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 2013  gennaio 06 Domenica calendario

QUATTRO CHIACCHIERE SU UN’ISOLA DESERTA

Quello che conta è che il visitatore piaccia a Igor. Accoccolato sul divano, nello studio milanese dei Masbedo (un grande spazio di lavori in corso, all’interno di un cortile in zona Navigli che i Masbedo condividono con la storica trattoria «La Madonnina»), la piccola volpe impagliata comprata qualche anno fa da un tassidermista di Bruxelles sorveglia, come un piccolo Cerbero, l’universo (definibile di volta in volta sofisticato, altamente tecnologico oppure neobarocco) di Nicolò Massazza (Milano, 1973) e Iacopo Bedogni (Sarzana, 1973) i Masbedo appunto, sicuramente tra i più interessanti videoartisti italiani in circolazione: nel loro curriculum (il duo nasce nel 1999) una lunga serie di mostre al Cccb di Barcellona, al Maxxi di Roma, al Grand Palais di Parigi e passaggi a numerose edizioni di Art Basel, alla Biennale d’arte e a quella del Cinema di Venezia. Un universo scandito da titoli affascinanti e pieni di mistero: Autopsia del Tralalà, Person, Teorema di incompletezza, Una costante perdita di magia, Il mondo non è un panorama, Schegge d’incanto in fondo al dubbio, Tossico della luce, I have not a dream. E contrassegnato da quello che Massazza e Bedogni amano definire «esistenzialismo tecnologico» perché «la sperimentazione non può essere fine a se stessa, è molto più importante il pensiero forte che ci deve essere sempre dietro ogni opera d’arte riuscita, specie se si tratta di un’opera contemporanea».
Dunque non solo grandi schermi trasformati ad arte, secondo la lezione di un maestro come Nam June Paik, con uno sguardo al mercato e alle gallerie: «Abbiamo sempre voluto tenerci lontani dal sistema, preferiamo coltivare la passione dei nostri collezionisti. Quanto può valere oggi sul mercato una video-installazione? Dai 12 mila ai 30 mila euro». Alle spalle del lavoro dei Masbedo ci sono ad esempio tante buone letture, dal primo Pavese a Calvino. E soprattutto Michel Houellebecq (a cominciare dalle Particelle elementari): «Incontrarlo è stato fondamentale nel nostro lavoro. L’abbiamo inseguito fino a Genova, perché conoscevano già attraverso i libri la sua analisi lucida e spietata della realtà, il suo mettere in scena la difficoltà di comunicazione, i drammi di una società erotizzata come quella contemporanea». Un rapporto profondo si è cementato fin da subito (era il 2002): «Ci siamo ritrovati quella sera stessa a discutere nella sua camera d’albergo davanti a una bottiglia di cognac e con le bozze del suo nuovo romanzo sparse sul letto». Così sono nate due videoinstallazioni (Masbedo Houellebecq e Il mondo non è un panorama con Juliette Binoche) ma anche un legame che dura ancora oggi.
Certo, lo studio-laboratorio di via Gentilino (affacciato su un cortile ben poco glamour ma molto vero) è molto più reale di quello che si potrebbe pensare a proposito di due videoartisti con i suoi spifferi freddi, il suo pavimento in cemento grigio, con i suoi muri scrostati, con le sue inferriate (arrugginite) alle finestre, con i suoi oggetti della (loro memoria) sparsi tra gli scaffali, tutti comunque riconducibili al lavoro artistico dei Masbedo: una mappa di Reykjavik e dintorni, le mani di cera chiuse dentro una teca, una testa in gesso di Platone, una pianta di cactus, bottiglie di vino (oltre a tanti, tantissimi, portacenere che testimoniano una terrena passione per il fumo). A ricordare l’impegno tecnologico c’è di fatto solo il lungo tavolo di vetro dove sono poggiati due grandi schermi (con relativi computer d’ultima generazione). Mentre la foto-mosaico che mette insieme i tratti di Nicolò e Iacopo (simili non fisicamente, ma accomunati da un parlare quasi in simultanea) traduce in una sorta di contaminazione visiva questa loro complicità.
«Contaminazione — spiegano — è una delle nostre parole d’ordine perché di fatto vuol dire mettersi in gioco. L’artista deve sapersi misurare con la complessità e non commentare tutto dal ciglio della strada, senza esercitare nessuna capacità critica». Una contaminazione che di fatto coinvolge tante (praticamente tutte o quasi) le possibili declinazioni dello spettacolo: il teatro di sperimentazione di Ricci e Forte («Il gruppo che attualmente stimiamo di più in Italia»); il teatro danza di Pina Bausch e Erna Omarsdottir (con lei hanno realizzato il progetto Glima); classici della drammaturgia come Le Rèmede de la Fortune di Guillaume de Machaut trasformata in una video-audio-performance con Fanny Ardant e con il gruppo Sentieri Selvaggi presentata allo Strehler di Milano e prodotta da Fondazione Romaeuropa. E naturalmente il cinema: da Aki Kaurismäki a Chris Marker, da Fredrik Thor Fredriksson (il regista islandese produttore di Lars von Trier) a Andrej Tarkowsky (Stalker, Nostalgia). Per arrivare a Michelangelo Antonioni: «Certo preferiamo quello dell’Avventura, il suo concetto di assenza, l’isola come luogo ideale dove mettere in scena una lontananza non solo fisica. Ma non va dimenticato l’Antonioni di Deserto Rosso con quella idea di una modernità che ancora oggi trova difficoltà a diventare reale». Non a caso «stiamo lavorando a un film sperimentale diviso in cinque capitoli che trattano il tema della mancanza e dell’assenza componendo 5 ritratti di donne, di fatto 5 vere e proprie identificazioni di donne alla maniera di Antonioni».
Per i critici «i Masbedo sono esponenti originali e fantasiosi di una video-arte contemporanea capace di utilizzare immagini ad alta risoluzione oppure sporche, piccole installazioni e grandi schermi, che sfrutta riferimenti a un immaginario medievale dal gusto gotico». Un intreccio visivo complesso che presto si tradurrà in una serie di nuovi progetti: la videoinstallazione Ash al Leopold Museum di Vienna nell’ambito della mostra Clouds. Images between heaven and earth (dal 22 marzo al primo luglio); la personale Gelo curata da Gianfranco Maraniello alla Pinacoteca nazionale di Bologna in collaborazione con il Mambo Museo d’arte contemporanea (dal 17 gennaio al 15 febbraio) nell’ambito di «Artcity» (sempre a Bologna, il 25 gennaio, verrà presentata anche Resusci-Anne, video/audio performance con la partecipazione di Walter Siti). Mentre è ancora in fase di scrittura il film Interiors tratto dalla pièce teatrale di Maurice Maeterlinck (prodotto dalla Vivo Film, la stessa società che ha curato la realizzazione del nuovo film di Emma Dante).
Chi pensasse ai videoartisti come a creature appiccicate allo schermo del computer non potrebbe sbagliarsi di più: «Non siamo tecno-dipendenti, la sperimentazione fine a se stessa non può avere senso se non c’è un pensiero forte, se non c’è una capacità di mettere in discussione il mezzo. E noi vogliamo mantenere la nostra libertà». Anche se, poi, a proposito dell’originalità a tutti i costi, spesso criticata alla nuova generazione, sottolineano come di fatto «l’arte non può essere un territorio anarchico, al servizio dell’improvvisazione». Come nasce un video d’arte? «Da un’idea forte che poi si sviluppa in uno story board, una vera e propria sceneggiatura». E l’imprevisto? «L’imprevisto c’è sempre. Ma siamo abbastanza padroni del mezzo per poterlo controllare e magari trasformarlo in una ulteriore variazione». A fare da sfondo ci sono panorami unici, spesso oscuri: come l’Islanda, molto amata dai Masbedo (come le isole in generale, a cominciare da Ginostra scelta come rifugio e luogo di riposo) per la sua complessità, per quel suo essere una terra in continuo movimento: lo dimostrano le sequenza di Ash, videoinstallazione girata nel 2010 alle pendici del vulcano Ejafjalljökull, proprio nei giorni della grande eruzione e che sarà presentato nella mostra di Vienna che per raccontare «i paesaggi dal romanticismo ai giorni d’oggi» si troveranno fianco a fianco con Monet, Segantini o Van Gogh. Sempre che Igor, accoccolato sul divano dello studio di via Gentilino, sia d’accordo.
Stefano Bucci