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 2013  gennaio 06 Domenica calendario

CERTEZZE DELL’ITALIANO

Nel tempo di internet le parole durano un soffio e l’uso di un dizionario può sembrare astruso per tenere a bada significati che non si posano mai e travalicano da una lingua all’altra nella mistura della rete. Ma il Dizionario delle collocazioni di Zanichelli è qui per ricordarci che la lingua richiede certezza, ancora di più quando è volatile come oggi. Può sembrare un vezzo scolastico ricordare che l’aiuto si presta e il dubbio si fuga, che lo sport si pratica, la convinzione si abbraccia, un sacramento si amministra e un record si frantuma. Invece tutta l’efficacia della lingua sta nel corretto abbinamento di sostantivi, verbi e aggettivi secondo le consuetudini che li legano. L’uso delle collocazioni non è disciplinato da regole ma dalla tradizione della lingua che ammette espressioni diverse, certe più comuni, altre più raffinate, comunque sempre riconoscibili come unità fraseologiche.
Spesso non vi è un legame logico che leghi due termini fra loro, né le collocazioni possono essere desunte da un ragionamento. Basta pensare a espressioni come tessere una lode o rabbia cieca. Qui si tocca la pancia della lingua, dove i legami fra due termini hanno origini lontane negli strati più profondi dell’etimologia, nei rivolgimenti della sintassi e nell’evoluzione dei significati. Noi italiani tendiamo a perdere di vista la ricchezza e la varietà della nostra lingua. In nome della semplicità tendiamo alla piattezza e ci accontentiamo di un bello o un buono quando potremmo usare aggettivi più espressivi. Usare sempre le stesse parole accresce l’imprecisione e la confusione.
Questo dizionario ci aiuta a praticare le espressioni dell’italiano come se fossero ideogrammi cinesi, centoni solo apparentemente triti e ripetitivi ma invece carichi di vivacità. Ma il Dizionario delle collocazioni serve anche per decifrare assieme alla lingua la nostra società. Si noterà per esempio che degli undici aggettivi cui si può associare la parola tassa solo uno è positivo: ragionevole. Segno che non solo la nostra tasca ma anche la nostra lingua sopporta male l’Imu. Sorprende e rassicura che alla voce politico su tredici aggettivi solo uno sia negativo: il mite disonesto. Strano poi che fra i nove aggettivi che qualificano un governo non ci sia ladro: forse una svista degli autori. Farà piacere alle mogli sapere che un marito in italiano può essere solo: adorabile, amorevole, integerrimo, irreprensibile, legittimo, premuroso. La lingua qui sembra un po’ in ritardo a recepire, fra i tanti, un aggettivo che manca fortemente anche sotto la voce arbitro. Si rassicuri ma resti vigilante la Chiesa: in italiano per adesso non esiste il matrimonio omosessuale. Però c’è la coppia gay e anche quella di fatto: la lingua batte dove il dente duole.
Il Dizionario delle collocazioni serve a noi italiani per ravvivare un uso compiuto della nostra lingua e agli stranieri che la studiano a impadronirsi di tutta la sua ricchezza. Conoscere una lingua sta nell’abilità di associare correttamente i termini fra loro e nel padroneggiare le complesse reti semantiche che regolano il fluire della comunicazione. Gli autori ricordano che le collocazioni sono un vero campo minato per il non madrelingua che non è in grado di percepire errori e imprecisioni e qui non può contare sul soccorso delle regole. Lo sapeva bene un mio compagno di università tedesco che, con rigoroso quanto illogico zelo, aveva storpiato tutta una serie di espressioni idiomatiche italiane. Stefan ce l’aveva con i nostri numeri: aspettava non uno ma due attimi, faceva non quattro ma tre chiacchiere. Suscitò inestinguibile euforia quando affermò di avere risolto il problema dell’esame in cinque e cinque dieci. La sua aritmetica non faceva una grinza, la sua sintassi faceva accapponare la pelle.
Ma il premio Oscar del più sventurato errore di collocazione lo vinse quando, durante una lezione di linguistica, incerto su una formula alla lavagna, alzò la mano per chiedere: «Scusi professore, ma che c...o vuol dire quel digamma?». In fondo però fu colpa nostra. Ce l’aveva sentita ripetere tante volte che credeva che la parola che manca fra cavillo e cedere fosse indispensabile nella forma interrogativa dell’italiano.