Antonella Baccaro, Corriere della Sera 8/1/2013, 8 gennaio 2013
ROMA —
Circa 3,2 miliardi di euro. Tanto potrebbe essere costato allo Stato il salvataggio di Alitalia, orchestrato nel 2008 dal governo Berlusconi, che ha portato l’ex compagnia di bandiera nelle mani di una ventina di soci privati, a partire dal vettore Air France-Klm (25%). È un conto approssimativo che tiene conto di maggiori spese e minori introiti ma che soprattutto è ancora da chiudere, visto che alcune procedure sono tuttora in corso mentre nuovi eventi sono emersi, contribuendo a aumentare l’esborso pubblico.
Caso esodati. L’ultimo episodio in ordine di tempo riguarda gli «esodati», cioè i cittadini cui la riforma delle pensioni del governo Monti ha allontanato l’età di pensionamento oltre il periodo coperto dagli ammortizzatori sociali che li avrebbero accompagnati all’uscita, lasciandoli nel limbo: senza lavoro e senza pensione.
Tra questi figura un numero non precisato di lavoratori dell’ex Alitalia, tra i circa 4 mila che erano stati messi fuori dalla vecchia azienda senza essere assunti dalla nuova. Per questi, si ricorderà, il governo Berlusconi aveva previsto un regime «speciale» con ben sette anni di ammortizzatori sociali tra cassa integrazione (tre anni) e mobilità (quattro anni) che potrebbe aver raggiunto un costo complessivo di 700 milioni. Di quello stesso regime, che un altro decreto ha esteso a tutto il settore aereo, stanno godendo ora anche i lavoratori fuoriusciti dalle numerose compagnie in difficoltà, con costi non ancora quantificabili.
Il costo dei debiti. Ma il costo più pesante che si imputa all’operazione lanciata per salvare l’«italianità» della compagnia è, secondo numerosi studiosi e osservatori del settore, il maggior esborso che lo Stato si è caricato per non aver scelto la soluzione francese: Air France-Klm, si fa osservare, avrebbe pagato l’acquisto della compagnia tramite un concambio di azioni (che oggi, con la quotazione in Borsa di Af-Klm, sarebbe redditizio). In più si era impegnata a versare in Alitalia un miliardo di euro oltre a accollarsi 1,4 miliardi di debiti finanziari netti, che invece la soluzione Cai (compagnia aerea italiana, o nuova Alitalia) ha lasciato alla bad company, la vecchia Alitalia, la cui liquidazione, curata fino a un anno da dal commissario Augusto Fantozzi, non si è ancora conclusa.
Quando Fantozzi prese in gestione la bad company, nel novembre del 2008, conteggiò una massa passiva di 3 miliardi e 200 milioni di euro a fronte di entrate per un miliardo e 52 milioni dalla vendita a Cai (soltanto in parte in contanti) e di ipotetiche vendite degli asset per massimo 700 milioni di euro. La differenza fa esattamente quel miliardo e mezzo di debiti che Air France si sarebbe accollata.
Le obbligazioni. Ma Air France aveva fatto anche un’offerta per farsi carico delle obbligazioni che erano state emesse nel luglio del 2002 per finanziare Alitalia, per un valore di oltre 700 milioni di euro. Caduta l’offerta francese, lo Stato si è dovuto fare carico della propria parte, pari a circa 445 milioni. Quanto alle obbligazioni detenute dai privati cittadini, ma anche alle azioni di Alitalia ormai prive di valore, essendo la vecchia compagnia fallita, il governo ha speso qualcosa come 300 milioni per mettere a disposizione degli incauti investitori un concambio in titoli di Stato.
Il prestito-ponte. Non bisogna neppure dimenticare che nel 2008 l’allungamento dei tempi per il salvataggio di Alitalia a cavallo tra il morente governo Prodi, che aveva scelto di vendere Air France, e il sopravveniente Berlusconi, che aveva escluso questa ipotesi, comportò la necessità di concedere a Alitalia un prestito-ponte pubblico di 300 milioni. Soldi che nelle casse dell’allora moribonda Alitalia si volatilizzarono in un attimo.
Il credito dello Stato però è ancora là: l’Unione europea ha imposto ormai da tempo che venga restituito. Peccato che lo Stato figuri all’ultimo posto della lista dei creditori non privilegiati della bad company, perché così è stato previsto dal decreto per il salvataggio di Alitalia. Probabilmente quei 300 milioni spariranno nel nulla, visto che nel febbraio 2011 il commissario Fantozzi, presentando la relazione finale, dichiarava di aver venduto quasi tutti gli asset rimasti allo Stato realizzando più di un miliardo, cui però vanno tolte spese per circa 400 milioni da suddividere tra tutti i creditori...
I costi pregressi. Fin qui il conto dà una cifra complessiva a carico dello Stato di 3,2 miliardi circa, pari a 53 euro per ciascun cittadino. E sarebbe nulla se Alitalia non avesse già totalizzato dal 1988 fino al 2008 qualcosa come 4,4 miliardi di apporti di capitale pubblico per restare la nostra compagnia di bandiera.
Le ricadute sociali. Ma ci sono costi che non siamo neppure in grado di quantificare, e sono soprattutto costi sociali legati alla privatizzazione di Alitalia che ha messo fuori circa 3 mila lavoratori stagionali, solo alcuni dei quali richiamati in servizio. Quanto all’indotto, si stima che siano circa 2 mila i lavoratori che hanno perso il lavoro soprattutto per il ridimensionamento del perimetro della compagnia, in particolare su Malpensa. Va detto, per onestà, che anche la soluzione Air France-Klm avrebbe richiesto una revisione della struttura della compagnia a scapito dello scalo varesino.
C’è un ultimo costo che le associazioni dei consumatori addebitano all’operazione Cai-Alitalia che inglobò anche l’Air One: la sospensione delle regole della concorrenza per decreto soprattutto sulla tratta Milano-Roma. Soltanto l’avvento dell’Alta Velocità ha reso quell’impatto meno significativo.
Antonella Baccaro