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 2013  gennaio 06 Domenica calendario

RIVOLUZIONE SHALE GAS

È la nuova frontiera dell’energia, la rivoluzione più importante degli ultimi quarant’anni: shale gas e shale oil stanno cambiando il business in questo settore. Tutti guardano agli Stati Uniti che per primi hanno anticipato la nuova corsa all’oro, ma anche agli altri potenziali paradisi che nascondono nel sottosuolo enormi riserve di idrocarburi non convenzionali. La Cina, in testa. Si muovono i produttori, si posizionano anche le banche alla ricerca di nuovi settori su cui investire. Tra le più attive c’è Bnp-Paribas che da qualche tempo sta studiando, tra la Francia e l’Italia, il dossier, probabilmente pronta a catturare le opportunità che si dovessero presentare. Non meno attivo è il Crédit Suisse che ha da poco inviato ai suoi clienti un report di 170 pagine, frutto del lavoro di 40 tra analisti e research strategist, con il quale ha scandagliato in profondità le implicazioni globali dello shale boom.
L’IMPATTO

Se nessuno mette in dubbio che la rivoluzione del gas, negli Usa, sia ormai lanciata, tutti si chiedono quale impatto avrà sul resto del pianeta. E quasi tutti gli osservatori sono d’accordo: almeno fino al 2020 l’impatto maggiore della rivoluzione shale resterà all’interno della frontiera americana, a beneficio soprattutto delle sue industrie, in particolare quelle ad alto consumo di energia che potranno contare su un combustibile e su elettricità a bassissimo costo: chimica, raffinazione, industrie meccaniche, acciaio, fertilizzanti. Questo vantaggio competitivo, che è già un’indicazione di investimento, eserciterà comunque una pressione sui prezzi dell’energia europei ma non tale da sconvolgerli. E sarà difficilmente colmabile dai concorrenti nel breve periodo, nonostante le ambizioni cinesi. Con il doppio delle riserve recuperabili americane, la Cina vorrebbe raggiungere una produzione di 60-100 miliardi di metri cubi a fine decennio ma, osserva il report di Crédit Suisse firmato da Stefano Natella e Eric Miller (entrambi co-head Global Securities Research), non è ancora pronta. Tuttavia «nel prossimo decennio la produzione cinese di shale gas ha il potenziale per diventare un game changer». Venti, forse trent’anni per vedere come andrà a finire ma c’è chi comincia a prendere posizione al tavolo. Chi perderà? In prospettiva, soprattutto il carbone: oggi re delle produzioni di base, rischia in futuro di perdere la corona.
Con una quota Usa nella produzione di shale gas passata dal 5% del 2000 al 23% del 2010, l’Agenzia federale per l’energia prevede che la quota di shale salga al 50% sul totale della produzione gasiera nel 2035. Anche lo shale oil darà una forte spinta alla produzione di petrolio americana che è prevista arrivare a 10 milioni di barili/giorno nel 2020. Tutto ciò ha richiesto, e richiederà ancora nei prossimi anni, circa 140 miliardi di dollari di investimenti annui negli idrocarburi. Secondo Crédit Suisse i prezzi spot del gas americano (misurati in milioni di British thermal unit, Btu) che ora viaggiano intorno ai 3 dollari potranno crescere a circa 5 dollari. Altri si sbilanciano sugli 8 dollari. La vera partita è legata all’esportazione di Lng, il gas liquefatto e poi rigassificato sul mercato di destinazione: gli Usa hanno progetti di impianti Lng per oltre 120 miliardi di metri cubi l’anno. Oggi uno solo è in costruzione, per circa 20 miliardi di metri cubi. Ci vorrà tempo, ma resta il fatto che gli Usa da paese importatore sono diventati un potenziale venditore di gas. E che questo potenziale mette sotto pressione le compagnie petrolifere come l’Eni e gli altri importatori di gas tradizionale, legati ai contratti take or pay di lunga durata con prezzi di 220-240 dollari per mille metri cubi. Lo sconto per l’Europa al momento è valutato circa il 30%. Ma potrebbe aumentare.
L’AMBIENTE

L’Europa ha diversi vincoli. Quello ambientale, innanzitutto. La fratturazione delle rocce, necessaria alla produzione, è sotto accusa e ha provocato una moratoria sullo shale gas in Francia, seguita da Romania, Bulgaria, Olanda. Germania e Svezia stanno riflettendo, l’Italia con la Strategia energetica nazionale presentata da Corrado Passera si è chiamata fuori. La Polonia ha le maggiori riserve, ancora da esplorare (Eni è presente nel Paese). La densità della popolazione rappresenta un ulteriore vincolo nel Vecchio continente.
B.C.