Sabino Cassese, la Repubblica 7/1/2013, 7 gennaio 2013
LO SPETTRO DELLA VALUTAZIONE
UNO spettro si aggira per l’Italia: lo spettro della valutazione. S’era cominciato bene. Dopo una sperimentazione parziale, nel 2006 era stata costituita l’Anvur.
L’Anvur cioè l’Agenzia di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Suo scopo era di giudicare i risultati dell’attività svolta dalle università, per distribuire una parte dei finanziamenti ministeriali. Dunque, la valutazione centralizzata si riferiva a strutture, non a persone, riviste o altro, e doveva limitare la discrezionalità del ministero nella distribuzione dei fondi pubblici, per evitare che questi fossero assegnati con metodi sbagliati o clientelari.
Successivamente, con una serie di atti che vanno dal 2009 ad oggi, in parte imputabili al ministero dell’Università, in parte adottati dall’Anvur, ambedue presi da un delirio centralizzatore, la nuova agenzia si è messa a determinare tutt’altre cose, tra cui la scientificità della ricerca e i criteri, parametri e indicatori per la valutazione degli
aspiranti commissari e dei candidati, ai fini delle procedure di abilitazione dei futuri insegnanti universitari. L’arma rivolta contro le cattive scelte politiche è stata rovesciata e rivolta dal ministero e dall’Anvur contro il mondo accademico.
Ma anche questi passi potevano condurre a risultati utili, se non se ne fosse fatto un altro, che porterà l’intera macchina della valutazione nel precipizio: è stato attribuito valore legale alla valutazione centralizzata, opera dell’Anvur e degli organismi collegati. L’assegnazione di un valore legale alla valutazione centralizzata consacra giuridicamente classificazioni in ordini gerarchici o categorie di riviste e di persone, fissando rigidamente livelli e giudizi che sono opinabili. Ad esempio, perché è importante una rivista, piuttosto che l’articolo che vi è pubblicato? Perché giudicare una rivista e non le sue singole annate? Vanno classificate anche le riviste straniere, e come? Il lungo silenzio scientifico di uno studioso non potrebbe essere dovuto a una “pausa creativa”?
In secondo luogo, in questo modo, ministero, Anvur e organi collegati, invece di svolgere l’utile funzione di fornire dati e indicatori agli studiosi, ai dipartimenti universitari e alle università stesse, accentra in larga misura la funzione di misurazione, valutazione e selezione, senza peraltro dare garanzie circa la bontà degli esiti della propria attività.
In terzo luogo, così, la valutazione centralizzata subisce una torsione: nata per limitare le scelte del ministero e orientarle alla distribuzione di mezzi finanziari alle università migliori, serve ora, all’opposto, a limitare o guidare la valutazione che le università e le singole comunità scientifiche debbono esprimere per reclutare i futuri insegnanti.
In quarto luogo, la strada della legalizzazione della valutazione centralizzata conduce inesorabilmente al giudice amministrativo. Così, giudice ultimo della valutazione di fisici, medici, psicologi, storici, non sarà l’Anvur, ma il tribunale ammi-nistrativo, al quale si rivolgeranno i molti scontenti. Con la paradossale conclusione che, mentre si predica di abolire il valore legale dei titoli di studio, si conferisce, invece, valore legale alla valutazione.
È naturale che, assunto l’Anvur il ruolo di Minosse all’entrata dell’Inferno, vengano avanzati ora dubbi sulla sua legittimazione, sui criteri di scelta dei suoi componenti, sulla selezione dei membri dei comitati di settore, sulla trasparenza delle sue procedure, sulla bontà dei dati con i quali giudica e manda, sulla completezza delle sue istruttorie, sulla motivazione delle sue decisioni.
Anvur e ministero hanno fatto un grosso errore trasformando la valutazione, che è necessaria come parte del lavoro scientifico, in un esercizio burocratico centralizzato. L’Anvur avrebbe dovuto raccogliere dati e indicatori, ponendoli a disposizione delle comunità scientifiche e dei singoli studiosi, oltre che delle commissioni di selezione del personale universitario. Avrebbe dovuto aiutare, in tal modo, il mondo universitario a fare scelte più attente. Non avrebbe dovuto stabilire scale di merito, dando ad esse valore vincolante e in parte sostituendosi al giudizio detto dei pari, cioè degli studiosi.
Ministero e Anvur potrebbero essere ancora in tempo per rimediare, togliendo ogni valore legale alle valutazioni centralizzate rivolte all’università e alle comunità scientifiche, senza farsi prendere dal desiderio di dare i voti a tutto e a tutti. L’Anvur raccolga i dati e i prodotti delle comunità scientifiche, elabori indicatori, standardizzi, aiuti e agevoli la valutazione da parte di università, commissioni, dipartimenti. Solo così la valutazione, che è utile, ed anzi, necessaria, sarà salva.