Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 06/01/2013, 6 gennaio 2013
MUCCHETTI: PERCHE’ HO SCELTO DI SALTARE IL FOSSO
Caro direttore,
l’altro ieri, nell’inserire una mia dichiarazione nel servizio sulla giornata politica, il Tg1 mi ha presentato come vicedirettore del Corriere. Per evitare l’equivoco che la mia fosse ancora una voce del giornale, pochi istanti dopo ti ho mandato una mail nella quale chiarivo di aver già cessato di scrivere, una volta annunciata la mia candidatura come indipendente nelle liste del Pd. E tu hai titolato: «Mucchetti lascia il Corriere». Oggi, dunque, sono un ex vicedirettore ad personam. Ma quel testo, forse, era troppo conciso. Molti lettori, infatti, mi hanno scritto per chiedere maggiori lumi su questa scelta, del tutto personale, dopo 9 anni in via Solferino. Dalla grande maggioranza ho ricevuto parole di incoraggiamento, e li ringrazio: ne ho bisogno. Altri hanno manifestato riserve, ed è a loro che ti chiedo la cortesia di potermi rivolgere in libertà, com’è costume dalle nostre parti (mi perdonerai se uso ancora l’aggettivo nostre: è l’affetto).
Ma come, si chiedono alcuni lettori, lei, Mucchetti, si rende conto che, adesso, rinuncia alla sua indipendenza? Risposta: non rinuncio alla mia indipendenza di uomo che, cercando di ragionare con la propria testa, collaborerà, se eletto, con i nuovi colleghi e non avrà timore della solitudine, ove il suo contributo non venisse apprezzato. Credo di averne già dato prova in qualche frangente anche al Corriere, dove venni assunto da Stefano Folli, e gliene sono ancora grato, e dove ho infine trovato un ampio spazio con te, Ferruccio de Bortoli, e ti ringrazio di cuore. Certo, il Parlamento non è una redazione, ma l’area del centrosinistra è oggi quella a maggior tasso di democrazia reale.
Il centralismo dell’antico Pci non caratterizza più da anni il regime interno del Pd, crogiuolo di diverse culture politiche. Mi pare invece di ritrovarlo, spesso in forma caricaturale, in altri partiti dove il leader pensa per tutti.
Lei però, incalzano altri lettori, cessa di fare informazione e farà politica. Sarà fatalmente di parte. Non è un tradimento del Corriere? Risposta: è vero, cesso di dare notizie, analisi e opinioni sul più grande quotidiano d’informazione italiano. Ho saltato il fosso perché, maturando sul piano professionale, ho via via cercato di associare e discutere le possibili soluzioni alla pura denuncia di quel che non va. Passare dallo scrivere al fare potrebbe essere uno sviluppo positivo — almeno me lo auguro — e non un tradimento. Un esempio illustre. Luigi Einaudi, prima firma di economia del Corriere fino al Fascismo e poi corrispondente dell’Economist, assimilava il giornalismo al sacerdozio. E tuttavia fu senatore del Regno e poi governatore della Banca d’Italia, ministro liberale e presidente della Repubblica. Non per questo si sentì uno spretato. Negli anni 90, collaboratori illustri come Lucio Colletti, Piero Melograni e Saverio Vertone si candidarono per Forza Italia. Non ricordo scandali. E lo stesso Mario Monti ha costruito la sua reputazione, che l’ha portato prima a Bruxelles e poi a palazzo Chigi, in buona parte scrivendo articoli di fondo sul Corriere. I grandi giornali — al pari delle università, delle imprese, dei sindacati e dei partiti politici in senso più stretto — possono fornire persone alle istituzioni. Dovrebbe essere sentito come un onore e un dovere. La politica democratica è un insieme di parti che, nelle convergenze e nelle divergenze, servono l’interesse generale. Se fatta bene e onestamente, è la più alta delle attività umane.
Terza e ultima osservazione avanzata da (pochissimi) lettori: alla luce del suo ingresso in politica che cosa dobbiamo pensare dei suoi articoli? Si preparava forse un seggio parlamentare? Risposta: contro l’insinuazione di principio, alzo le mani; e se vuole, il sospettoso potrà sempre estendere i sospetti alle grandi firme che ho appena citato e a tante altre che, provenendo da questo e da altri giornali, hanno svolto un temporaneo servizio alla Camera, al Senato o al governo. Ma insinuazioni del genere provano troppo e dunque non provano nulla. Un caso per tutti: una simile logica dovrebbe indurci a dire che Silvio Berlusconi costruì Mediaset per fare il premier, mentre è vero l’inverso. L’ex premier scese in campo non solo per un suo progetto politico ma anche perché temeva che gli fossero tolte le tv. Quanto poi fosse fondato quel timore è un altro discorso, naturalmente...
Sono sicuro che il Corriere non mi farà sconti. E di questo lo ringrazio fin d’ora.
Un abbraccio
Massimo Mucchetti
Caro Massimo, grazie. Il tuo lavoro è stato straordinario e il tuo contributo ci mancherà. Con sincerità e franchezza devo però dirti che stai commettendo un grosso errore. Auguri (f. de b.)