Giorgio Meletti e Davide Vecchi, il Fatto Quotidiano 4/1/2013, 4 gennaio 2013
PROF E CAV: CHI LA SPARA PIÙ GROSSA
[Ormai è politico di razza, le dice pure lui] –
Se si riguarda il film dei suoi 13 mesi di governo, si scopre che Mario Monti ha sfoderato l’arte consumata del ballista, tipica del politico di razza, fin dal primo momento. Quando si è presentato al Senato per chiedere la fiducia, il 17 novembre 2011, ha detto la prima bugia esattamente dopo due minuti e cinquanta secondi che parlava: “Da parte mia, da parte nostra, vi sarà sempre una chiara difesa del ruolo di entrambe le Camere quali protagoniste del pubblico dibattito”. A quella promessa ha fatto seguito un anno di governo a colpi di decreti legge, convertiti con il sistematico ricorso al voto di fiducia (al ritmo di circa tre al mese), una cancellazione del Parlamento senza precedenti. E del resto la parabola del Monti-uno si chiude con la celebrazione della madre di tutte le balle, il reiterato giuramento secondo cui il governo tecnico era una parentesi breve nella vita accademica del presidente dell’Università Bocconi, sempre attento a dipingersi come un Cincinnato. “Quelli per un Monti-bis sono appelli simpatici, ma non ricevibili. Sicuramente non mi pongo e credo che nessun altro seriamente si ponga questa eventualità. Per me le vacanze arriveranno abbastanza presto”, giurava ancora il 7 settembre scorso. Da allora la marcia di avvicinamento alla “salita in campo”, si è dipanata con una lenta progressione di balle cangianti. Ancora il 23 dicembre, durante la conferenza stampa che ha ufficializzato il suo ingresso a pieno titolo nella competizione elettorale, si è limitato a dire: “Se una o più forze politiche, con credibile adesione alla mia agenda, manifestasse il proposito di candidarmi a presidente del Consiglio, valuterei la cosa”, specificando: “Io non mi schiero con nessuno”. Ancora a novembre del resto aveva detto: “Mi auguro che le eventuali candidature di miei
ministri alle prossime elezioni siano limitate nel numero e distribuite politicamente”. Poi ha capito che personalità politiche come Casini, Fini, Cesa e Montezemolo erano più convincenti di quanto non avesse creduto. E si è schierato.
Monti, da politico consumato, sa cambiare il giudizio sulle persone secondo le esigenze del momento. Nello scorso febbraio, durante la celebre intervista a Time in cui spiegò, con la consueta modestia, che voleva insegnare agli italiani a vivere meglio, rilasciò benevolo a Silvio Berlusconi la patente di statista: “Credo che veda come stia guadagnando terreno dal punto di vista della credibilità internazionale, della reputazione e considerazione quale uomo di Stato, quanto più si dice favorevole a questa trasformazione dell’Italia”. Adesso che B. è suo avversario diretto nella ricerca dei voti di destra, Monti lo tratta come un mentecatto: “Faccio fatica a seguire la linearità del suo pensiero”, ha detto con la consueta cattiveria elegante il 23 dicembre.
Il premier uscente-rientrante, sempre a proposito di Berlusconi, ha pestato una buccia di banana quando ha pensato di competere con il maestro a proposito di promesse sul taglio delle tasse. Il 23 dicembre, sempre nella solenne conferenza stampa di fine anno, ha liquidato le promesse di B. sull’abolizione dell’Imu come il parto di una mente idiota: “Se si toglie la tassa sugli immobili tra un anno bisognerà rimetterla e sarà più dura”. L’altro ieri però si è precipitato a promettere la riduzione di un punto della pressione fiscale. In concreto: Berlusconi vuole togliere l’Imu prima casa, che vale 4 miliardi, mentre un punto di pressione fiscale significa rinunciare a entrate per almeno 15 miliardi.
I poteri forti sono un antico tormentone di Monti. Lo disse chiedendo la fiducia al Senato, lo ha ripetuto in questi giorni: “Quando a me è capitato diesserecommissarioeuropeoa Bruxelles, non sono sicuro che le grandi multinazionali mi abbiano accolto come un loro devoto e disciplinato servitore”. La leggenda di Supermario paladino dei mercati contro la prepotenza delle lobby fu smontata già dodici anni fa da un’inchiesta di Time, che fece notare come lo stop del commissario europeo alla Concorrenza alla fusione General Electric-Honeywell rispondeva a una richiesta delle compagnie aeree e soprattutto della United Technologies, concorrente di Ge. E che la maxi multa alla Microsoft era stata chiesta dalla Sun Microsystem. E che l’inchiesta sul monopolio Intel nei microchip era nell’interesse dei suoi grandi concorrenti americani e asiatici.
Per fortuna Monti ogni tanto sbaglia e dice la verità. Così la dichiarazione d’amore per i lavoratori detta due giorni fa a Radio Anch’io (“Io sono per avere in Europa una tutela ancora più avanzata dei
lavoratori, ma con condizioni che favoriscano la creazione di posti di lavoro”), va letta come balla alla luce della verità dal sen fuggita lo scorso 8 giugno, quando il premier lamentò che la sua discussa riforma del lavoro era stata “sottovalutata soprattutto dalle imprese, che ne sono e ne saranno i principali beneficiari”. Questa no, non era una balla.
IMU E RUBY I SUOI CAVALLI DI BATTAGLIA –
Io dico sempre cose sincere, anche perché non ho memoria e dimenticherei le bugie”. Il due marzo 1994 una verità Silvio Berlusconi l’aveva detta: le menzogne lui non le ricorda. Lo ha dimostrato in venti anni di politica e lo conferma ormai quotidianamente nella infinite apparizioni televisive e interviste a radio e giornali. Nell’incontinenza verbale dell’ultima settimana ha esaurito definitivamente la memoria, tanto da arrivare a sostenere di aver candidato Nicole Minetti senza averla vista né conosciuta o negare di aver ritenuto Ruby la nipote di Mubarak. Eppure lo disse al fidato Bruno Vespa, giustificando il suo intervento in questura perché preoccupato dalle possibile conseguenze diplomatiche. Mentre il suo avvocato deputato Niccolò Ghedini ha ripetuto ovunque come un mantra che Berlusconi era certo della parentela, l’altrettanto (all’epoca) fedelissimo Maurizio Paniz lo sostenne persino nell’aula di Montecitorio il 3 febbraio 2011. Per convincere i deputati a rinviare ai pm di Milano la richiesta di perquisizione degli uffici del ragioniere del Cavaliere, Giuseppe Spinelli, Paniz disse in aula che Berlusconi “telefonò in Questura per chiedere informazioni nella convinzione, sbagliata o vera che fosse, del fatto che Karima fosse la nipote di un presidente di Stato”. La Camera si lasciò convincere: 315 deputati riconobbero che la marocchina Ruby era nipote dell’egiziano Mubarack. Lo aveva detto lui. Ma tre giorni fa a Sky ha ritrattato: “Io non l’ho mai detto, è stata un’invenzione dei giornali, lei mi aveva detto di essere figlia di una famiglia vicina al presidente Mubarak”. Insomma, quasi parenti. Forse.
Ma negli studi di Sky l’ex premier regala un’altra versione anche su Nicole Minetti, regina indiscussa delle cene eleganti ad Arcore. Berlusconi racconta: “A me fu presentata da don Verzè, è stata mandata nella nostra sede di Milano dove c’erano 5 scrutatori e ha avuto 5 sì”. Ma non era la “bravissima igienista dentale” conosciuta all’ospedale San Raffaele dove fu portato dopo aver ricevuto in pieno volto la statuetta in piazza del Duomo a Milano? Minetti poi, che magari ha più memoria del Cavaliere, ai pm ha riferito di aver conosciuto Berlusconi “nel 2008 presso uno stand di Publitalia”. Ci sono poi le serate ad Arcore, le cene eleganti, le notti a ritmo di Bunga bunga, le intercettazioni tra Minetti e Berlusconi che si chiamano “amore”, “love” nell’agosto 2010, appena due mesi dopo l’elezione dell’ex valletta in Lombardia. Elezione “imposta dal presidente” a Roberto Formigoni che l’ha dovuta inserire nel listino bloccato il giorno prima della scadenza dei termini e per riuscirci, ha accertato la Procura di Milano, sono state falsificate le firme: per questo Guido Podestà, allora coordinatore regionale del Pdl, è stato rinviato a giudizio. Magari Podestà era uno dei cinque “scrutatori”.
Berlusconi si sbugiarda da solo anche sulle tasse. “Non ho mai promesso la riduzione delle tasse al 33%”, dice. E anche qui è palese che la memoria latiti. L’8 marzo 1994 disse: “Se un italiano pagasse non il 30, ma il 33 per cento di quanto guadagna, sono convinto che avrebbe meno interesse ad evadere. Dopo dieci anni, nel 2004, garantì: “Vogliamo ridurre entro il 2006 le aliquote delle imposte personali sul reddito al 23 per cento”. Giusto per citare due delle tante dichiarazioni. Certo sono passati decenni, difficile ricordare ciò che si è detto così tanto tempo prima. Per uno che ammette di non ricordarsi le bugie poi.
Eppure nell’ultima settimana di bulimia televisiva il Cavaliere ha dimostrato di avere problemi anche con la memoria del brevissimo periodo. Ne è conferma il contorto relazionarsi con Mario Monti. Prima invocato e sostenuto come un messia, poi fatto cadere, il giorno dopo invitato a candidarsi premier e oggi attaccato come i comunisti e i magistrati. Ed è stato proprio Monti ieri ha risvegliare a Berlusconi la memoria sull’Imu. Il Cavaliere ne ha attribuita la paternità alla sinistra e al professore, ma era stato invece il suo superministro dell’economia creativa Giulio Tremonti a inventarsi la tassa sulle abitazioni. L’Imu, ha ricordato ieri Monti, “è stata introdotta dal governo Berlusconi con efficacia differita, abbiamo avuto noi l’onore di applicarla”.
Ruby, Minetti, tasse, Imu sono solo alcune delle tante recenti rivisitazioni berlusconiane della realtà. E sarà di certo la memoria il problema con le bugie, come ha detto lo stesso ex premier. Ma forse vale più ciò che sostenne Indro Montanelli: “Berlusconi è un mentitore professionale; mente a tutti, sempre anche a se stesso, al punto da credere alle sue stesse menzogne”.