Cesare De Michelis, Domenicale, ilSole24Ore 6/1/2013, 6 gennaio 2013
IL MESTIERE DELL’EDITORE
Cari amici di :due punti edizioni, il libro-manifesto che vi accingete a mettere in circolazione col titolo Essere editori oggi prende lo spunto dalla crisi che in quest’ultimo anno ha investito anche l’editoria libraria e soprattutto le piccole case editrici, che sono ovviamente le più fragili, e dalla rivoluzione che contemporaneamente è stata provocata dall’affermarsi delle nuove tecnologie, a cominciare dall’e-book, le cui conseguenze non è facile né immaginare né misurare, e vuole aprire un confronto per ridefinire lo statuto stesso del lavoro editoriale e più in generale del lavoro culturale.
La premessa da cui partite è che nessuna tecnologia può sostituire l’editore (o l’editor) nel suo ruolo fondamentale di "selezionatore" dei testi da offrire al pubblico tra i molti che vengono prodotti e quindi di promotore della loro diffusione, ma al tempo stesso valutate severamente i modi nei quali l’editoria attuale svolge il suo compito, asservita com’è a logiche di mercato "consumiste" e dominata com’è da concentrazioni "monopoliste", che vanno contrastate duramente per non compromettere la libertà del l’intero sistema della conoscenza e della creatività, la quale per altro riconoscete che la vostra attività di piccoli editori non è stata e non è in grado di difendere da sola.
La rivoluzione tecnologica e il sistema partecipativo consentito dalla rete possono, dunque, trasformarsi in una straordinaria occasione per rivoluzionare il sistema in essere rendendolo "migliore", riducendo di fatto il potere della finanza, perché le risorse necessarie all’impresa editoriale sono di gran lunga minori, e il potere del pubblico, che attraverso le comunità virtuali è assai meno condizionato dal marketing e dalla pubblicità e, quindi, capace di orientarsi più liberamente, il che dovrebbe premiare le proposte (i libri) degli editori "impegnati e militanti" come voi.
A dire il vero l’esperienza già fatta dal cinema o dalla musica non sembra darvi ragione, visto che gli orientamenti degli spettatori e degli ascoltatori non sembrano essersi inequivocabilmente rivolti verso opere di maggior impegno o qualità, ma la ragione delle mie perplessità non dipende soltanto da uno scetticismo consolidatosi negli anni, quanto invece dal proposito che difendete di correggere le distorsioni del libero mercato trasformandolo in "equo e solidale" attraverso strumenti come la "garanzia partecipativa" o il no-profit. Voi stessi alla fine del manifesto affermate come essenziali due valori che è sempre stato difficile far convivere: da un lato c’è la "bibliodiversità" e cioè il pluralismo e dall’altro la "sostenibilità" e cioè la misura, frutto di una selezione responsabile, che non affidi alla discrezionalità dei lettori tutta la responsabilità della scelta di fronte a un’offerta che rischia di essere smisurata.
La necessità di investire risorse economiche per pubblicare un libro ha fino ad oggi consentito di misurare la "sostenibilità" in modo non ideologico: un libro si poteva stampare e mettere in commercio solo immaginando un pubblico di lettori (e acquirenti) che consentisse di recuperare le spese sostenute, e il fatto che l’autore non venisse considerato un lavoratore da retribuire, ma un socio con il quale dividere gli incassi, era il modo per riconoscerne l’indipendenza e l’autonomia. Quando tutto il sapere e tutta l’invenzione degli autori sarà gratuitamente disponibile in rete diventerà ancora più difficile orientarsi nella foresta delle proposte editoriali e insignificante o superfluo misurare il consenso che ciascuna di esse sarà capace di raccogliere, e probabilmente diventeranno decisive le risorse da destinare alla propaganda e alla promozione, che non venendo dal pubblico verranno da chi ha "interesse" a sostenere idee o persone a prescindere dal giudizio dei destinatari. A questo punto l’editore non conterà più per le sue scelte, ma per la capacità di raccogliere fondi al servizio di forze che lo sovrastano e ne condizionano il lavoro. Il mercato del libro dalle sue origini, da quando cioè è stato possibile riprodurre meccanicamente un testo, è stato caratterizzato da un eccesso di offerta rispetto a una domanda che faticava a esprimersi con chiarezza, e contemporaneamente ha dovuto fare i conti con la pretesa di limitare la sua libertà con strumenti più o meno autoritari, perché è stato subito chiaro che non tutti i libri erano egualmente "buoni", anzi che molti di essi diffondevano errori o menzogne, o peggio suggerivano azioni malvagie o criminali.
Alla fin fine c’è da augurarsi che, mentre si trasformerà il supporto sul quale i libri, molti libri, andranno in giro cercando e incontrando lettori, il mercato resista abbastanza simile a quello che esiste, il quale poi pur tra mille contraddizioni ha certo consentito a molte misere opere di vendere più copie di quante avrebbero meritato, ma ha anche permesso lo sviluppo e la diffusione di una cultura che, nonostante i guai della modernità, non è certo peggiore di quella che la ha preceduta. Qualità e quantità, è cosa nota, faticano a procedere insieme, ma l’importante è che il confronto continui rinnovandosi ogni volta, mediando e rimediando, senza né sperare né attendersi che il conflitto possa essere superato una volta per tutte.