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 2013  gennaio 06 Domenica calendario

VENDO L’ORO, VADO A SCIARE

«Fino a che ci sarà oro nei cassetti...». Perché l’oro sta finendo. Scena milanese prima (lunedì prima di Natale), signora attempata/elegante, vedova: «Da quando non c’è più mio marito ho smesso di fare vita di società», confida al gioielliere. «Quanto possono valere questi?». E squaderna un sacchetto di preziosi estratto dalla borsa. Scena milanese seconda (stesso lunedì, pomeriggio, bugigattolo «compro oro» in periferia). Signora anziana/imbarazzata: «Prendete anche le fedi?». Certo. A un peso medio di 4 grammi, fanno poco più di 110 euro. «Ci penso, grazie. Buona giornata». Visto da qui, da questi banchetti blindati dietro vetrine schermate, dagli oltre 8 mila negozietti con le insegne Compro oro, Occasioni d’oro, Ritiro oro, Massime valutazioni e (soprattutto) Pagamento in contanti, l’Italia di inizio 2013 è un Paese che si sta prosciugando.
Avevamo una riserva aurifera popolare e familiare mastodontica: nei cassetti, negli armadi, nei comò, nelle casseforti. La stiamo destinando alle fonderie. Monetizzare e tirare a campare. È una rivoluzione del concetto di oro come bene-rifugio: invece che investire o conservare in tempi di incertezza, si (s)vende in periodo di crisi conclamata. È così che «si stanno svuotando i cassetti». Negli ultimi due anni, stima il Censis nel suo Rapporto 2012, l’hanno fatto due milioni e mezzo di famiglie italiane: gioielli venduti «per disporre di liquidità». Così, qualche anno fa, s’è toccato il punto di «ribaltamento»: sommando gli 8 mila «compro oro» veri e propri alle oreficerie che, in tutto o in parte, si sono riconvertite e ritirano l’usato, oggi in Italia i negozi che acquistano gioielli sono più di quelli che li vendono. Gli esperti del settore si trovano di fronte a un interrogativo: quanto può durare? «Non molto», risponde Francesco Deblasio, titolare dell’oreficeria Lupetta di Milano. Si avvicinano gli anni dei cassetti vuoti. Altri invece sostengono il contrario: «Gli italiani — riflette Dimitri Stella, presidente dell’Associazione orafa lombarda — continueranno a vendere per almeno altri 3-4 anni».
Oro per la neve
«Stiamo prenotando una settimana bianca in Valle d’Aosta». E, scusate, cosa fate qui? Sabato 29 dicembre, tarda mattinata, Andrea ed Erica Luzzi sono appena usciti da un «compro oro» in zona De Angeli, prima periferia milanese. Coppia tipica del terziario cittadino, chiedendo una valutazione per il loro tesoretto hanno rotto un argine simbolico. Senza remore: «Obiettivamente, quella roba è rimasta dimenticata in un cassetto per anni». Per «roba» intendono un modesto corredo familiare: un paio di catenine di lui, tre monete antiche, un bracciale di lei, un’altra catenina del figlio (che ha 11 anni). «Per le ricorrenze importanti, tipo matrimonio o battesimo, c’è ancora quella vecchia "legge" che ormai è davvero superata: si regalano oggetti d’oro». Fino a qualche anno fa Andrea ed Erica non s’erano mai chiesti se fossero utili. Li conservavano e basta.
Oggi invece iniziano a snocciolare col sorriso l’affollata catena di spiegazioni che alla fine li ha condotti al grande passo: da una parte la mentalità secondo la quale «un regalo importante deve durare», ma dall’altra quelle catenine d’oro da battesimo «non ti sogni neppure di metterle». E ancora: il regalo è sì «un ricordo di zie, nonni, cugini», ma la maggior parte di quei parenti «poi non li vedi per anni». È così che prende forma il dilemma: rispettare i canoni tradizional-familiari o infrangerli? Sottostare al freno del senso di colpa o cedere? Ecco, la piccola storia di questa coppia (lui 41 anni, lei 38) racconta una trasformazione. Perché probabilmente, in quei due milioni e mezzo di italiani che hanno scambiato oro per contanti, c’è molta meno indigenza di quel che ci si potrebbe aspettare.
Andrea è un impiegato di un’azienda informatica. Tutto sommato, non ha subito «contraccolpi evidenti dalla crisi». Erica invece è una fisioterapista. Piccolo studio privato. Per anni ha messo insieme un secondo stipendio soprattutto con i massaggi estetici. Spiega: «Le gradi spa del centro, quelle da 150 euro a trattamento, continuano ad avere la loro clientela top; noi invece soffriamo». La donna «normale» oggi fa un massaggio al mese, «e magari neanche più quello», rispetto ai due o tre del passato. Ecco perché, già nel 2011, la vacanza in montagna della famiglia è saltata. «Quest’anno però non abbiamo voluto rinunciare». Soluzione (la più immediata, la più semplice a patto di rompere il «tabù dell’oro»): svuotare i cassetti. «Anche per reagire a questo clima di depressione...». Altra questione di sfumature psicologiche. Ma insomma, per catenine e monete, quanto vi hanno offerto? Risponde Andrea: «Qui, 780 euro». E ora? «Vediamo se si riesce a strappare qualcosa di più, altrimenti accettiamo. Vuol dire comunque pagarsi viaggio e albergo». È la certificazione di un argine che crolla. La piccola borghesia accantona il sacrale rispetto dell’oggetto/ricordo. Oro parentale riconvertito per mantenere (almeno in parte) il tenore di vita a livello pre-crisi.
Le facce dell’illegalità
Giovedì 8 novembre scorso, la Finanza di Napoli e Arezzo coordina 250 perquisizioni in una sola giornata, indaga 118 persone, blocca 500 conti correnti e sequestra 163 milioni. Arriva in Svizzera perché lì viene rintracciata la testa di un’associazione a delinquere che comprende negozi «compro oro» e intermediari che ritirano il metallo da rivendere alle fonderie. Per farsi un’idea: nel solo 2012 il gruppo criminale ha trattato 4 mila e 500 chili d’oro e 11 mila chili d’argento. Tutto in nero. Perché una cosa, prima di tutto, bisogna saperla: i «compro oro» che pullulano nelle città italiane sono senza legge. O meglio, lavorano in base a norme piene di vuoti e di lacune. Due proposte di regolamentazione sono in Parlamento. Con un notevole ritardo su un settore dell’economia già gonfiato a dismisura. Le stime più attendibili parlano di un giro d’affari superiore ai 10 miliardi.
Solo a Milano i «compro oro» sono 216. Nel 2012 la polizia ne ha controllati 42: irregolarità varie in 26 casi, più della metà. Su 211 licenze date dalla questura di Roma nel 2011, 69 erano cambi di proprietà, in un sospetto giro di nuovi titolari che si accavallavano nell’arco di pochi mesi. Eugenio Costantino, faccendiere della ’ndrangheta accusato di aver venduto voti all’ex assessore regionale lombardo Domenico Zambetti, di «compro oro» ne aveva quattro (intestati a prestanome). Il rischio di riciclaggio, frodi fiscali, infiltrazioni criminali e ricettazione è altissimo. Se si vende una catenina, il negoziante ha l’obbligo di chiedere i documenti e tenere il gioiello in deposito per 10 giorni, segnandolo su un registro. Senza foto. Poi può cederlo. Tutto qua. Argini contro lo smercio di oggetti rubati? Praticamente nessuno. La zona grigia è ovviamente minoranza. L’illegalità rischia di mettere in ombra la questione vera: «Ormai la vendita dell’oro da parte dei cittadini è un fenomeno strutturale, costante, non arginabile», spiega Dimitri Stella, presidente degli orafi lombardi e consigliere di Confindustria-Federorafi. Che poi aggiunge: «I rischi sono troppo alti. Servono regole chiare, uniformi in tutta Italia e che prevedano sanzioni pesanti. Per tutelare la maggioranza degli onesti ed escludere l’illegalità». La rivendita dell’oro «usato» per l’Italia è diventata una questione di macroeconomia, consegnata però a un quadro di leggi e regole a dir poco inadeguate.
Moda e povertà
In via Lupetta, strada nascosta della Milano antica, si incontra un’oreficeria con un secolo di storia. La compravendita di oro e gioielli qui si fa da vent’anni (ormai, più che altro, il negozio è specializzato in orologi). L’oreficeria Lupetta era lì quando di «compro oro» a Milano «ce n’erano appena quattro o cinque». Oggi è una società di capitali, registrata tra i circa 450 «operatori professionali in oro» accreditati dalla Banca d’Italia. Punto d’osservazione privilegiato. «Fino a qualche anno fa i gioielli acquistati dai pochi "compro oro" rimanevano in commercio — spiega il figlio del titolare, Daniele Deblasio — e venivano quasi tutti rivenduti come "usati". Oggi invece il 90 per cento finisce in fonderia». Nel 2002 i nuovi gioielli lavorati con oro «riciclato» erano il 9 per cento. Oggi quella percentuale è salita oltre il 45 per cento.
Crisi. Ma non solo. Per spiegare il «vendo tutto» delle famiglie, i titolari dell’oreficeria Lupetta elencano tre motivazioni. Primo: «In parte l’oro è passato di moda». Secondo: «L’aumento del prezzo. Tanti anni fa acquistavamo oro dai privati a 12 mila lire al grammo, ormai le quotazioni sono salite sopra i 40 euro». Dunque, in realtà, non si tratta di una svendita. «In termini strettamente contabili si realizza un guadagno». Terzo: «Col momento economico difficile, si svuotano i cassetti...». Ma quanto si svuotano?
Nel 2011 sono state «ritirate» oltre 116 tonnellate d’oro. È una quantità enorme. Per avere una proporzione: negli anni Ottanta e Novanta l’Italia trasformava in gioielli oltre 300 tonnellate d’oro l’anno. Più della metà andavano in esportazione. Significa che nel nostro Paese si acquistavano una media di 100-150 tonnellate d’oro in forma di anelli, orecchini, bracciali, collane. A conti fatti, quindi, gli italiani nel 2011 hanno rivenduto una quantità d’oro pari a quella che negli anni Novanta acquistavano. Flusso capovolto. La nazione che annaspa si sta spogliando delle riserve auree domestiche. Uno storico spot alla fine dei danarosi anni Novanta recitava: «Un diamante è per sempre». L’oro godeva (quasi) della stessa reputazione. Ormai è declassato a salvagente. Per le difficoltà del momento.
Gianni Santucci