Paul Krugman, ilSole24Ore 5/1/2013, 5 gennaio 2013
DAI ROBOT UNA NUOVA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Ci ho messo un po’ per elaborare l’ultimo e stimolante saggio di Bob Gordon (professore di economia alla Northwestern University) dove si ipotizza che i giorni gloriosi della crescita economica sarebbero ormai alle nostre spalle. Non è molto diverso dalle cose che diceva prima e in passato ho trovato molto convincenti le sue teorie. Oggi però mi sono convinto che il suo pessimismo tecnologico è sbagliato. Gordon sostiene che finora le rivoluzioni industriali sono state tre, ognuna fondata su un diverso insieme di tecnologie. «L’analisi del mio studio collega periodi di crescita lenta e rapida alla distribuzione temporale delle tre rivoluzioni industriali: la prima, dal 1750 al 1830; la seconda, dal 1870 al 1900; la terza (computer, web, telefoni cellulari), dal 1960 a oggi». Gordon afferma che la seconda rivoluzione industriale è stata di gran lunga la più eclatante, e anche qui mi sembra che la sua analisi sia corretta. Pensate all’America raffigurata nel nuovo film di Spielberg, Lincoln, una società profondamente condizionata dalla prima rivoluzione industriale, ma che ancora non aveva subito le trasformazioni della seconda. Era una società in cui le persone potevano spostarsi molto più lontano e molto più velocemente di qualsiasi epoca precedente, ma quando arrivavano a destinazione continuavano a vivere in una società dove il cavallo era la principale forza motrice. Negli anni 20 del Novecento, invece, l’America urbana aveva già i tratti tipici di una società moderna. Gordon ipotizza poi che la terza rivoluzione industriale abbia ormai quasi del tutto esaurito la sua spinta propulsiva. È un bene che ci sia qualcuno che mette in discussione l’euforia tecnologica, ma ultimamente ho ragionato molto su questi argomenti e sono abbastanza convinto che Gordon si sbaglia: la rivoluzione tecnologica informatica ha appena cominciato a far sentire i suoi effetti.
Immaginiamo per un momento uno scenario tecnologico in cui siamo in grado di produrre robot intelligenti in grado di fare tutto quello che può fare una persona. È evidente che una tecnologia del genere cancellerebbe qualsiasi limite alla crescita del prodotto interno lordo pro capite (a meno di non contare fra i "capita" anche i robot); basterebbe incrementare costantemente il rapporto robot/esseri umani e potremmo raggiungere qualunque livello di Pil desideriamo.
Non è quello che sta succedendo; anzi, per quanto ne so non si sono fatti molti progressi nella produzione di macchine capaci di pensare come noi. Ma abbiamo scoperto che ci sono altri modi per produrre macchine estremamente intelligenti, in particolare i big data (l’utilizzo di enormi banche dati di cose come conversazioni parlate), che apparentemente consentono alle macchine di eseguire compiti che ancora fino a pochi anni fa erano eseguibili solo da persone. Il riconoscimento vocale è ancora imperfetto, ma è molto migliore di un tempo e sta migliorando rapidamente, non perché siamo riusciti a emulare il ragionamento umano, ma perché abbiamo trovato, grazie all’utilizzo massiccio di dati, dei metodi per interpretare il parlato in un modo che ha molto poco di umano. E questo significa che in un certo senso stiamo facendo passi avanti verso qualcosa di simile al mio mondo di robot intelligenti: tantissime mansioni stanno diventando automatizzabili. E significa anche che Gordon probabilmente si sbaglia quando sostiene che il rendimento dei progressi tecnologici sta scemando.
Ma alla gente che succederà, chiederete voi? Ottima domanda. Le macchine intelligenti possono consentire un incremento del Pil, ma avranno anche l’effetto di ridurre la domanda di persone, comprese quelle intelligenti. Perciò potremmo ritrovarci ad assistere a una società che diventa sempre più ricca, ma in cui gli incrementi di benessere vanno a favore di chi possiede i robot.
E alla fine la Skynet, quella di Terminator, deciderà di farci fuori tutti, ma questa è un’altra storia. In ogni caso sono argomenti di discussione interessanti; e non sono nemmeno irrilevanti per quanto concerne la politica economica, considerando che gran parte del dibattito sullo Stato sociale verte su quello che dovrebbe succedere di qui a qualche decennio.