Franco Marcoaldi, la Repubblica 7/1/2013, 7 gennaio 2013
TERESA CREMISI
[NOI EDITORI, INTELLETTUALI DECADUTI SAREMO SALVATI DAI LETTORI RAGAZZINI]
Per secoli la nostra capacità di giudizio si è formata sui libri, base indiscussa della conoscenza. Ma chi giudica, a sua volta, i libri? Chi decide se, come e perché pubblicarli? Per affrontare questo tema, difficile pensare a una persona più adatta di Teresa Cremisi, nata nel 1945 ad Alessandria d’Egitto da padre italiano e madre anglo-spagnola, che con i libri, e di libri, è vissuta una vita intera. Fin da quando, appena laureata, entrò in Garzanti, dove dopo una lunga trafila (lessicografa per i dizionari, responsabile del dipartimento scolastico, direttrice letteraria), avrebbe finito per assumere, nel 1985, il ruolo di condirettrice generale.
Il vero grande salto, però, arriva nel 1989, quando Antoine Gallimard la vuole con sé come direttrice editoriale dell’omonima casa francese. Nel 2005, un ulteriore passaggio: stavolta alla testa di Flammarion. Ed è qui che la incontro, a Place de l’Odéon numero 1: un indirizzo prestigioso, anche se i pochi ambienti che ho modo di vedere suggeriscono la sede di un elegante editore di nicchia, non la tolda di comando di un colosso, il quarto, della fiorente industria libraria francese.
«Lei mi chiede della parte più alta e nobile del mio mestiere. Perché giudicare un testo vuol dire valutarne la bellezza. Ma vuol dire, prima ancora, mettere in azione quella sensibilità editoriale in base alla quale si capisce che è arrivato il momento giusto per pubblicare quel certo libro. Ciò che formula l’editore, infatti, non è un giudizio assoluto, ma condizionato dal tempo in cui vive. Intendo dire che è molto più effimero dell’abituale giudizio sul bello, legato a un tempo infinitamente più lungo, che può a volte durare l’intero arco di una civiltà. Per noi editori si tratta sempre di una valutazione contingente, a partire dalla quale ci assumiamo il rischio, quali che siano le circostanze commerciali, di pubblicare un testo in cui si crede. Tutto questo riguarda il cinque per cento della nostra attività, perché l’altro novantacinque si fonda sulla pura convenienza: l’editore, sarà bene non dimenticarlo, è anche e soprattutto un commerciante ».
Come avviene la scelta del libro giusto al tempo giusto?
«Si deve anticipare di poco una sensibilità che è già nell’aria, ma non ancora riconosciuta e fatta propria da tutti. Bisogna stare attenti, però, a non anticipare troppo, altrimenti si rischia che quel testo non venga capito. Si ritorna così a quanto detto prima: noi editori siamo metà intellettuali e metà commercianti. Occupandoci di cose dello spirito, forse non ci comportiamo allo stesso modo del fiorista qui all’angolo che ieri mi spiegava come prima le orchidee non andassero affatto, mentre ora vanno alla grande e tra qualche mese, magari, cominceranno di nuovo a non vendere. Nel nostro mestiere c’è quel piccolo quid in più: di fronte a un futuro, possibile libro, l’editore dovrà fare silenzio in se stesso, e se sente che è il momento giusto, osare il necessario».
E i classici, allora? Quelli, in teoria, dovrebbero andare bene sempre.
«È vero fino a un certo punto. Anche loro subiscono la moda. Prenda Shakespeare: ora è all’apice della sua fortuna, ma nell’Ottocento non accadeva altrettanto. Anche i grandissimi autori conoscono i loro cicli; pur trattandosi di cicli molto più lunghi di quelli abituali».
Quanto conta la struttura di una casa editrice nella scelta e nel giudizio di un libro?
«Quando un’azienda editoriale appartiene a un grande gruppo quotato in borsa, obbedisce a regole, tempi e condizionamenti molto diversi rispetto a quelli di
una azienda familiare. Ma tutta l’editoria, più in generale, è enormemente cambiata da quando è entrato in campo l’uso massiccio di strumenti di controllo un tempo inesistenti. Negli anni Settanta, a fine stagione non sapevamo neppure se avevamo guadagnato o perso soldi. Adesso si sa praticamente tutto: il sell out, la redditività. E l’uso di questi strumenti, ovviamente, cambia la vita dell’editore. Senza contare che allora c’erano vendite più lunghe e più lente. Anche questo è cambiato, con l’avvento di quella che, con orribile termine, si chiama bestsellerizzazione».
Girando nelle librerie parigine, ho avuto l’impressione che la saggistica abbia un peso ben maggiore di quanto accade in Italia.
«Se si riferisce all’esposizione sui banchi ha ragione. In Francia si pubblica molta saggistica e per lo più di ottima qualità. In termini di copie vendute invece le cosiddette scienze umane sono in netto regresso rispetto a vent’anni fa».
Mentre in Italia il tracollo delle vendite è generalizzato.
«Lo so, e non riesco ancora a spiegarmelo del tutto. Ovviamente non è a causa del digitale, che ha inciso molto poco. Come poco incide in Francia: lo 0,7, 0,8 per cento. Ci sono problemi nelle librerie, è vero; alcuni attribuiscono questo tracollo
al passaggio da sconti selvaggi a sconti molto più controllati. Io non saprei azzardare nessuna ipotesi. Anche perché qui in Francia c’è una situazione completamente diversa: una contrazione del 2,5-3 per cento, la stessa di tutti gli altri consumi ».
Sempre in libreria ho osservato i primi libri Flammarion che mi sono caduti sotto gli occhi. E nell’ordine ho visto: un saggio di Canfora su Giulio Cesare, l’ultimo libro di papa Ratzinger, il manuale del perfetto arrivista e una monografia di Bonnefoy su Giacometti. Cosa lega tra loro questi libri?
«Nulla, e nulla deve legarli. Questa casa editrice è nata nel 1876, proprio qui, sotto le arcate del teatro dell’Odéon, dove il giovane Flammarion cominciò a stampare i testi teatrali. Ogni azienda ha il proprio Dna e quello di Flammarion è fatto di varietà e facilità di accesso a un vasto pubblico. A differenza di Gallimard, che nasce cinquant’anni dopo, e si lega a una élite alto borghese, alla grande letteratura e alla rivista
Nrf,
Flammarion è una casa editrice generalista: da noi si pubblica letteratura popolare e di alto livello, abbiamo un enorme catalogo di storia e filosofia, e da quarant’anni in qua ci occupiamo di tutto ciò che sta tra l’arte e i libri di
pratiques,
come li chiamano i francesi ».
Non a caso il motto del primo Flammarion era: offrire libri di qualità a un prezzo accessibile e rivolti al maggior numero di persone.
«A dire il vero facciamo anche i libri di Cartier a quattrocento euro, ma non per questo dismettiamo collane al prezzo di copertina di soli due euro».
Anche in un colosso generalista come questo, resta un criterio comune di giudizio?
«Io non posso certo giudicare tutta la nostra produzione: si tratta di mille e settecento titoli all’anno! Questa è un’azienda fatta di tanti orti. Ma le posso assicurare che ciascuno ara, semina e coltiva al meglio il suo».
Spesso mi domando: siamo così sicuri che leggere qualsiasi cosa, fa comunque bene? Detto altrimenti: tra una cattiva lettura e una buona passeggiata, lei cosa sceglierebbe?
«Personalmente, sceglierei una buona passeggiata. Però rimango convinta del fatto che, qualsiasi cosa si legga, è sempre meglio che non leggere. Nella mia vita lavorativa ho definitivamente abbandonato ogni genere di snobismo. Compreso quello della casa editrice perfetta, che pubblica soltanto libri perfetti».
Visto che stiamo parlando di giudizio sui libri, conta ancora quello dei critici francesi?
«Una critica unanimemente positiva su uno scrittore sconosciuto conta moltissimo. L’esordiente che si affaccia sulla scena letteraria e raccoglie critiche elogiative da cinque o sei critici di gusti differenti può trarne un immenso beneficio in termini di mercato. Diverso il caso degli scrittori affermati, per non parlare dei best- seller. Qui il ruolo della critica è assolutamente
inesistente».
Televisione e radio che ruolo hanno?
«Decisamente positivo, in particolare la radio. Perché è molto ascoltata ed è ricca di trasmissioni dedicate ai libri e quindi ai dibattiti. Del resto si sa, i francesi parlano dalla mattina alla sera. Resta comunque che il mercato librario rappresenta il doppio di quello italiano, per una
popolazione grosso modo identica. E questo vorrà pure dir qualcosa».
Anche lei è preoccupata per un possibile, progressivo distacco delle nuove generazioni dalla lettura?
«Nient’affatto. Da cinquant’anni in qua, le giovani generazioni non hanno mai letto così tante pagine, come oggi. In un mercato europeo e nordamericano in contrazione, l’editoria per ragazzi cresce di qualche punto. E non è solo il successo di
Harry Potter
a portare questa crescita: ogni due o tre anni si impongono nuovi best-seller destinati ai ragazzi».