Mario Ajello, Il Messaggero 8/1/2013, 8 gennaio 2013
IDENTIKIT PER VINCERE AL SENATO
Palazzo Madama vuole assumere cinque specialisti in anestesia. Ma tanto è inutile. Nessuno infatti potrà permettersi di essere addormentato, nella prossima legislatura al Senato. Perché è lì dentro che si giocheranno le grandi partite politiche, quell’aula sarà l’ago della bilancia della governabilità ed è su quelle poltroncine rosse e soprattutto nel backstage che, in caso di pareggio elettorale, si deciderà qualsiasi cosa.
I FICHI DEL BIGONCIO
Dunque i «meglio fichi del bigoncio», per usare un’espressione di Francesco Cossiga, vanno candidati al Senato. Sono già in pista per la camera alta - ritenuta noiosa prima che l’Unione prodiana pareggiasse facendola diventare nel 2006-2008 un Vietnam ogni giorno sulle prime pagine dei giornali - una folta schiera di big come Pier Ferdinando Casini e di vari ministri di Monti che come il premier travalicano lo schema destra-sinistra, ma soprattutto un esercito di graduati composto da figure meticce. Popolato da uomini di frontiera capaci di attrarre voti di qua e di là, come Giorgio Santini, segretario aggiunto della Cisl, che si aggiunge al top player Piero Grasso, per il Pd al Senato e serve a bilanciare a destra lo strapotere della Cgil tra i democrat. O ancora: quanti voti pidiellini si porterà appresso Alfredo Mantovano, probabile candidato a Palazzo Madama con Monti? Per non dire di altri possibili senatori di frontiera molto sperimentati: Pisanu; il capogruppo del Pdl all’Europarlamento, Mario Mauro; e Franco Frattini se deciderà di esserci. Nomi, caselle. Ma l’importante, appunto, è l’identikit di chi giocherà la partita del Senato. Ed è quello, per tutti i partiti, del frontaliere.
IL FRONTALIERE
Si tratta del politico o dell’esponente della società civile più adatto a sfondare dentro le linee degli avversari, ad acchiappare voti trasversalmente, a toglierli al campo concorrente per portarli nel proprio e così, regione per regione, si cercherà di strappare le regioni cruciali - soprattutto Veneto, Sicilia e Lombardia ancora più delle altre due - per aggiudicarsi i premi di maggioranza al Senato o, specialmente, per impedire che li incassino i concorrenti. A cominciare dal centrosinistra che è il più forte. Il Lazio fa parte di questo discorso e Giulia Bongiorno, finiana diventata capolista al Senato per la lista Monti, ha la fisionomia ad hoc per lo spariglio, viste le benemerenze e il grande apprezzamento che si è conquistata nel popolo di sinistra durante le sue battaglie in prima linea contro le leggi ad personam di Berlusconi in Parlamento. Se i candidati per la Camera dei deputati servono a blindare l’elettorato dei partiti di riferimento, a fare il pieno tra i già fidelizzati, le candidature dei frontalieri di palazzo Madama hanno lo scopo - è il caso del per niente sinistrese e cattolico Santini capolista in Veneto per il Pd - di strappare voti ai montiani e ai moderati per traghettarli nel centrosinistra. Non avrebbe del resto, in un altro campo, quello del Pdl, il medesimo significato di acchiappa-esterni la ventilata candidatura del ministro Terzi di Sant’Agata con il Pdl, ritenuto adatto a calamitare nel fronte berlusconiano voti benpensanti e di buona rispettabilità sociale naturaliter montiani?
I FEDELISSIMI
Al Senato li vuole Berlusconi, come è ovvio, visto che lì scatenerà il suo catenaccio o proprio lì cercherà di rientrare in partita. Puntando anche su calciatori milanisti come Demetrio Albertini, per non dire di politici di sicura esperienza come Fabrizio Cicchitto che potrebbe traslocare da Montecitorio. Ma non si può limitare all’affidabilità l’identikit del senatore perfetto. Deve rispondere in primo luogo a una caratteristica a cui si adattano perfettamente una serie di candidati della lista montiana in Sicilia. Il capolista della Sicilia orientale è il sindaco di Agrigento, Visentin, strappato al Pdl, con grande rammarico di Stefania Prestigiacomo, perché capace di attrarre berlusconiani delusi. E meticcio, o frontaliere, ma rispetto alla sinistra riformista, è Ugo Marchetti, magistrato della Corte dei conti, ma soprattutto super-assessore per pochi giorni nella nuova giunta di Leoluca Orlando a Palermo, subito lasciata accusandola di demagogia. In corsa lui con la lista moderata di centro, così come Ettore Artioli, ex dirigente di Confindustria Sicilia, ai tempi della presidenza Montezemolo. Un pacchetto di nomi trasversali di questo tipo, nell’area di centro, rende difficile per il Pdl ottenere il premio di maggioranza e può togliere voti riformisti al Pd. I democrat rispondono però con una figura moderata che può pescare sia nell’elettorato di centro che in quello di centrodestra: Carlo Vizzini, senatore uscente, ex Pdl, ora in corsa con il Centro democratico di Tabacci alleato con il Pd.
OHIO ITALIA
La Sicilia regione chiave per conquistare il Senato via Porcellum. La Lombardia lo è ancora di più. Ancora non sono decise le caselle, ma rispetto a Pietro Ichino - senatore Pd ricandidato nella lista Monti in Lombardia - l’ex direttore di Confindustria, Gianpaolo Galli, in quella regione può rappresentare la risposta democrat nella gara sulla frontiera del riformismo, dell’innovazione e dell’europeismo che ha in quell’area italiana un’importanza particolare. E Galli più montiano che democrat è apparso nelle sue prime dichiarazioni di accettazione della candidatura. Così come lo è l’economista, in corsa con il Pd, Carlo Dell’Aringa, amico e collaboratore di Marco Biagi, quello che per un veto della Cgil non riuscì ad entrare nel governo Monti. Di fatto, i candidati ruba-bandiera, nella lotteria del Senato, sono decisivi per tutti. Molto dipendono da loro le regioni in bilico.
I CALCOLI
Se il centrosinistra le perde tutte e tre - Sicilia, Lombardia, Veneto - non avrebbe la maggioranza in Senato: solo 149 seggi contro i 158 che sono la soglia della vittoria. Ha la maggioranza, ma risicatissima, appena di sette voti, se vince in Sicilia e in Veneto ma non in Lombardia. Se vince in Lombardia ma non in Veneto e Sicilia, si salva soltanto per 4 voti (incubo prodiano bis). Se invece vince in tutte e tre le regioni, il centrosinistra sta tranquillo: 178 seggi. Se vince in Lombardia e in una tra Veneto e Sicilia, si ferma a 170 seggi, non male ma non molto bene. Quindi? Frontalieri e no, d’ogni ordine e grado e colore di lista, dovranno fare una fatica supplementare nella campagna elettorale per Palazzo Madama.
FATICA CONTINUA
Dopo il voto, se non ci sarà una maggioranza certa, il Senato sarà il luogo del grande patto di governo tra progressisti e moderati, che non riguarda soltanto il premier ma vi rientreranno presumibilmente il Quirinale, le presidenze delle Camere e magari il sindaco di Roma. Se si troverà un accordo politico, Bersani in cambio di Palazzo Chigi potrà cedere il Campidoglio ai montiani, con il ministro Riccardi in veste di sindaco? Intanto, c’è da gustarsi il ruba-bandiera per Palazzo Madama.
Mario Ajello