Tobia De Stefano e Sandro Iacometti, Libero 4/1/2013, 4 gennaio 2013
LO SPREAD CALA, IL MUTUO SALE
[Il differenziale Btp/Bund è ai minimi dal 2011: ma perché se diminuisce il costo del denaro non vanno giù le spese per i prestiti? In Europa sono scese, noi invece paghiamo 100 euro in più al mese] –
Brindiamo, lo spread è a 275: ha raggiunto e superato la quota Monti (287 punti), è ai minimi dall’agosto del 2011. Adesso sì che l’economia reale inizierà a volare: lo Stato pagherà meno interessi, le banche alleggeriranno i loro passivi (hanno in pancia miliardi di titoli del debito pubblico italiano) e così finalmente apriranno i rubinetti a famiglie e imprese. Alleluia: la recessione è solo un ricordo. Questa teoria che mette in fila alcuni fondamentali economici rischia di restare solo sulla carta, nella pratica infatti la storia di questi ultimi mesi dimostra esattamente il contrario. Al calare del differenziale tra i Btp italiani e quelli tedeschi, la discesa è iniziata da quota 537 del 24 luglio 2012, non è corrisposta una diminuzione del costo del denaro. Anzi.
IL CONFRONTO
C’è un grafico (nella tabella in alto a pagina 3) che inchioda le banche italiane. C’è un grafico che mette nero su bianco il caro-mutui che nell’ultimo anno i potenziali acquirenti di casa nostra hanno dovuto subire rispetto alle famiglie degli altri Paesi europei. Quest’elaborazione (di Finanza.com su dati di Bankitalia e Bce) dimostra come dal novembre del 2011 all’ottobre del 2012 il differenziale dei tassi rilevati (il costo totale del prestito immobiliare) tra il Belpaese e la media Ue sia passato dallo 0,65% (4,59 - 3,94%) all’1,39% (4,88- 3,49%). Cosa vuol dire? Che mentre in Germania, Francia, Spagna e Portogallo (tanto per fare degli esempi) i cittadini che hanno chiesto soldi agli istituti di credito per comprare un’abitazione pagavano sempre di meno, gli italiani pagavano sempre di più. E senza ragioni concrete, se non quelle del mero guadagno delle banche. E certo. Perché le condizioni continentali per ridurre le spese a carico dei clienti c’erano tutte. Primo: nel luglio del 2012 la Banca Centrale Europea ha abbassato di un quarto di punto percentuale, dall’1 allo 0,75% i tassi di riferimento. A cascata anche gli euribor (il tasso al quale le banche si prestano il denaro nel breve, utilizzato come parametro di indicizzazione dei mutui variabili) sono scesi. Ma se in casa d’altri queste novità hanno portato a una riduzione dei saggi medi dello 0,13%, da noi sono passate quasi indifferenti. Secondo: le nostre banche hanno ricevuto in due tranche circa 255 miliardi di euro all’1% dalla Banca Centrale Europea. Un gentile cadeau di Draghi che doveva servire a far ripartire l’economia, a concedere prestiti «a buon mercato» a imprese e famiglie, e che invece le varie Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi, Ubi, Banco Popolare e Mediobanca hanno utilizzato in buona parte per acquistare Btp e obbligazioni proprie. Insomma prima hanno rimpolpato gli attivi e solo dopo, in casi rarissimi, hanno pensato all’economia reale. Morale della favola: all’italiano medio questo giochetto è costato più di mille euro all’anno (tra i 90 e i 105 euro al mese).
IL CALCOLO
I conti li ha fatti lo stesso sito Finanza.com prendendo come riferimento un mutuatario di casa nostra che avesse concordato un prestito immobiliare da 130 mila euro con durata trentennale nell’aprile del 2012. Bene, a oggi si troverebbe a pagare 90 euro in più al mese rispetto ad un cittadino europeo medio che ha stipulato un contratto nello stesso periodo: il tasso del suo mutuo è, infatti, di 117 punti base maggiore (5,13 – 3,96%). Dice, vabbè poi le cose sono cambiate, lo spread Bund-Btp è calato è anche i mutuatari del Belpaese hanno tirato finalmente un respiro di sollievo. E invece no. Perché chi avesse appena stipulato un prestito immobiliare con il tasso rilevato di ottobre del 4,88% si troverebbe a subire un differenziale ancora più alto: 139 punti base, che si traducono in 105 euro in più sulla rata (688 al mese contro 583).
Anche perché, ed è questo il dato ancor più inspiegabile, se prendiamo la Spagna, un Paese che secondo la maggior parte dei fondamentali economici se la passa peggio di noi, non si fa fatica a trovare spread che per noi a oggi sono impensabili. L’esperimento di Finanza.com ci porta diritti diritti sul sito web spagnolo di IngDirect, dove per un preventivo su un mutuo di 200 mila euro a 20 anni è possibile trovare uno spread del 2,29% che fa il 2,88% se si aggiunge l’Euribor a un anno.
SERVE TEMPO
«La correlazione tra lo spread dei Btp e quello dei mutui – spiega Roberto Anedda, direttore marketing di MutuiOnline – non è così diretta come potrebbe sembrare. Ci vuole del tempo prima che il calo del differenziale tra i nostri titoli del debito pubblico e quelli tedeschi si riverberi sui prestiti delle banche a famiglie e imprese. La vera relazione è quella che fa riferimento ai bilanci delle banche che hanno in pancia i Btp. Se questi sono più sicuri, anche gli istituti avranno maggiori possibilità di ricevere soldi dal mercato a bassi tassi di interesse e quindi di conseguenza a pretendere costi minori dalla clientela». Eppure le famiglie spagnole pagano i mutui meno di quelle italiane… «In realtà - continua Anedda - in Spagna c’è un mercato virtuale… esiste un’offerta che in molti casi è migliore rispetto a quella italiana, ma poi vengono chiesti livelli di garanzia e di reddito tali per cui i prestiti immobiliari si sono quasi azzerati… Per intenderci, per una famiglia media iberica è quasi impossibile ottenere fondi per l’acquisto dell’abitazione a meno che non si richieda solo per il 30% del valore dell’immobile».
IL FUTURO
A oggi, in Italia, il bouquet dei migliori mutui disponibili è quello riportato nella tabella di pagina due. Si passa dal Taeg (costo complessivo) del 3,17% di Deutsche Bank per un prestito trentennale variabile da 100 mila euro e si arriva fino al 5,50% messo sul mercato da IW bank per un contratto con le stesse caratteristiche, ma a tasso fisso. In mezzo ci sono Webank, Barclays, Ing Direct e il gruppo Bipiemme, ma comunque la si giri resta un dato inconfutabile: Euribor e Irs più in basso di così difficilmente potranno andare e quindi è sugli spread che bisogna agire. La chiave sono i guadagni che le banche vogliono assicurarsi alla stipula di un prestito. Se non scendono quelli, difficilmente i nuovi mutuatari di casa nostra potranno respirare. L’auspicio è che nel 2013 possano avvicinarsi il più possibile alle medie dell’Unione Europea.
«Molto dipende dall’evoluzione dello scenario politico italiano e di quello economico più in generale», evidenzia il direttore marketing di MutuiOnline. «Se si va verso la stabilità, insomma, se dalle elezioni del 24 febbraio uscirà fuori un governo stabile che continuerà a perseguire la linea dei conti pubblici in ordine, allora il processo di allineamento tra i due spread potrebbe velocizzarsi, altri altrimenti tutto sarà più difficile. Certo, se la Bce dovesse portare i tassi sotto l’attuale 0,75% darebbe una grossa mano. Insomma, ci sono molte variabili in ballo e quindi è difficile fare previsioni. Ma comunque vada credo che nei prossimi tre mesi il costo dei mutui in Italia resterà sui livelli attuali, mentre a partire dalla primavera fino alla seconda metà dell’anno ci potrebbero essere i primi segnali positivi. Oggi lo spread medio sui variabili oscilla tra il 3,10 e il 3,30%, mentre sui fissi siamo nella forchetta 3,30 e 3,50%. Sarebbe un buon risultato se alla fine del 2013 ci ritrovassimo a commentare una riduzione di mezzo punto percentuale… di più sarebbe davvero difficile pretendere».
E COMPLICE MARIO LA BANCA INGRASSA –
Rovinando un po’ la festa a Mario Monti, che in questi giorni ha celebrato la discesa dello spread (ieri ha chiuso a 275) sotto la soglia dei 287 punti, che lui aveva indicato come obiettivo di governo rispetto ai 574 di inizio mandato, la Bce ieri ha diffuso i dati periodici sugli acquisti di titoli di Stato da parte delle banche italiane. Ebbene, anche a novembre gli istituti di credito hanno fatto il pieno, rastrellando altri 2,1 miliardi di titoli e facendo salire il valore complessivo alla quota record di 370,1 miliardi.
L’ennesima conferma, semmai ce n’era bisogno, che le politiche di governo e la ritrovata credibilità e autorevolezza che il premier avrebbe conferito al nostro Paese nei confronti dell’Europa e dei mercati c’entrano fino a un certo punto con il differenziale tra Btp e bund.
La realtà è che a fare la differenza, per l’Italia come per altri Stati periferici del Vecchio continente, sono state più che altro le mosse di Mario Draghi, a partire dalle aste di liquidità con cui l’ex governatore a dicembre 2011 e febbraio 2012 ha inondate le banche europee di mille miliardi di euro (255 solo in Italia) al tasso dell’1% fino all’annuncio dello scorso settembre, quando il numero uno dell’Eurotower ha impugnato il bazooka promettendo acquisti di bond illimitati in difesa dei Paesi più deboli.
Dettagli che non sono sfuggiti al nient’affatto sprovveduto professor Monti, il quale non a caso si è ben guardato, tra i tanti temi toccati dall’azione di governo nel nome dell’equità e delle riforme, di affrontare la questione dell’accesso al credito e dei problemi di liquidità di famiglie e imprese. Curiosamente, del problema non si fa menzione, neanche di sfuggita, neppure nella tanto citata agenda Monti, così ricca di spunti e di suggerimenti per il lavoro del prossimo esecutivo.
Finché le banche continuano a fare indigestione di Bot e Btp, insomma, va tutto bene. E poco importa se mentre lo spread dei titoli di Stato scende, quello che gli istituti di credito applicano ai nuovi mutui sale in eguale e contraria misura, con tassi di interessi sui prestiti variabili applicati alla clientela che superano il 3% a fronte di un indice euribor trimestrale ormai precipitato sotto lo 0,2%. Per non parlare dell’irrigidimento dei vincoli e dei paletti imposti, sia alle famiglie sia alle imprese, soprattutto piccole, per accedere ai finanziamenti. Certo, si dirà, le sofferenze e i crediti inesigibili delle banche continuano a viaggiare da molti mesi sopra i livelli di guardia e il sistema del credito deve mettersi al riparo da cedimenti anche per garantire la stabilità del Paese. Resta il fatto, come spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, che «le banche hanno comprato a mani basse denaro a tassi stracciati dell’1% dalla Bce e invece di impiegarlo sul mercato per la crescita economica lo hanno investito nei Btp con interessi anche oltre il 5% assicurandosi un guadagno secco e a portata di mano di circa quattro punti percentuali».
Non solo. Coi soldi della Bce gli istituti hanno pure continuato a finanziare la Pa. Tra gennaio e settembre i prestiti alla pubblica amministrazione sono cresciuti di 17,3 miliardi di euro mentre quelli alle aziende e ai cittadini sono diminuiti rispettivamente di 29,1 e 7,2 miliardi.
Secondo Longobardi, in questo modo si fa solo affondare il Paese. E Monti, «che con il mondo bancario è stato assai generoso, avrebbe dovuto e potuto ottenere ampie garanzie per il rilancio dell’economia». Avrebbe almeno potuto, viene da dire, mettere in campo qualche misura di sostegno per chi è più in difficoltà. Persino, l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, pur con tutte le critiche che gli si possono rivolgere, di fronte alla violenta crisi del 2008 varò senza pensarci due volte un decreto per fissare il tetto dei mutui al 4%. Un meccanismo limitato a chi aveva sottoscritto prestiti a tassi inferiori e non privo di insidie sull’allungamento delle rate, ma che servì a molte famiglie, per usare un’espressione cara a Monti, ad uscire dal tunnel.
Anche il governo tecnico, a dire il vero, è intervenuto in un’occasione sul fronte dei mutui. All’interno della riforma Fornero del lavoro, varata a giugno ed entrata in vigore il 18 luglio, è infatti contenuta una norma che ha ridisegnato l’accesso al Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa che consente di sospendere per 18 mesi la rata del prestito per chi ha un reddito Isee sotto i 30 mila euro. I parametri, inutile dirlo, sono diventati più stretti, essendo possibile chiedere il sostegno solo in caso di licenziamento o handicap grave non inferiore all’80%. Ma non è tutto. Andando sul sito della Consap, che gestisce il fondo, si può leggere che è «in via di emanazione il nuovo Regolamento che modifica il preesistente decreto n.132/2010» e che «fino all’emanazione del nuovo Regolamento non sarà pertanto possibile ricevere nuove istanze di sospensione». Risultato: il fondo è bloccato dallo scorso luglio. Dello «spread» che pesa sulle famiglie, evidentemente, il professore non si cura.