Giulia Zonca, La Stampa 6/1/2013, 6 gennaio 2013
LALLI L’AFRICANO “IO COME LORO: COL SORRISO MA SENZA ACQUA CALDA”
[Cross, il campione europeo in gara al Campaccio] –
Andrea Lalli non si sente un predestinato perché a 14 anni stava per firmare un contratto da calciatore, ma sa di essere uno che ha trovato la strada giusta, di solito nei campi, tra fango, neve, terreni duri e rare giornate di tepore come quella prevista oggi al Campaccio, storica gara di cross dove manca una vittoria azzurra da 20 anni.
Lei è fresco del titolo di campione europeo, se la sente di promettere qualcosa?
«Veramente no. Lo so che dopo tanto tempo gli italiani meriterebbero un successo ma in questi 20 anni la concorrenza africana non ha fatto che aumentare. Io e Daniele Meucci ci proveremo, però la vedo difficile. Quelli hanno una marcia in più».
Ma lei si allena con loro.
«Ormai vivo con loro. Ho iniziato ad andare in Kenya nel 2010 per uno stage, ora da settembre a febbraio sto più lì che in Italia e ho mollato l’hotel, ho una mia stanza, cioè un letto. C’è solo l’essenziale, spesso neanche quello perché manca l’acqua calda eppure credo che sia il posto più bello del mondo. La prima volta che sono tornato, dopo due giorni, avevo il mal d’Africa».
Cosa è che la esalta tanto?
«Si divertono, non hanno nulla e si divertono. Per me avere il sorriso sulle labbra tutto il giorno vale più delle comodità. Fino a oggi mi sono sempre pagato il viaggio di tasca mia, non mi piace aspettare gli aiuti. In Italia spesso si trovano scuse, ma fare da sé sarebbe un buon punto di partenza. Io per fortuna ho lo stipendio delle Fiamme Gialle e l’ho investito».
E in Africa non le manca nulla?
«Vengo da Campochiaro, un paesino di montagna vicino a Campobasso, si vive di agricoltura, io non ho grossi problemi economici ma ho amici che ne hanno e non c’è nulla. Natura, 600 abitanti e pochi divertimenti. Io vado a pesca, vado a cavallo. In Kenya è lo stesso».
Come mai si è dato al cross?
«Sarebbe perfetto rispondere che correvo in campagna per andare a scuola invece è stato un ripiego. Il giorno in cui stavo per firmare il cartellino da calciatore per la Acli Campobasso, mia madre me lo ha proibito. Ha detto: devi correre».
E lei non si è opposto?
«Sono scappato e sono tornato a notte fonda, offeso. Ma avevo 14 anni e non potevo decidere, lei mi ha spiegato che sentiva di dovermi costringere a cambiare idea. Fa la maestra di scuola, ha sempre le idee chiare e ha avuto ragione, oggi la ringrazio».
Come ha vissuto la nuova avventura nell’atletica «Con il muso. Mi allenavo da solo, sotto la pioggia. Gli amici a giocare a pallone io lì, ma la verità è che correre per i prati mi piaceva e appena ho iniziato a gareggiare e a vincere ho dimenticato la squadra. Ora sono felice di praticare uno sport solitario, dove dipende tutto da me».
I suoi idoli?
«Mi ero innamorato di Kenenisa Bekele, che stile, e poi Stefano Baldini, un esempio, da sempre punto di riferimento, ma non sono uno di quelli che vede vecchi filmati e sente il richiamo dell’epica. So che il Campaccio ha una storia importante ma io ricordo solo che lì ho vinto il titolo europeo juniores, a 19 anni. E porto ancora i segni del 4° posto del 2009 in mezzo alla neve, al gelo. Terribile».
Ma come, voi del cross non adorate le imprese, le vittorie ricoperti di fango?
«Io no. Meglio la strada asciutta, così gli africani vanno più veloci ma lo faccio pure io».
Ama l’Africa, la natura, la sveglia all’alba. Si scatena mai?
«Ero un discotecaro fino a poco tempo fa, ora mi sono dato una calmata perché sono fidanzato, ma adoro ballare la deep house senza fermarmi. E poi suono la batteria, funky, fusion... stavo per mettere su un gruppo, ma so già che avrei dovuto abbandonarli per le serate durante la stagione agonistica. E non mi piace deludere le persone».