Paola Pollo, Corriere della Sera 06/01/2013, 6 gennaio 2013
LA DINASTIA DELLA LANA A COLORI. QUANDO IL PATRIARCA S’ARRABBIO’: «IO CAVALIERE. E MIA MOGLIE?» - È
una bellissima storia d’amore quella dei Missoni. Da qualsiasi parte la si voglia cominciare a raccontare. Tra un uomo e una donna. Fra passione e colore. Fra cultura e materia. Fra padre e figlio. Tra nonna e nipote. Con dosi di quanto basta di tutto: romanticismo, rinunce, conquiste, tempeste, successi, allegria, ironia, rispetto, libertà.
D’altronde se tutto è cominciato come cominciò nessun dubbio che qualcosa di incredibilmente magico sarebbe successo. Estate 1948, Londra, Giochi Olimpici: nel tunnel dello stadio di Wembley gli occhi di Ottavio (Tai) Missoni, classe 1921, in finale nei 400 incontrano quelli di Rosita Jelmini, classe 1931, in viaggio premio con le suore: «Lui era l’unico che sorrideva malgrado avesse una finale olimpica…», ricorderà sempre lei. Una settimana dopo il figlio del capitano (friulano) e della contessa (dalmata) andò a cena con la ragazzina brianzola, terza generazione di donne e stoffe (ricamatrici, tessitrici, magliaie). Quel giorno parlarono e parlarono. Soprattutto lui, già leggendario per via dei successi in pista (record ancora imbattuto di 48"8 sui 400 categoria 16 anni e poi otto titoli nazionali) e delle traversie in guerra (quattro anni di prigionia di Egitto, catturato dopo la battaglia di El Alamein) e dei fotoromanzi Bolero (per racimolare un po’ di soldi in più). Dirà poi Ottavio che se non avesse incontrato Rosita avrebbe fatto il vignettista. Che è un’altra storia ancora.
Comunque da allora mai più un giorno senza. Nell’aprile del ’53 il matrimonio e la casa, a Gallarate, che si fece subito bottega. Perché lui aveva sempre avuto il pallino dell’abbigliamento sportivo (ma non della moda) e perché lei fra gli abiti ci era nata. All’inizio furono le tute, qualche capo e i costumi di maglia. Mentre nel frattempo arrivarono Vittorio (nato nel ’54) e Luca (’56). E Angela (’58). Ottavio stava sempre al disegno e ai colori ispirati dalla natura, Rosita alla trama e all’ordito. E accadde quello che succede spesso quando si osa, si prova, si stravolge e poi nascono fra le più belle e innovative opere d’arte o le canzoni più incredibili o i libri più entusiasmanti. Così fu con i Missoni e la moda. Quelle tinte così reali e quei punti impazziti («put together», li soprannominarono gli americani) diventarono quei maglioni a zig zag e patchwork e a righe e a greche che da allora nel mondo sono riconoscibili come «maglia Missoni», «quella del maestro Tai», la indicava Balthus che per quei cardigan impazzì come tanti altri famosi e non. Come non pensare a un Nino Manfredi sempre vestito Missoni? Con un denominatore comune fra collezioni e capi e stagioni: l’influsso energizzante di quel mix fra natura ed estro che renderà la storia di questo marchio unica e tutt’ora attuale. Perché mai legata a un concetto di moda del momento.
Fu nel ’58 che la Rinascente chiese alla coppia cinquecento capi e tutto venne di conseguenza. Compreso il trasferimento a Sumirago, nel Varesotto ancora casa (villa incredibile) e bottega (azienda modello), cuore dell’azienda e di una vita (lì sono cresciuti i ragazzi e i figli dei ragazzi). Anna Piaggi, la giornalista di moda più influente di quegli anni, li scoprì e mai più li lasciò. Scrisse un articolo entusiastico su di loro e nel ’65 a Milano, al teatro Girolamo, arrivò la prima sfilata. Nel ’67 il Pitti e negli anni Settanta i maglioni di Missoni erano il pezzo che chiunque desiderava avere nel guardaroba. Persino una Diana Vreeland, donna da filo di perle e chiffon e tanto nero, potentissima direttrice di Vogue Usa, s’incapricciò per loro e per i loro colori. Arrivarono riconoscimenti da più mondi. Sfilate e copertine ma anche mostre: al Sazon Museum of Art (Giappone), al Nagoya City Museum (Giappone), al Moma di New York, al Dallas Museum of Art, al Museum of Costum di Bath. Sempre in due, felici. E quando Ottavio fu fatto cavaliere del lavoro si arrabbiò: «Perché Rosita no?». A proteggersi l’un con l’altro, anche con i figli liberi di scegliere la propria strada. Con Vittorio che voleva fare il pilota, Luca che aveva il pallino della matematica e Angela che voleva occuparsi di ludoteche prima e allevamento di polli poi. Sino al ’96 quando magicamente tutti sono stati pronti a prendere il testimone: la direzione creativa di Angela, quella commerciale di Vittorio e quella tecnica a Luca. Sino a poche stagioni fa padre e figlia salivano in passerella mano nella mano. L’ultima volta, un paio di anni fa, erano entrambi in lacrime. Già bussa la terza generazione: ci sono i piccoli Missoni che stanno crescendo. Piccoli si fa per dire con Margherita, primogenita di Angela, bellissima trentenne, già da anni ambasciatrice nel mondo della griffe, e Teresa che ha già scritto nel dna la sua storia di passione per moda e arte. E poi ci sono i cugini che se non ci sono ci saranno, come da tradizione. Ora più che mai.
Paola Pollo