[G. Lon.], La Stampa 7/1/2013, 7 gennaio 2013
SCHETTINO: “TRATTATO COME BIN LADEN MA IN PLANCIA NON ERO SOLO”
Dice che è stanco di essere definito un guascone. Dice che non ne può più delle barzellette sulla sua telefonata con Gregorio De Falco che gli ordinava di risalire a bordo. Dice che non è l’unico ad aver sbagliato. Dice che nonostante tutto ha fiducia nella giustizia. Ma, soprattutto, dice che da un anno non fa che pensare a loro, «a quelle 32 vittime e alle loro famiglie. Per me l’ultimo anno è stato costellato da amari ricordi, per loro è stato un anno di lutto».
Comandante Schettino, ha mai provato a guardarsi dall’esterno, a vedersi con gli occhi di quelle famiglie?
«Il sentimento che ha caratterizzato l’ultimo anno è il tormento per quello che è accaduto la notte del 13 gennaio scorso. Ed è un dolore sincero, dal profondo del cuore. Sono stato dipinto peggio di Bin Laden, mentre il mio rammarico per quello che è successo è enorme. Altrettanto onestamente rinnego l’immagine che mi hanno cucito addosso, ridicolizzando non solo 30 anni del mio lavoro, della mia esperienza in tutto il mondo, ma anche l’immagine del nostro Paese esposto alle critiche, spesso ingiuste, dell’intero pianeta».
Però non era mai capitato prima che una nave naufragasse sugli scogli così vicino alla terraferma.
«Guardi che anche la storia della navigazione turistica, del cosiddetto inchino all’isola, è tutto un fraintendimento. Avvicinarsi a 0,3 miglia era una pratica consolidata».
Il codice di navigazione e la compagnia Costa crociere ammettono una distanza di 5 miglia.
«Tutte storie, tutti sapevano che per omaggiare l’isola si doveva passare più vicino. L’avevamo sempre fatto. Non voglio puntare il dito contro gli altri, ma quella sera non mi vennero fornite le informazioni esatte. Io posso pure avere sbagliato, ma non ero solo».
Al di là della gravità dell’incidente, l’aspetto sconvolgente è il suo abbandono della nave, non crede?
«Non è esatto, non è andata così».
Insiste nel sostenere che è scivolato sulla scialuppa?
«Quella volta mi sono espresso male, evidentemente avrei dovuto spiegare che si trattava dell’effetto della forza di gravità».
Che è come dire d’essere scivolato.
«Ma lei ha presente come si era inclinata la nave quella sera? Il calpestabile era diventato un muro e nella parte dove mi trovavo io era impossibile restare a bordo. Sarei finito sommerso: in quel modo sarei stato forse più utile? Non credo proprio. Io ho fatto tutto il possibile per incagliare la nave in modo che fosse vicina agli scogli».
Secondo la pubblica accusa e la guardia costiera non fu per effetto della sua manovra, ma per il contraccolpo causato dall’urto contro lo scoglio.
«Non è così, e sono certo che in tribunale sarà provato. Emerge anche dalla scatola nera».
Perché non è risalito a bordo? Glielo ha chiesto anche il comandante De Falco?
«Non voglio commentare quella telefonata, ma lui è un comandante di terra, io di nave. Sapevo quello che stavo facendo».
Non era assalito dal panico?
«No. Ero calmo perché mantenevo i nervi saldi, perché è così che dev’essere un comandante».
Ma mentre lei era sullo scoglio, sulla nave c’erano ancora molte persone.
«Spettava agli elicotteri portarli via. E invece tutti addosso a me. Non mi sono mai ubriacato, né mai mi sono drogato in vita mia. Eppure solo a me venne fatto l’esame per accertarlo. Perché agli altri no?».
Il comandante era lei.
«Sì, ma gli ufficiali di bordo hanno un ruolo. E comunque le regole vanno riviste. Dai compiti del comandante, alla conta dei passeggeri e alle modalità di evacuazione. Dopo il naufragio del Titanic molte cose sono state rivalutate. Lo stesso si dovrebbe fare ora. Mi sono sempre battuto per il rispetto delle regole: ero il presidente dei capitani della Costa crociere, eletto da tutti gli altri. E ora, invece, mi sparano tutti addosso. Comunque non voglio piangermi addosso: il mio pensiero va a tutte le persone che hanno sofferto e che ancora soffrono per quanto successo».