avviato una class action. In tanti l’han­no seguita. Le richieste di partecipare alle nuove cause miliardarie contro le banche dell’imbroglio Libor sono così numerose che gli avvocati americani, sempre a cac­cia di preziose vittime, stanno pubblicando manuali per chi vuole partecipare al contenzioso. I giudici interpel­lati nei prossimi mesi quantificheranno gli eventuali i danni. Il fatto è che la manipolazione – se davvero ha a­vuto successo – ha falsato un autentico pilastro della fi­nanza mondiale, un indice così utilizzato che praticamente chiunque può avere di­ritto ad essere risarcito. Per certi imperi del denaro l’eccesso di potenza rischia di rivelarsi fatale.