Liana Milella, la Repubblica 7/1/2013, 7 gennaio 2013
ARRIVA LA CARICA DEI 95 INDAGATI ECCO I PARLAMENTARI USCENTI CHE RECLAMANO ANCORA UN SEGGIO
Alla prova del voto la legge sulle liste pulite si rivela per quello che molti commentatori avevano paventato che potesse essere, un clamoroso flop. Nonostante ben tre ministeri di peso — Interno con Cancellieri, Giustizia con Severino, Funzione pubblica con Patroni Griffi — si siano impegnati per mesi, il risultato ora è sotto gli occhi di tutti. In vista della chiusura sui candidati, quella legge si rivela non sufficiente per garantire effettivamente “liste pulite”. Il divieto di candidarsi per i soli condannati in via definitiva con una pena minima di due anni per reati gravi non ferma la grande massa dei nomi più discussi, tutti coloro che hanno processi in corso per reati gravi, dall’associazione mafiosa o camorristica alla corruzione, al finanziamento illecito alla frode.
Una carica di 95 parlamentari uscenti, tutti con condanne ancora non passate in giudicato o ancora indagati, irromperà nella gara per palazzo Madama e per Montecitorio. La parte del leone la farà ancora il Pdl che, con
Silvio Berlusconi
alla testa, guida la classifica dei politici italiani nei guai con la giustizia. Dopo il Cavaliere, che rischia nel 2013 una condanna definitiva a 4 anni per il caso Mediaset e una nuova sentenza negativa per la vicenda Ruby, ecco i personaggi più noti del suo entourage. In testa
Denis Verdini
che addirittura sta materialmente selezionando i candidati, nonostante abbia tre inchieste con cui fare i conti. Il Pdl potrebbe
rilanciare ex onorevoli ed ex senatori che hanno riempito le cronache giudiziarie, da
Aldo Branchera Salvatore Sciascia,
da
Alfonso Papa ad Altero Matteoli.
Ma il vero caso delle prossime elezioni, visto dal coté dei palazzi di giustizia, rischia di essere quello del gruppo Grande Sud del ex deputato Pdl
Gianfranco Micciché.
La sua futura lista, collaterale a quella di Berlusconi, potrebbe raccogliere alcuni degli inquisiti e già condannati più chiacchierati e quindi più scomodi per l’ex premier. Il nome più noto in prima battuta è quello di
Marcello Del-l’Utri,
l’ex manager di Publitalia, senatore uscente, che rischia una pesante condanna per concorso in associazione mafiosa. Grazie all’esclusione dalla legge sull’incandidabilità di chi ha patteggiato una pena, per lui non conta il verdetto definitivo a 2 anni e 3 mesi
per false fatture e frode fiscale che risale al ’99. Ma sono i processi di Palermo i più imbarazzanti, soprattutto quello sul concorso in 416bis che lo ha visto subire una pena di 9 anni in primo grado poi ridotta a 7, fermata dalla Cassazione per un annullamento e il rinvio a un nuovo appello. Accanto a Dell’Utri potrebbe correre
Nicola Cosentino,
salvato dall’arresto grazie al no della Camera nonostante un’accusa di concorso esterno in associazione camorristica. Altri due inquisiti noti come
Clemente Mastella
e l’ex Idv
Americo Porfidia
potrebbe trovare un posto con Miccichè.
Esiste ovviamente un caso Lega, soprattutto dopo la nuova inchiesta esplosa per la gestione dei fondi al Senato, che vede coinvolti l’ex ministro
Calderoli e
il capogruppo
Bricolo.
Dibattito anche nell’Udc per il segretario
Cesa per
via di una condanna per corruzione annullata per incompatibilità del gip.
Ma è nel Pd che, giusto domani nella direzione del partito, si porrà il problema di che fare non solo di chi, parlamentare uscente, conta una condanna, ma di chi ha vinto le primarie di fine dicembre e ha un nome che figura in qualche inchiesta. A porre il problema è stato l’ex pm di Venezia Felice Casson, adesso il Pd è chiamato a confrontare la posizione dei singoli aspiranti con il suo codice etico. A far discutere le vicende giudiziarie degli ex parlamentari
Giovanni Lolli,
aquilano, imputato per favoreggiamento,
Nicodemo Oliverio,
di Crotone, imputato per bancarotta fraudolenta,
Vladimiro Crisafulli,
ennese, rinviato a giudizio per abuso d’ufficio. Tutti e tre hanno vinto le primarie. Ad essi si aggiungono altri vincitori i cui nomi sono però finiti nelle cronache giudiziarie. Si tratta di
Bruna Brembilla,
milanese, citata in un’indagine sulla ‘ndrangheta;
Andrea Rigoni,
di Massa, condannato a 8 mesi per abuso edilizio, ma prescritto;
Ludovico Vico,
di Taranto, intercettato nell’inchiesta sull’Ilva mentre progetta di attaccare l’ex presidente di Legambiente Della Seta una volta arrivato in Parlamento;
Antonio Papania,
di Alcamo, che ha patteggiato una pena di due mesi per abuso di ufficio nel 2002. Nel Pd l’aria che si respira è questa: coinvolgimenti non significativi, condanne lievi. Rischia soprattutto Vico, l’unico che non ha vinto direttamente le primarie.