Giovanni Spinosa, il Fatto Quotidiano 4/1/2013, 4 gennaio 2013
LA UNO BIANCA AL PILASTRO, UNA STORIA SENZA VERITÀ
Il 4 gennaio di 22 anni fa i banditi della Uno bianca assassinavano i carabinieri Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini. “Il racconto dei Savi sulla loro serata del 4 gennaio 1991 è un modello quasi scientifico di sapiente organizzazione del caos, di inquietante assemblaggio di verità oggettive e di depistanti menzogne”. Così la prima delle due sentenze di Corte d’Assise, che si è occupata dell’eccidio del Pilastro, ha commentato le modalità con cui i fratelli Savi hanno confessato la partecipazione al delitto.
La storia della Uno bianca è stata scritta, invece, appiattendosi proprio sui loro mirabolanti racconti. Su Wikipedia, ad esempio, si legge: “All’altezza delle Torri, in Via Casini, l’auto della banda fu sorpassata dalla pattuglia dell’Arma. La manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa e pertanto decisero di liquidare i carabinieri. Dopo averli affiancati Roberto Savi esplose alcuni proiettili verso i militari, sul lato del conducente Otello Stefanini. Nonostante le ferite gravi subite, il militare cercò di fuggire, ma andò a sbattere contro dei cassonetti della spazzatura (circa 250 metri oltre le Torri). In breve tempo l’auto dei carabinieri fu investita da una pioggia di proiettili. …”.
Non quadra nulla. All’altezza delle Torri, ove, secondo i Savi, sarebbe iniziato il conflitto, c’era un camion dei pompieri fermo , col lampeggiante acceso e un vigile a bordo che vide la macchina dei carabinieri passare. Descrisse il carabiniere alla guida e quello sul sedile posteriore. L’auto militare non era seguita, né affiancata, né preceduta da nessun’altra auto. Fu l’ultima a passare sotto i suoi occhi prima della sparatoria avvenuta poco dopo.
NESSUN COLPO d’arma da fuoco fu sparato da macchine in corsa nemmeno nel tratto successivo di Via Casini. Due ragazzi, ad un incrocio, passarono con la loro auto, dietro quella dei carabinieri “… senza neanche avere una sensazione incombente di pericolo…, laddove alla stregua dell’indecente racconto snocciolato in udienza da Roberto Savi, su via Casini avrebbero dovuto sibilare i proiettili di carabina da lui stesso asseritamente indirizzati verso l’auto dei CC che (sic) avrebbe manifestato bruscamente sorpassandola, l’intenzione di sottoporre a controllo la UNO bianca con tutti i suoi lugubri occupanti” (pagg.89-90 sentenza).
Perché, dunque, i Savi hanno snocciolato l’indecente racconto dei colpi esplosi dalle auto in corsa? Vogliono accreditare una presenza casuale al Pilastro. Passavano lungo Via Casini, senza alcuna ragione specifica. I Savi raccontano i delitti come una serie di fatti occasionali, senza alcuna logica unitaria. Pulsioni estemporanee, sempre diverse che nascono in contesti casuali. Mentono sempre. Un esempio: l’eccidio di Patrizia Della Santina e Rodolfo Bellina-ti (23 dicembre 1990 – campo nomadi di Via Gobetti). Roberto Savi spiega che, col fratello Fabio, voleva fare “una rapina agli scortavalori del supermercato Coop che si trova nei pressi…. in Via Gobetti… Non avendo compiuto questa rapina… si portano su una stradina interna che all’epoca era chiusa; ci siamo infilati lì, come facevamo sempre per cercare un luogo isolato in cui scaricare le armi e riporre tutto per rientrare”. Insomma, un fatto casuale, una decisione improvvisa. E, con ineffabile perfidia, aggiunge: “… la giornata era stata impiegata”. Falso: l’eccidio avvenne alle 8.15 del mattino. Una consapevole missione omicida.
ENONERAcasuale nemmeno la presenza dei Savi al Pilastro:
1. gli spari da auto in corsa sono, come visto, una madornale fandonia;
2. leautopsiehannodocumentato colpi di rivoltella antecedenti a quelli di carabina con cui dicono di aver iniziato il conflitto;
3. i testi, nella parte conclusiva del conflitto, hanno visto i banditi usare solo armi lunghe;
4. le perizie balistiche hanno stabilito che l’ingaggio avvenne, poco oltre le Torri di via Casini, con un revolver impugnato da una persona che, nello sparare, si accucciava su se stessa, stando ferma in mezzo alla strada.
I Savi non erano, dunque, a zonzo per le vie del Pilastro. Infatti, nel punto ove secondo i periti iniziò il conflitto, 15 minuti prima, i Vigili del Fuoco avevano visto delle persone ferme e due auto in sosta con altri individui a bordo. Quella Corte d’Assise aveva proprio ragione: i loro racconti sono indecenti. Vane parole. Una straripante campagna di disinformazione ha sistematicamente delegittimato quanti hanno dimostrato come le dichiarazioni dei Savi non coincidano mai con i fatti. Ma non importa. I testi e i periti sbagliano sempre e i Savi hanno sempre ragione. La commemorazione dell’eccidio può essere, invece, l’occasione per una riflessione serena sui fatti. Senza pregiudizi e senza comode verità. La Uno bianca è un capitolo esemplare dei torbidi intrecci fra criminalità, eversione, apparati infedeli e depistaggi che hanno segnato l’Italia. E un popolo che rinuncia alla propria storia, rinuncia al suo diritto a essere nazione.