Massimo Gaggi, Corriere della Sera 06/01/2013, 6 gennaio 2013
UN DOBLONE DI PLATINO PER SALVARE WASHINGTON DALL’INCUBO INSOLVENZA —
Platino. Una cascata di dobloni di platino o anche una sola, gigantesca moneta, contro la nuova minaccia apocalittica che pesa sull’economia Usa: dopo il «fiscal cliff», la caduta nel precipizio fiscale sventata in extremis a Capodanno, adesso il Tesoro Usa rischia di finire tra un paio di mesi in bancarotta per il rifiuto dei repubblicani di far votare al Congresso l’aumento del tetto del debito pubblico.
Barack Obama, come riferiamo qui sopra, non è disposto a negoziare su quello che considera un atto dovuto. Ma se i conservatori tengono duro, che fare?
L’idea più stravagante ma anche più suggestiva — e quindi subito al centro di discussioni accalorate — è quella di usare il metallo più prezioso per aggirare il veto ideologico dei repubblicani: pagare i debiti della pubblica amministrazione sfruttando un varco nella legislazione Usa che regola (attribuendola alla Federal Reserve) l’emissione di banconote e monete d’oro, argento e anche rame, ma lascia al Tesoro la possibilità di coniare monete di platino.
Sarebbe un colpo di mano, visto che la norma sul platino è stata concepita per consentire al Tesoro di coniare monete commemorative a beneficio dei collezionisti, ma chi fa questa proposta — parlamentari di sinistra come il deputato di New York, Jerrold Nadler, e alcuni commentatori finanziari desiderosi di stupire — sostiene che ogni forzatura è lecita quando si tratta di impedire che l’America precipiti nell’insolvenza.
L’idea è, a suo modo, affascinante: usare il platino per pagare le spese di un governo progressista nel Paese in cui alcune comunità conservatrici — ad esempio nello Utah — hanno reintrodotto monete d’oro e d’argento come gesto di sfiducia nei confronti dei dollari di Washington. Il Paese del radicale liberista Ron Paul che combatte da anni una crociata per il ripristino della parità dollaro-oro: un improponibile ritorno al passato con uno strumento che, nei piani di Paul, dovrebbe limitare la capacità di spesa di governo e Parlamento, togliendo alla Federal Reserve il potere di stampare denaro.
Il partito del platino, invece, non ha in mente alcuna parità: il preziosissimo metallo servirebbe solo come «escamotage» per continuare a spendere e a pagare i conti senza stampare dollari e senza contrarre nuovi debiti, almeno formalmente. In sostanza la Zecca, autorizzata dal Tesoro, dovrebbe stampare una o più monete alle quali verrebbe attribuito il valore di qualche centinaio di miliardi di dollari o addirittura di un trilione. Le monete verrebbero depositate presso la Fed che, a fronte del valore ricevuto, effettuerebbe i pagamenti necessari.
Legale ma improponibile, sostengono molti analisti intervenuti nel dibattito, dai commentatori di Bloomberg News a quelli dell’Economist. Del resto anche i proponenti ammettono che monetizzare una quota del deficit pubblico istituendo una sorta di controllo presidenziale della moneta sarebbe una manovra da brividi per la forzatura della legge e per i rischi inflazionistici.
Ma su interventi «border line» come questo stanno ragionando anche esperti come Joe Gagnon del Peterson Institute e Jim Pethokoukis dell’American Enterprise Institute con l’idea che la priorità è quella di evitare l’insolvenza. Per non creare inflazione, sostiene qualcuno, il Tesoro potrebbe impegnarsi a emettere titoli in misura sufficiente a riacquistare tutte le monete di platino.
E il presidente, immaginano i più spregiudicati, potrebbe barattare la rinuncia ad usare l’arma del platino in cambio di una rinuncia del Congresso a brandire il tetto del debito come arma di ricatto nei confronti del governo. Col platino il governo creerebbe nuova capacità di spesa, certo, ma non nuova autorità di spesa: le decisioni in questo campo sono sempre del Congresso, che ora rischia di impedire al Tesoro di saldare i suoi conti. È questa causa di forza maggiore, per i proponenti, che giustificherebbe la forzatura legislativa.
Massimo Gaggi